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    Chiacchiere intorno agli Asini che volano

    0
    By Wolfango Horn on Archeologia Musei Scienza, Europa

    pavoneÈ possibile viaggiare con la fantasia? Sì!
    Non essere troppo creduloni verso
    chi le spara troppo grosse.

    di Wolfango Horn

    come2

     

    “E tu credi agli asini che volano?”
    Quante volte ci sarà capitato di sentire questa ironica domanda?
    Ci siamo mai chiesti che origine ha?
    D’accordo è un vecchio detto popolare, ma è curioso che anche in Francia e in Spagna abbiano modi di dire molto simili.
    come1Frugando nelle vecchie cronache, c’è chi sostiene che l’origine del detto vada cercata in un paese, Pontenure, in provincia di Piacenza.
    Fino a molti anni fa il forestiero che, trovandosi in piazza a Pontenure, avesse rivolto lo sguardo verso l’alto in direzione della torre campanaria, rischiava di essere preso a male parole.
    Non erano poi affatto infrequenti le zuffe fra i Pontenuresi e gli abitanti dei paesi vicini che temerariamente, attraversavano la via Emilia, imitando il raglio del simpatico animale o si portavano le mani aperte a fianco della testa per riprodurne le lunghe orecchie.

    come5I Pontenuresi infatti non sopportavano alcun accenno all’episodio per cui erano diventati, loro malgrado, famosi in tutta la provincia: il tentativo di far volare gli asini.
    Tutto ciò accadde veramente il 31 agosto del 1901, quando per ravvivare una festa popolare, qualcuno, i più dicono il poeta Valente Faustini, che all’accaduto dedicò una divertente poesia dialettale, ebbe l’idea di far scendere dalla torre campanaria un asinello munito di ali.
    La notizia ebbe un certo clamore e calamitò nella piazza di Pontenure un nugolo di forestieri, curiosi di osservare questa insolita attrazione.
    Così alla 16 in punto del giorno fatidico, dalla bifora della torre campanaria apparve un somarello di nome Geppetto che, legato con un uncino ad una corda tesa all’altro angolo della piazza fu, suo malgrado, spinto nel vuoto. La bestiola iniziò così lentamente a scendere e, dibattendosi, a far muovere le ali posticce che gli erano state applicate sul dorso.
    Pare che la folla apprezzasse molto lo spettacolo ma, quando Geppetto era ormai arrivato a pochi metri dal suolo, la corda si spezzò.

    zavNon vi furono feriti fra la folla e anche Geppetto se la cavò con qualche escoriazione, ma da allora Pontenure fu definito, in modo non troppo benevolo, come il paese dell’asino.
    Il tempo cura tutte le ferite e così oggi i pontenuresi hanno imparato a sorridere di questa storia, trasformandola anzi in motivo di allegria: la seconda domenica di settembre viene infatti organizzata la “Festa dell’asino”, che richiama migliaia di persone per vedere la corsa degli asini e per gustare lo stracotto di somarino.

    ranaUn’origine del tutto analoga è però vantata da un borgo francese, Gonfaron, in Costa Azzurra. Inoltre, andando ancora più indietro nel tempo, troviamo addirittura nel satyricon di Petronio l’espressione “asinus in tegolis”, cioè… “l’asino che vola”.
    Ebbene si, vogliono proprio fare un’apologia di questo nostro amico orecchiuto, a cui si attribuisce comunemente scarsa intelligenza a causa dell’ostinazione con la quale si rifiuta di eseguire ordini che non condivide, per di più generalmente imposti senza alcuna grazia.

    come7In un’epoca in cui tanti sì vengono pronunciati per pura convenienza, l’asino appare proprio come un bell’esempio di resistenza civile.
    Non posso comunque negare la cocciutaggine dell’animale, davvero poco disponibile a cambiare idea con facilità: in anni in cui banderuole e voltagabbana non mancano davvero, ecco un vero campione di rettitudine.
    Il fatto poi che voli, è stato usato addirittura da un filosofo, John Locke, vissuto in Inghilterra alla fine del 1600, per spiegare i concetti di “fiducia nel testimone” e di “coerenza dell’esperienza”.
    “Per decidere se quello che ci viene detto è vero oppure no, ci poniamo il problema se colui che ci riferisce il fatto è attendibile, degno di fiducia e se quello che ci racconta non contraddice la nostra esperienza.
    Se mi dice che gli asini volano, la mia esperienza mi suggerisce che gli asini non volano proprio, perché non ne ho mai visti volare, anche se non ho certezza assoluta che sia impossibile.

