La pluripremiata giornalista italiana racconta senza filtri, abbandonando per la prima volta il ruolo del reporter impassibile, pensieri, paure, speranze. In un momento storico cruciale rimane insieme ai suoi colleghi sotto le bombe a testimoniare gli eventi e sfidando il regime intervista: esponenti del governo iracheno, rappresentanti della diplomazia internazionale, ufficiali e soldati americani.
Si fa portavoce dei bambini delle donne e degli uomini che ogni giorno lottano contro la povertà e la violenza per sopravvivere. Allontanandomi da Baghdad, penso all’onere e all’onore che ho avuto di testimoniare un evento eccezionale, che avrà un impatto determinante sul futuro del pianeta. Ho imparato ad essere più umile nel mio mestiere.
Misuro meglio la distanza che esiste tra la realtà complessa di fatti lontani di cui siamo testimoni e il modo in cui li raccontiamo. Le facili semplificazioni, le idee preconfezionate, le inconsistenti elucubrazioni intellettuali di cui la maggior parte dei commentatori fa largo uso. Sarò più prudente nelle mie opinioni, ma anche più attenta a passare al setaccio della ragione i luoghi comuni che troppo spesso si sostituiscono alla conoscenza dei fatti. Lo devo ai telespettatori e a tutti colori che ho incontrato in questi mesi e mi lascio alle spalle.
Conosco l’impotenza della mia professione di fronte ai tanti volti della tragedia, ed è per questo che non possiamo esimerci dal guardare oltre le verità precostituite.
I miei giorni a Baghdad di Lilli Gruber (pagg. 322, Rizzoli Editore).