Questo viaggio è stato interessante sotto diversi punti di vista:
la storia, quella grande, è qui testimoniata da importanti
siti archeologici, inoltre vi si trovano paesaggi prepotenti
come il deserto, di una bellezza e varietà sorprendenti.
Ho avuto anche l’opportunità di trarre molte
considerazioni e deduzioni dalla visita della capitale o di altre città, come anche dei piccoli villaggi incontrati.
di Anna Maria Cartocci
25/4/2002 – Primo giorno in Turkmenistan: Ashgabat dopo essere stati abbagliati dal bianco dei marmi sormontato dalle foto gigantesche del dittatore attuale, raggiungiamo la città vecchia, poiché qui fortunatamente esistono ancora dei quartieri che non sono stati trasformati in marmo e aiuole. Palazzi bassi in stile sovietico dalla discutibile estetica, ma con i loro viali alberati dove poter passeggiare e i ragazzi scorrazzare, che suggeriscono una dimensione più umana.
26/4/2002 – Partiamo per attraversare il deserto del Karakun. Siamo organizzati su due mezzi, un camion per le tende e le provviste ed un piccolo, scomodo, bus per i partecipanti. Ci fermiamo ad Anau dove sono state trovate le rovine di una moschea Timuride, di un mausoleo e le vestigia dell’antica città. Al confine con il deserto, addossate alle aspre colline, troviamo le rovine di Nisa. Gli elementi archeologici qui scoperti ora sono conservati nel museo di storia di Ashgabat e all’Ermitage. Verso sera cerchiamo un posto idoneo a montare le nostre tende per la notte e sarà questa, assieme allo smontaggio, un’azione che si ripeterà ogni giorno della nostra traversata turkmena.
27/4/2002 – Con il bus andiamo al mercato di Tolkuscka enorme, multicolore e soprattutto, come per il resto del viaggio, non troviamo turisti in giro! Ci fermiamo per una breve sosta al bazar, per quanto può essere breve una sosta in uno dei più grandi bazar dell’Asia centrale. Proseguiamo per la gola di Firuza ai piedi delle montagne Kopetdag. Attraverso i magnifici canyon e le valli di questo luogo scorre un fresco ruscello, e vi è anche il più grande albero dell’asia centrale, composto da sette tronchi per cui viene chiamato i “7 fratelli”.
Subito dopo, la fresca valle di Chuly circondata da montagne scoscese. Qui, soli in mezzo alla steppa, vivono un vecchio ed un meraviglioso cane turkmeno, sono i guardiani dei resti dell’antichissima città Gonur Depe, una civiltà vissuta nell’oasi di Margiana quattromila anni fa, appartiene ad una delle più grandi civiltà del mondo antico ed è stato il luogo di nascita dello zoroastrismo, una religione basata sulla contrapposizione tra bene e male.
Fu una spedizione russa a scoprirla nel 1972 e da allora gli scavi non sono mai terminati ed hanno portato alla luce un’infinità di reperti che ora sono distribuiti in due piccole e maltrattate casette.
Poi raggiungiamo la moderna moschea di Geok Tepe, con le sue cupole blu, ma la nostra meta è Nokhur, un antico villaggio perso tra le montagne vicino al confine con l’Iran. Da sempre isolati dal resto del paese, gli abitanti del luogo hanno conservato le loro antiche tradizioni, parlano un particolare dialetto, si considerano discendenti di Alessandro Magno e la loro religione è una commistione di Islam e di culti sciamanici.
28/4/2002 – Segue la visita al cimitero di Nokhur. Sopra ogni tomba ci sono corni di capra di montagna, animale considerato sacro, a protezione della vita dei defunti nell’aldilà. Una tradizione unica che viene dalla particolare religione di questo villaggio e che dà la misura dell’importanza del rapporto che ancora hanno con l’ambiente naturale e gli animali che lo compongono. La gente di Nokhur costruisce la propria casa con le pietre che si trovano in zona, e decora queste semplici case con colonne di legno fatte a mano con capitelli unici ed esclusivi.
