Nate sulle colonne del “Corriere della Sera” e per L’Espresso, tra l’82 e l’83, all’indomani dei “Sillabari”, le prose che Parise pubblicava sotto il titolo di “Lontano” sono brevi racconti o piccoli reportages nei quali particolari momenti della vita passata dell’autore si riaccendono come lampi improvvisi. Ecco, ad esempio, l’incontro con una fragile Marylin Monroe, la quale, paragonata a una libellula, emanava un odore molto particolare, qualcosa tra lo zolfo e una capretta di latte.
Ed ecco Fidel Castro, incontrato a Cuba, descritto come un fratone barocco, un misto di Fellini e Mussolini. Bastano questi due esempi per far capire che “Lontano” sarà una sorpresa anche per chi già conosce e apprezza Parise. In queste prose vive un narratore in gran forma, capace di racchiudere nella misura breve tutta la sua esperienza di uomo e di artista. La rapidità e l’impazienza che lo caratterizzano, sul filo del ricordo conduce il lettore fra colpi di stato e rivoluzioni di mezzo mondo, dal Vietnam al Biafra, dal Laos al Cile.
Fu pigra e diede il tempo di ammirare il suo mantello striato, la sua potente mole e muscolatura. Parve perfino che si stirasse e ancora fissò lo sguardo nei fari aprendo le fauci forse per uno sbadiglio negletto e sprezzante verso le nostre due nullità. Poi, di colpo, in un attimo si raccolse e guizzò, lampeggiò al di sopra dell’umidore ed entrò con un tuffo nella selva.
Lontano di Goffredo Parise (pagg. 128, Avagliano Editore).