Questa specie di casetta fatta con felci
o mirti costruita sulla spiaggia serviva
come alloggio, per trascorrere al
mare quindici o venti giorni in agosto.
di Tania e Antonio Catalano
In giro con il mio amato camper sbarco a Reggio Calabria ed imbocco la s.s. 106 Jonica.
Al km 70 vengo attratta da un piccolissimo centro abitato di nome Ferruzzano.
Originariamente sorto da una comunità di agricoltori e pastori fu costruita a 470 metri dal livello del mare su una collina molto panoramica con vista su un mare quasi caraibico. La sensazione è data dalle “Logge” che vengono puntualmente costruite sull’arenile che va da Capo Bruzzano fino a Contrada Vena.
Installate all’inizio di giugno da abitanti volenterosi del posto come antica tradizione, sorgono sulla sabbia con quattro travi tenute da traverse inchiodate e dove gli uomini di ogni famiglia intrecciano insieme alle canne raccolte nei vicini canneti popolati da rane, felci profumatissime provenienti dall’entroterra che servono alle famiglie per ripararsi dal sole.
Gli odori forti e dolcissimi ti inebriano, un paradiso nel paradiso, una tranquillità quasi surreale dall’alba al tramonto fanno si che parcheggiato il camper sul lungomare godo di questa quasi unica e completa felicità di corpo e spirito. Splendide l’accoglienze di tanti che ti mettono a proprio agio fermandoti nelle logge ed invitandoti a ripararti dal sole a sostare con loro ed a raccontarti delle origini delle Logge che servirono nel 1800 quando gli abitanti scendevano dalla collina al mare nella zona di Capo Bruzzano dove la scogliera forma delle piscine naturali in miniatura che la mamme usavano per insegnare ai piccoli a nuotare.
Ci raccontano che la prima domenica d’agosto si festeggia San Giuseppe ed è la festa più grande del paese, perché San Giuseppe è il protettore di Ferruzzano.
Allora, terminata la festa a mezzanotte con fuochi pirotecnici e col “ballo del cavallo di Minasi”, quasi tutta la popolazione partiva per i “vagni”, caricava su asini e muli quanto occorreva per la villeggiatura a mare, sulla spiaggia, dove erano preparate prima le logge.
Il turismo di massa non esisteva in Italia prima del 1950. Pochissimi ricchi: sporadiche famiglie potevano permettersi il lusso di villeggiare al mare o in campagna nella propria tenuta o addirittura andare all’estero.
Il boom del turismo si è visto ora, da pochi decenni, mentre l’intero paese di Ferruzzano godeva per tradizione di questo privilegio.
Ogni famiglia ferruzzanese costruiva o si faceva costruire la propria “loggia” a mare, secondo il profumo che preferiva, perchè quelle stupende abitazioni che erano le logge potevano essere intessute con felci, o con mirti, o con oleandri, o con stinchi e ognuna di queste piante emana, per lunghissimo tempo, profumo inebriante e addirittura afrodisiaco.
Le logge erano preparate con maestria. Ogni ambiente misurava una trentina di metri quadrati, il sole non vi filtrava, l’ombra era totale e da dentro si ascoltava il fruscio del mare lontano pochi metri: era una dolcissima nenia, si rimaneva sempre scalzi sulla sabbia fine e bianca.
Le logge erano arredate con l’indispensabile: le sedie, un tavolo, i letti, preparati su appositi cavalletti e con pagliericci riempiti di fresca paglia d’orzo o di lana.
Sulle pareti c’erano i ganci per appendere i vestiti e la biancheria. Le porte e le finestre erano chiuse di notte con tendine fatte di lenzuola o di pezzare.
Sopra il letto pendeva la “naca”, per chi aveva figli piccoli, costruita con due fili di corda grossa, paralleli, legati alle due estremità ai due pali appositi della parete.
Nel centro, nella parte più declive, le due corde erano distanziate da una coperta ripiegata che faceva da culla. Dal letto, alzando la mano, si faceva dondolare.
Le logge, l’una attaccata all’altra, formavano come un treno più di mezzo chilometro di lunghezza e a vederle era un’immagine di bellezza.
Sulla spiaggia si trascorreva un mese di sana villeggiatura. Un vero spettacolo era quando capitava un acquazzone: tutti a correre verso la stazione ferroviaria, unico ricovero, e la sala d’aspetto si riempiva di materassi e di cose che non dovevano bagnarsi.
A mare si portava ogni ben di Dio: “capicolli” (salame tipica), “calia” (ceci bianchi mezzi abbrustoliti), “viscottina” (dolciumi tipici), vino, pane, “gallhuzzi” (galletti ruspanti), ecc. compresi i maiali e le “cavalcature” (asini e muli). Tutto organizzato: sulla spiaggia.
In prima fila, dove batte l’onda, stavano i maiali sotto l’ombra di un grosso ramo di stinco, posto appositamente perché questi animali soffrono molto il caldo.
In seconda fila stavano le logge d’abitazione, complete di cucina di pietra a legna. In terza fila stavano i gallhuzzi e nell’ultima che era la quarta, stavano gli asini, i muli e le capre.
Il bagno si faceva quando passava il treno delle undici del mattino (gli orologi scarseggiavano) e gli uomini dovevano andarsene dalle logge per fare il bagno in un posto più lontano e lo facevano nudi e si asciugavano con un lenzuolo, mentre le donne si bagnavano di fronte alle logge e il loro costume consisteva nella camicia da notte e, a volte, l’acqua del mare gliela sollevava e tutti a ridere.
Alla sera sulla spiaggia si facevano giochi a pegni, prevaleva il “cucuzzaru” e tutti erano felici. Il riparo notturno avveniva nelle attigue grotte naturali dove le famiglie si riparavano per passare la notte.
Raccontano persone che un anno nel lontano 1972 all’ora di pranzo quando le felci erano arroventate una signora per distrazione, mentre stava ai fornelli ha incendiato la propria casetta. Il fuoco in quel caso si è propagato per l’intero trenino di logge. Quindi in un un’ora si è dileguato l’intero villaggio. Pare che da quell’anno la tradizione delle logge è andata sempre scemando.
Successivamente si sono spostati da Capo Bruzzano a Canalello dove sono state costruite le prime Logge che avevano una rudimentale porta d’ingresso formata da un bianco telo con all’interno un pagliericcio ed il cibo necessario per la vacanze.
Oggi le Logge assieme ai moderni e variopinti ombrelloni offrono ai vacanzieri di Ferruzzano il giusto riparo dai raggi solari del caldo sole jonico. Tornerò spesso.