Qui la temperatura è fresca e ventilata, visitiamo la zona fermandoci in qualche punto panoramico dove scorre una cascata o esiste un olmo plurisecolare. L’interesse maggiore di questa giornata è di essere riusciti ad avere dei contatti con gli abitanti locali nei loro villaggi; questa gente non è abituata al turismo, ma dimostra una spontanea curiosità e cordialità verso gli stranieri. Le giovani donne ed i bambini sono quasi sempre di una bellezza straordinaria (molto meno gli uomini). E’ interessante vedere nei loro volti tratti somatici tanto diversi, segno di un incrocio di razze, antico e profondo. La regione, caratterizzata da due piccoli corsi d’acqua, ha flora e fauna eccezionali: capre di montagna, ovini, urial, ecc. mentre le creste montuose intorno sono innevate. Prima di accamparci abbiamo ancora un po’ di tempo per esplorare a piedi le vicine gole Owadere e Aydere con le loro affascinanti cascatelle.
29/4/2002 – Yangykala e Gozly Ata la strada è lunga ed impervia, alle solite buche sull’asfalto si aggiungono le ardue dune del deserto. La pista è segnata in maniera non sempre univoca ed io mi domando in base a quale congiuntura astrale scegliamo una biforcazione piuttosto che un’altra. Durante le lunghe giornate di attraversamento, c’è sempre qualche spettacolo nello spettacolo: come quando ci affacciamo con un colpo d’occhio sul superbo Yangykala Canyon: qui la natura è sovrana.
Questo canyon è stato modellato dal mare che vi era presente milioni di anni fa. L’erosione del vento nel tempo ha contribuito allo sviluppo dell’attuale, curioso, panorama che ci si presenta: lunghe formazioni rocciose bianche, marroni e rosa si fondono in uno spettacolo che toglie il fiato. Diverse strade attraversano il paesaggio, una per Gozly Ata, dove si trova un santuario mussulmano che per la sua posizione isolata, è luogo di pellegrinaggio. Gzly Ata era un Sufi che qui visse e vi fu sepolto. Vi troviamo vecchie lapidi fra le quali si aggirano donne che compiono dei riti di fertilità legando straccetti colorati fra le rocce o lasciando sul posto bamboline di stoffa.
30/4/2002 – Dashdeshen Caratteristici di questo deserto sono i takyr, particolari conche di notevoli dimensioni separate da dune generate dai venti che spirano con forza nella regione. Scattiamo qualche foto sotto la luce di mezzogiorno e poi scegliamo ognuno il nostro angolino per sederci a pensare davanti a tanta magnificenza. Infine ripartiamo alla volta di Darwaza. La depressione di Unguz divide il Basso Karakum da un altopiano a sud-est. Qui la vegetazione si limita soltanto a qualche arbusto come l’acacia delle sabbie.
1/5/2002 – Melkoch Chaarli – Lungo la strada il paesaggio scorre a sbalzi tra deserto, campi di cotone e piccoli villaggi; cammelli, asini, mucche, convivono pacificamente perpetuando il passato di un popolo un tempo nomade, che per secoli si è spostato a cavallo, libero, tra la Turchia e le steppe dell’Asia Centrale, e che ha costruito e disfatto yurte chissà quante volte, scaldandosi col fuoco, tessendo a mano i tappeti sui quali riposare la notte. Chiusi al mondo esterno, tra le maglie strette di un regime dal 1984, sbirciano timidamente l’occidente dalle loro parabole satellitari, ma restano sempre fieri e tranquilli e continuano a cucire da sé i loro sgargianti vestiti, ed a coprirsi i capelli con coloratissimi teli.
2/5/2002 – Chaarli – Darwaza – Le giornate iniziano con il ritmo naturale del ritorno della luce e del sole.
Smontiamo il campo e proseguiamo il nostro viaggio: Il deserto è un unicum senza nome, i nomi indicati non hanno dei veri riferimenti con il territorio, ma solo le sue svariate bellezze lo rendono diverso ad ogni passo e in ogni momento della giornata.
Caratteristica principale del luogo è il cratere la “porta dell’inferno“di Darwaza, causata dall’azione umana nel 1971 durante la trivellazione del suolo in cerca di petrolio.
Proseguiamo senza fermarci poi, percorsi una decina di kilometri, giriamo per una pista di sabbia. Presto arriviamo sulla sella di un’altura e, nella cornice del tramonto, ci appare in tutta la sua suggestione, il cratere: uno spettacolo unico la cui vista nel buio, è stata davvero una sensazione forte.
3/5/2002 – Raggiungiamo Damla, un insediamento nel deserto del Karakum, abitato da famiglie nomadi che vivono in case di argilla, oppure in yurte, allevano dromedari, producono tappeti in feltro, vivono insomma secondo le antiche tradizioni nomadi. Sono molto ospitali e sorridenti, con loro abbiamo potuto scambiare sorrisi e giochi e ci hanno fatto entrare nelle loro yurte e nelle case per offrirci il loro tè, mostrarci ed anche farci indossare, i loro preziosi e ricamati abiti da sposa che si tramandano da madre in figlia. Un vecchio, il capofamiglia, dopo averci mostrato con orgoglio il proprio documento (una foto con dei bolli) ci ha fatto capire di voler vedere i nostri passaporti e si è poi fermato su ognuno con grande interesse!