    pantop2A questo punto la coerenza dell’esperienza si intreccia con la fiducia nel testimone: chi mi ha detto che l’asino vola, è una persona attendibile?
    Se è una persona di cui ho stima e mi dice di aver visto volare un asino (proprio perché l’esperienza non sbaglia), potrò prestargli fede e prendere per vero che ha visto un asino volare; tuttavia se egli mi dicesse che 2+2=5, per testimone attendibile che possa essere, non posso credergli mai e poi mai”.
    La nostra cittadina è patria di carnevale, e terra d’origine di Bertoldo, “villan si di difforme aspetto, che più d’orso che di uomo avea figura, ma di tant’altro e nobile intelletto, che stupir fece il mondo e la natura”, contadino arguto che, servendosi della saggezza popolare, sbeffeggiava l’arroganza stupida del potente di turno (nel racconto, Re Alboino).

    pulciniBertoldo, comandato di inchinarsi davanti al re, disse che avendo mangiato delle pertiche di salice, non poteva farlo “per non scavezzarle” e quando Re Alboino fece ribassare l’uscio per costringere chi entrava ad inchinarsi, Bertoldo, “villan ribaldo, in cambio di chinare il capo e abbassarlo nell’entrare dentro, voltò la schiena ed entrò all’indietro”.
    ocaForse sarebbe davvero degno di Bertoldo accompagnare alcuni nostri attuali potenti politici, boriosi e tracotanti, che vogliono convincerti che gli asini volano, a visitare la nostra piazzetta Betlemme, dove un asino che vola c’è davvero, interpretato dal pennello di Gino Pellegrini.
    L’asino, a modo suo, sorride ma, se andate a cercarlo adesso, troverete la finestra, dov’era dipinto, curiosamente bianca.
    Che sia volato via, come ultimo, definitivo sberleffo carnevalesco, vedendosi ormai superato dall’umana, infinita credulità?
    Io sono convinto che l’asino che vola ritornerà presto, testimone muto nella sua nicchia di piazza Betlemme, ad ammonire noi umani, talvolta troppo creduloni, a non lasciarci trarre troppo facilmente in inganno da chi, “credendo di avanzarsi sopra gli altri dieci o dodici palmi”, le spara troppo grosse!

    Il protagonista

    La Storia….

     

    C’era già stata una prima manifestazione estiva, dedicata al cinema comico. Poi venne l’idea di adoperare una parte degradata della cittadina, la piazzetta Betlemme, in uno spazio che favorisse la partecipazione della gente. All’inizio si pensò ad un sistema di quinte e di fondali, poi ci si chiese se non fosse meglio dipingere le stesse facciate delle case circostanti, col consenso dei proprietari. Le case, tutte a due piani, erano infatti generalmente povere, gli intonaci stinti, i muri in disordine. Fu chiamato a compiere l’operazione Gino Pellegrini, appena rimpatriato da una Hollywood che aveva raggiunto nel 1957, a diciassette anni, riuscendo a collaborare a film di grande successo: 2001 Odissea nello spazio, West side story, Indovina chi viene a cena, Gli ammutinati del Bounty e altri.
    Pellegrini, nella Piazzetta Betlemme, immaginò un omaggio al Cinema tout court mescolato ad un mondo rurale-western, punteggiato da tromp l’oeil che, come l’illusione Cinematografica intendevano dare l’illusione della realtà. La prima estate, nel 1982, in questa piazzetta Betlemme, si chiamava “Il Cinema, la gente, la fantasia e una piazza”; nel 1983, nella stessa piazzetta, la cosa è stata chiamata “Varietà in piazza”. Non era, infatti, solo cinema, cinema comico. Prima del film, nell’intervallo e dopo il film in un piccolo palco posto sotto lo schermo si esibivano illusionisti, suonatori, cantanti, intrattenitori.
    L’ingresso alla piazzetta era libero. Nella platea, popolata di tavolini e sedie come un cafè-chantant si poteva bere e mangiare, perchè in uno di questi edifici truccati albergava il bar con cucina. ippo
    L’inganno dell’illusione del Cinema si allargava così al pubblico e agli oggetti. La gente non andava solo al cinema, ma era dentro un palcoscenico e diventava essa stessa teatro dell’illusione secondo la logica del sogno.
    verzaFinita la festa, rimasta la scenografia del teatro o del cinema di strada, è entrato pian piano nella consuetudine quotidiana come un naturale inganno, un gioco dell’illusione che crea un’ambiguità rituale.
    Grazie, Gino Pellegrini, per quest’invenzione singolare, questo doppio dell’esistente, per il tuo sogno popolaresco sospeso tra Sogno, Cinema e Poesia.
    Dal sito: www.piazzettabetlemme.com

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