Al museo non si va necessariamente per guardarne i quadri. Può essere che fuori piova. E ci si infili nell’incrocio di corridoi guardando ciò che capita. No, non necessariamente i quadri. Se poi a insinuarne il sospetto è un trustee, un fiduciario, della National Gallery di Londra, l’approccio al museo e ai suoi imperativi di soggezione estetica e intellettuale si ammorbidisce. Perché l’arte suggerisce il commediografo e attore inglese Alan Bennett, nel testo di una conferenza tenuta dopo la sua nomina a trustee nel 1993, in un periodo in cui era ancora oggetto di discussione l’ingresso gratuito nei musei statali.
E se la bellezza di un quadro è sempre «difficile da affrontare direttamente», l’analisi iconografica che in Inghilterra trasse nuova linfa negli anni ‘30 all’arrivo di esperti tedeschi in fuga dalla Germania nazista. «Non credo che una donna di Michelangelo sarebbe mai ammessa a una gara dei 100 metri piani senza prima fornire un campione di urine»: donne virili e steroidee, Sacre Famiglie ai piedi della croce nemmeno sfiorate dalla pietosa intenzione di fare una visitina anche ai due abbandonati ladroni, pudende di Santi «così ben impacchettate da sembrare una sfogliatina di mele cruda», Santi in crisi di identità se non ritratti con gli strumenti del loro martirio.
Tra aneddoti e strizzate alla coda dell’occhio, Bennett scherza sull’arte per svelarne la misericordiosa serietà. Che conforta sulla comune identità dell’uomo -nell’austero Battesimo di Cristo di Piero della Francesca una figura sullo sfondo si toglie con inattesa naturalezza la camicia e «c’è qualcosa di misteriosamente rasserenante nel fatto che anche cinquecento anni fa ci si togliesse la camicia proprio come facciamo noi oggi» e invita a decifrarne i linguaggi mutevoli. Benché all’ironico trustee della National Gallery non dispiacerebbe che al suo ingresso fosse posto un cartello con scritto: «Non deve per forza piacerti tutto».
Una Visita guidata di Alan Bennett (pagg. 50 Editore: Adelphi – Collana: Biblioteca Minima).