4/5/2002 – Ci fermiamo ad Akmol cittadina sul fiume Isim, in cui vi è qualche industria tessile o del legno. Fu il luogo di sepoltura di un santo e questo diede l’antico nome alla città: Ak Mola, letteralmente “mausoleo bianco “.
5/5/2002 – Kerpichli Gagarin wells (pozzi gas) Spuntano all’improvviso vecchi tralicci e rosse tubazioni del gas, di cui questo Paese è ricco. Qui il contrasto con la vastità del nulla intorno, è molto forte. Proseguiamo senza scorgere altro, poi ci accampiamo per la notte.
6/5/2002 – Dargan Ata – cittadina medievale sull’Amudarya, fiume che ha le sue sorgenti tra i ghiacciai del Pamir e scorre per 2400 Km fino al Lago d’Aral. Dagan Ata è nel centro nord del Turkmenistan e si trova vicino al confine fluviale con l’Uzbekistan.
7/5/2002 – Kabakli Ci fermiamo in questo villaggio, dove visitiamo una scuola, con la sua biblioteca e scattiamo una foto ricordo della classe sotto la bandiera turkmena. Poi raggiungiamo il caravanserraglio Daya Hatyn a nord di Turkmenabat.
Questi grandi edifici erano necessari lungo l’antica via della seta, come comodi punti-sosta per uomini ed animali, durante gli spostamenti necessari al commercio.
L’Amul-Khorezm imponente caravanserraglio, ha pianto quadrata, con centro un cortile aperto e lungo tutto il perimetro, una galleria coperta a volta sulla quale si aprivano numerose camere di varie dimensioni. Negli angoli esterni esistevano anche delle torri rotonde. Le pareti sono costruite con mattoni di fango, mentre gli archi con laterizi e le volte a cupole con mattoni cotti.
L’ampio ingresso, rivolto a nord, era costituito da un alto portale ad arco ai cui lati si trovavano due pannelli simmetrici con ornamenti epigrafici ancora oggi percepibili.
8/5/2002 – Nel deserto di sabbia rossa (Kizil Kum) abbiamo incontrato animali locali come scoiattoli e tartarughe, poi l’arida distesa che man mano lascia spazio a un territorio sempre più verde soprattutto per le coltivazioni di cotone, nei pressi del fiume Amu Darya che oggi non ha più l’aspetto imponente di un tempo: le molte canalizzazioni selvagge hanno, infatti, radicalmente cambiato la struttura del territorio.
Ci avviciniamo al confine nella provincia di Farah (Afganistan) e dopo il lungo e sgradevole disbrigo delle procedure di frontiera, costituito da un minuzioso controllo del bagaglio e personale, proseguiamo per l’Uzbekistan e quindi per Samarcanda.
9/5/2002 – Questa regione un tempo faceva parte di antichi stati persiani. Lo scià dell’Asia centrale governò fino all’arrivo di Gengis Khan nel XIII secolo, fino alla presa di potere da parte di Tamerlano, lo spietato condottiero, che però fece di Samarkanda, una splendida città dall’architettura islamica.
Il nostro giro inizia da Teskent, capitale dei giorni nostri, ma anche del passato; qui visitiamo mercati, madrase, moschee di cui è ricco tutto il paese, e i dintorni come Khast imom dove risiede il gran Mufti. Dedichiamo l’intero giorno alla visita della città: sostiamo incantati sulla Piazza Registan dove si trovano le tre eleganti madrase.
Visitiamo anche la Moschea di Bibi Khanum, la Necropoli di Shahi Zinda, il Museo Afrosiab, l’Osservatorio Ulugbek, Gur Emir e il Mausoleo di Tamerlano.
Sostiamo infine presso il Bazar della Via della Seta. Come ogni città, anche la capitale è divisa in due parti, quella costruita nell’era sovietica e la parte islamica; da qui possiamo spostarci a Samarcanda (sì, proprio la famosa Samarcanda!!!), la città costruita da Tamerlano e suo nipote Ulughbeke, conquistata da Alessandro Magno, che la trovò ancora più bella di com’era stata descritta Marakanda (il suo nome antico). Ha un fascino unico. Ricordo, arrivando di sera, l’emozione della piazza appena illuminata, ma scintillante dei suoi infiniti mosaici.
