Alla scoperta di una civiltà della quale, forse, siamo immeritevoli eredi.
di Lucio Perotti
Questo è un invito a visitare almeno una piccola parte della Tuscia l’incantevole zona dell’alto Lazio, dove cittadine fuori del tempo, boschi suggestivi, lunghe e misteriose gole, ma soprattutto innumerevoli tracce della grande civiltà etrusca formano una tra le più belle regioni d’Italia. È nelle forre del Mignone, del Biedano, della Marta che si annidano le necropoli etrusche, unite dai tortuosi e talvolta sinistri “cammini” intagliati nella roccia e che in molti punti offrono ancora il fascino della scoperta avventurosa; mentre dagli altipiani la vista può spaziare all’intorno per un ampio raggio, chiuso a distanza dai Cimini, dai Volsini e dalla Tolfa. Quindi almeno per una volta scordiamoci del mare e lasciamo Roma per la Cassia dirigendoci verso Sutri, prima tappa di un fine settimana destinato (speriamo) ad una prima presa di contatto con una civiltà della quale siamo immeritevoli eredi. La cittadina di Sutri, tutta accatastata e compatta su un breve colle, appare suggestiva ma la sua visita dovrà essere rimandata ad un’altra occasione: oggi è d’obbligo invece fare sosta nel famoso anfiteatro che troviamo sulla nostra sinistra prima di entrare in città.
Tutto intagliato nel tufo, seppur di modeste dimensioni, era capace di accogliere circa 4000 spettatori che per il transito usufruivano di dieci porte poste in un corridoio anulare che percorre sotterraneo tutte le gradinate. È ancora oggi in discussione la sua funzione ma l’opinione prevalente è che fosse un luogo “serio”, destinato a rappresentazioni religiose (d’altro canto sul fianco destro si trovano scavate camere tombali e più in la un interessante mitreo a tre navate). Continuiamo ancora per la Cassia e dopo pochi chilometri deviamo a sinistra per Blera. L’abitato attuale occupa una parte del pianoro limitato dai piccoli fiumi Ricanale e Biedano ove si stendeva la città etrusca. Dal viadotto moderno di entrata alla cittadina è visibile il Ponte del Diavolo, costruzione romana del II secolo a.c. e più lontano la necropoli etrusca che raggiungeremo a piedi dopo aver parcheggiato il mezzo poco dopo il viadotto. Una suggestiva passeggiata tra profondi valloni tufacei ci permette di visitare gruppi di tombe sommerse dalla vegetazione, di modello orientalizzante (VII secolo a.c.), che all’interno presentano sia la camera ad ogiva con fenditura superiore sia l’articolazione in più camere con letti funebri maschili (il cuscino è semicircolare) e femminili con le testate a tetto triangolare. La parte meglio conservata della necropoli è quella a nord-ovest della città (Pian di Vescovo), oltre il ponte della Rocca: la tomba più importante è il “Tumulo della Sfinge”, a due camere sepolcrali con letti funebri per adulti e bambini. Il nome deriva dal ritrovamento di una importantissima scultura (600 a.c.) raffigurante un minaccioso leone, che posto probabilmente all’ingresso, doveva rivestire una funzione apotropaica (è conservato nel Museo di Viterbo). A queste sepolture si affiancano quelle a vari livelli raccordati con scale sul costone tufaceo: da non perdere sulle pendici di Pian Gagliardo la “Grotta Dipinta”, costituita da un ambiente rettangolare con colonna centrale e banchina lungo le pareti che conservano ancora uno zoccolo dipinto di rosso e sormonatato da un motivo di onde nere. Lasciata Blera proseguiamo per la provinciale che immette sulla SS 1bis dove volteremo sulla sinistra (direzione via Aurelia) e sorpassato il piccolo borgo di Monte Romano e le arcate dell’acquedotto medievale di Tarquinia, all’altezza del km 7 troveremo i cartelli che indicano il percorso per raggiungere l’Ara della Regina (foto a pag. 22), un raro e superbo esempio dell’architettura templare etrusca. Il complesso monumentale poggia su un imponente terrapieno di 77 x 34 metri sorretto da muri a blocchi con paramento in nenfro; il santuario si articola su due terrazze: il primo livello è formato da una vasta piattaforma destinata alle cerimonie religiose e al cui centro si conservano i resti dell’altare; il secondo, che ospitava il tempio, era collegato al primo da una rampa con due scale laterali. Il grandioso edificio templare di circa 40 metri per 25, in stile ionico-italico (IV secolo a.c.) che era dedicato ad Artumes (Artemide), è articolato in un’unica cella preceduta da un pronao distilo oggi scomparso. La celebre coppia di cavalli alati in terracotta che ornava il frontone è oggi conservata nel Museo Nazionale di Tarquinia.
Davanti al santuario si conserva una piazza lastricata di epoca romana; sul basolato a nord è collocata una grande fontana marmorea del I secolo a.c., mentre non molto lontano restano ruderi consistenti della cinta muraria e di un vasto edificio di epoca arcaica. Se siamo partiti di sabato, possiamo sostare qui per il pernottamento. L’indomani torniamo indietro (direzione Vetralla) in cerca del segnale turistico di Norchia, uno stupefacente complesso di tombe rupestri, il più ampio e meglio conservato della Tuscia. Occorrerebbero molte pagine per descrivere il luogo: diciamo solo che la suggestione è impressionante in ogni momento e sovrasta la fatica fisica della visita che pure è molta. La necropoli si estende lungo il corso dei fossi Biedano, Pile e Acqualta, con tombe rupestri spesso disposte su più livelli collegati con scale e scalette tortuose, quasi tutte con la facciata scolpita e sepolcro sottostante. Da non tralasciare: alla confluenza dei tre fossi la Tomba Lattanzi, con imponente facciata a doppio portico con semicolonne corinzie e doriche e fregio decorato a grifoni e motivi vegetali; di fronte, nella valle dell’Acqualta, due celebri tombe a tempio, con balaustra a colonne (queste perdute), architrave decorato e frontone con protomi di Gorgone e all’interno una complessa scena di combattimento. Ancora, nel prosieguo, non perdere la Tomba del Camino, la Tomba Prostila, la Tomba degli Ziluse e il complesso delle Tombe Smurinas. Se avrete ancora tempo, sulla via del ritorno, poco prima di Vetralla, sostate al sito detto Grotta Porcina perchè le tombe furono per molto tempo adibite a porcilaie. L’area è importante perchè oltre alle consuete tombe a facciata rupestre, contiene due rari monumenti funerari: il primo, detto “Grande Ruota” (VI sec. a.c.), consiste in un imponente tumulo (28 metri x 4) completamente intagliato nel tufo, con un tamburo modanato e fornito di una sorta di ponticello che permette la salita sulla sommità, mentre all’interno contiene tre camere sepolcrali allineate. L’altro sorge poco distante ed è un santuario, costituito da un’area quadrangolare fornita di gradinate laterali, con al centro un altare cilindrico di 6 metri di diametro, decorato a rilievo con teoria di animali.