Siamo rimasti a lungo seduti a terra in silenzio, ad ammirarne lo splendore. La visita, al mattino, nel sole ci ha suscitato ancora emozione e stupore. Qui si susseguirono turchi, arabi, persiani e mongoli, tutti gli scià della Corasmia governarono la città, fino all’arrivo della furia di Gengis Khan, che avrebbe causato la fine della città, se Tamerlano non avesse deciso di farne la propria capitale, salvandola. Ma in seguito, nel XVI secolo, gli Shaybanidi uzbeki, presero il potere portando la capitale a Bukhara, e da allora ebbe inizio il declino di Marakanda.
10/5/2002 – partenza per Bukhara. Sosta lungo il percorso presso Shakrisabz, città natale di Tamerlano. Tra i luoghi d’interesse della città ricordiamo le rovine del Palazzo Ak Saray, il seminario Dorus Tilavat, la Moschea Kok Gumbaz, Dorus Saidat e la Moschea del Venerdì. tra le numerose madrasse – visitiamo Nadirkhon Devanbegi, Ulugbek, Abdulaziz Khan – e le tante moschee presenti in città (Bolohauz, Magoki Attari, Poi Klon).
Visitiamo anche la Fortezza di Ark e il Mausoleo di Isamail Samani. Infine un’istruttiva passeggiata nel locale bazaar. Bukhara è considerata la città più sacra dell’Asia centrale, con la sua parte vecchia ancora abitata, intorno alle sue vasche chiamate Hauz, dove un tempo la popolazione si approvvigionava di acqua.
Quando arrivarono gli arabi nella città, vi trovarono un centro commerciale già fiorente e diventò, intorno al X secolo, la capitale del regno di Samanide, che ne fece anche un pilastro religioso e fu resa ancora più bella grazie al naturale interesse dei persiani per l’arte. Comunque cadde anch’essa sotto Gengis Khan e la dinastia di Tamerlano. Nel XVI secolo rifiorì, diventando un importante Khanato Shaybanide, principale regno dell’Asia centrale, mentre intorno al 1700 con l’ultimo emiro, la città ormai allontanata dalla via della seta, fu annessa come protettorato all’impero zarista.
Prima di sera riusciamo anche a fare un rapido giro nei dintorni di Bukhara.
11/5/2002 – Arriviamo al mausoleo di Baha’ al-Din Naqshbandi, fondatore di una scuola sufistica la cui importanza arriva fino al Maghreb. Questo complesso, non è impressionante dal punto di vista architettonico, ed è restaurato in modo alquanto artificiale, ma vi giungono numerosi pellegrini e questo gli conferisce motivo d’interesse. Li vediamo recitare una preghiera sotto la guida dell’imam il quale, seduto su una panca nell’ingresso, declama brani coranici; i fedeli lo seguono con le palme rivolte verso l’alto, per poi passarsele sul viso nell’atto di detergerlo da un invisibile strato d’impurità. Più avanti attraversiamo un ampio cortile circondato dall’aiwan, una tettoia riccamente decorata.
In questo cortile si trova anche il monumento funebre del sufi, ma la gente passa oltre per compiere un irrazionale gesto di fede popolare o pratica propiziatoria. Infatti, all’estremità del recinto si trova un enorme tronco contorto attorno al quale si formano piccole file per passarvi sotto (cosa che ai più anziani comporta un certo sforzo). Lasciamo il mausoleo per raggiungere il palazzo dell’ultimo emiro di Bukhara. Questa costruzione si trova in un bel parco, ed è composta da un misto di stili, fra i quali scorgo anche qualcosa di russo, poiché qui di russo non hanno avuto solo la dominazione, ma anche forti influenze culturali. Una seconda costruzione, l’harem, conserva ancora esposti magnifici tessuti ricamati.
12/5/2002 – Continuando il percorso, arriviamo alla magnifica Khiva che, racchiusa nel centro storico è rimasta ancora integra fra le sue mura. E’ oggi una città museo, piena di vicoli, madrase, moschee e palazzi. Fonti sicure ne danno l’esistenza già nel XIII sec. come fortezza e stazione commerciale lungo la via della seta, ma era pur sempre un centro secondario che viveva all’ombra della capitale Konye-Urghench in Turkemenistan, sulla diramazione che porta al mar Caspio. Fu soltanto dopo la distruzione di quest’antica capitale da parte di Tamerlano che Khiva fiorì, diventando nel XVI secolo la capitale della Corasmia e raggiunse un’importanza superiore a quella di Bukhara degli Shaybanidi uzbeki. Ciò che predominava in questa città, tra le tribù kazake e turkmene, era il mercato degli schiavi deportati dal deserto del Karakum. In seguito il suo ruolo commerciale diminuì, ma restò sempre un prospero mercato degli schiavi. Dopo alcune spedizioni per la liberazione degli schiavi russi, capitolò senza grosse reazione da parte del Khan.
13/5/2002- Khiva Dal punto di vista della conservazione e perfezione dell’insieme architettonico, la città è unica in Asia Centrale. Il suo restauro cominciò alla fine del XVIII secolo e continuò fino all’inizio del XX. Ora Khiva è un grande museo all’aperto. Palazzi, luoghi di culto, legno e marmo finemente intagliati, terrecotte e mattonelle smaltate creano un ritratto pittoresco della città, fondata più di 25 secoli fa ai confini del Deserto di Kyzilkum.
Khiva è divisa in due parti: la parte interna Ichan Qala e la parte esterna Dishan Qala. Ancora oggi si possono ammirare le mura della fortezza con le sue quattro imponenti porte. Visitiamo i monumenti più famosi: il Tosh Hovli la residenza dello Scià del Khorezm, Jum’a Masjid (“moschea del venerdì”), Kalta Minor, il minareto incompiuto, il Minareto di Islam Khodja ed il mausoleo di Pahlavan Makhmud, tutti splendidi.
14/5/2002 – Khiva frontiera Turkmenistan, Chapayev. Qui ci fermiamo a dormire presso una fattoria dove, seduti su un grande tappeto rosso, gustiamo anche una buona cena. Ripartiamo presto. La strada è asfaltata, ma parecchio rovinata. Proseguiamo per Dashoguz: situata in un’oasi alla sinistra del fiume amudarya. Qui il paesaggio diventa dolce, i campi coltivati sono percorsi da abbondanti corsi d’acqua: animali bradi e scene di quotidianità si alternano ai soliti sconvolgimenti del territorio.
15/5/2002 – Chapayev, Konye Urgench, Dashoguz. Attraverso il deserto di Kyzylkum, ci spostiamo verso nord ovest per giungere a Urghenc, capitale della provincia di Khorezm. Arriviamo a Konya Urghenc e iniziamo subito la visita del sito archeologico: è talmente vasto che sarebbe ideale una bicicletta. Visitiamo sotto un cielo perfettamente terso, il Mausoleo di Turabek Khanum, all’interno siamo colpiti dalle decorazioni della parte inferiore della cupola, che ci dicono, essere rarissime per un edificio islamico trecentesco. All’esterno invece è molto deteriorata. Al di là della strada svetta uno dei minareti più alti dell’Asia centrale, il kutlug Timur che è tutto ciò che resta della moschea, alla quale era collegato con un ponte di legno alto 7 metri, oggi scomparso. Più in là incontriamo il mausoleo del sultano Tekesh, decorato con ceramiche blu. Oltre la collina dei 40 Mullah, si erge il mausoleo di Il Arslan, padre di Tekesh, con la sua cupola conica a 12 lati, dalle decorazioni a zig zag che fu la prima del genere ad essere costruita e della quale Tamerlano copiò il modello per Samarcanda.
16/5/2002 – Torniamo ad Asghabat, da dove ripartiremo per l’Italia. La prima menzione scritta della città di Aşghabat, risale ad una tavoletta dell’epoca dei Parti, nella quale si elogiava la bontà del vino della zona. La città era un piccolo centro dell’impero dei parti la cui capitale era Nisa (le rovine della quale abbiamo visitato). Un terremoto la rase al suolo, ma grazie al traffico dei commercianti che percorrevano la Via della Seta fu progressivamente ricostruita e divenne un centro prospero dal nome di Konjiakala. La regione venne poi occupata da tribù nomadi turkmene e la città perse d’importanza. Quando, dopo la vittoria di Geok Tepe la zona fu invasa dai russi, Aşgabat era solo un modesto villaggio. I russi decisero però di farne la loro capitale regionale e verso la fine del XIX secolo la città venne arricchita da edifici ed alberghi in stile europeo. La città nuova fu progettata su un reticolato di vie perfettamente perpendicolari, la principale è la Prospekt Machtumkuli che divide la città da est a ovest.
17/5/2002 – Asghabat/Roma – Rientro in Italia e fine del viaggio!