È un’India misteriosa e segreta che è tutta da scoprire; una delle regioni più remote e meno visitate del paese. È una terra di confine che nasconde, fra deserti e saline, i villaggi degli ultimi nomadi capaci di trasformare le loro capanne di terra e sterco, in case da fiaba ed i loro tessuti di semplice cotone, in abiti principeschi. Terra che attrae dolcemente gli occhi con le sue mille sfumature di colori, ma molto più intensamente, risveglia il palato e l’olfatto con le sue intense spezie. Un viaggio fra i grandiosi templi giainisti e induisti, le moschee ed i minareti, nei luoghi in cui è ancora viva la memoria di Gandhi e delle prime lotte non violente verso la conquista dell’Indipendenza.
di Anna Maria Cartocci
Partenza sofferta, l’11 febbraio 2012 tra la neve -che a Roma non si era mai vista- che ci ha costretti a molte ore di ritardo e di incertezza, sull’aereo fermo in pista per le operazioni di “defrosting”. Riusciamo a decollare, appena prima dell’annuncio di chiusura dell’aeroporto di Fiumicino. 12 febbraio 2012 – Arriviamo ad Ahmedabad stravolti, ma essendo in notevole ritardo, dopo aver depositato i bagagli in albergo, iniziamo subito il tour della città. Il viaggio in pullman è eccezionale. Assistiamo dall’alto dei nostri sedili allo stile di guida indiano. Innanzitutto si tratta di una sorta di gimkana tra le mucche sacre che fanno da spartitraffico nella strada.
Le macchine si affrontano al centro della carreggiata come in un duello, per poi sfiorarsi all’ultimo secondo evitando la collisione. Il tutto, nel continuo strombazzamento dei clacson. Questa è la città più grande del Gujarat che è stata anche la capitale dello Stato tra il 1960-1970. Fondata nel 1411 dal sultano Ahmed Shah, per molti anni fu centro della lotta pacifica del Mahatma Gandhi per l’indipendenza dell’India . Visitiamo prima due pozzi-cisterna, caratteristici di questa regione, il Dada Harini ed il Mata Bhavani qui, tra il VI e il VII secolo d.C. si cominciarono a scavare giganteschi pozzi per raggiungere la falda acquifera e garantire il consumo d’acqua alla popolazione durante tutto l’anno, perché in questa regione i violenti allagamenti monsonici si alternano sempre a lunghi mesi di totale siccità. Questi pozzi sono costruiti dal basso verso l’alto, le pareti sono lastricate con enormi blocchi di pietra ed hanno i versanti serviti di scalinate, il tutto arricchito da un raffinato decoro. Visitiamo poi la Moschea di Sidi Saiyyed o moschea del Rupmati Rani e poi il Gandhi Smarak Sangrahalaya, un piccolo museo,dove si può ancora camminare sulle orme di Gandhi -che qui ha vissuto ed iniziato la marcia di protesta contro la tassa sul sale imposta dagli inglesi- visitare vari edifici, vedere alcuni dei suoi oggetti personali, come le lettere ed i libri.
13 febbraio 2012- Ripartiamo per visitare l’ Adalaj Vav a 18 km da Ahmedabad ed il Rani Ki Vav a Patan, che sono pozzi tra i più belli ed in migliori condizioni del Gujarat: L’Adalaj vav è il più raffinato. Fu costruito dalla moglie di un capoclan locale per far fronte alla scarsità di acqua della regione e per avere, un ambiente fresco e gradevole. Mentre il Rani-ki-Vav o Pozzo della Regina, fa parte del Patrimonio dell’Unesco. Questi pozzi penetrano la falda acquifera e si riempiono per trasudamento; il livello dell’acqua al loro interno dipende quindi dalle precipitazioni o dalla siccità: dopo il monsone, bastava scendere pochi gradini per abbeverarsi, mentre in periodi secchi si doveva scendere fino ad una profondità di nove piani, dove l’ultima rampa di scale scompariva nell’acqua. Ogni piano è attrezzato con padiglioni colonnati, finemente scolpiti, dove ci si poteva fermare e sedersi per godere il fresco. I pozzi non avevano infatti solo una funzione pratica, ma erano anche un luogo di ritrovo riservato alle donne, alle quali da sempre è affidato l’approvvigionamento dell’acqua per la casa (ancora oggi nei villaggi più sperduti, recarsi alla fonte è l’unica attività indipendente concessa alle ragazze). Vi era poi, come sempre, il lato religioso: in ogni pozzo o serbatoio d’acqua si dice viva Devi, la dea madre, alla quale si può chiedere conforto e grazie bagnandosi nelle sue acque, invocare il suo nome ed onorarla con incensi e lucerne. Il termine Mata, madre, infatti è spesso presente nei nomi dei pozzi della regione.
Poi visitiamo il tempio del sole di Modhera a circa 3 ore di auto dalla città di Ahmedabad, ma la strada qui per fortuna è buona. È più piccolo di altri templi del sole dell’India, ed è circondato da prati ben curati. In primo luogo viene Surya Kund, poi mandap Sabha e la terza struttura è il tempio principale. Le sculture in rilievo sulle pareti esterne sono molto belle ed accurate. Nel tempio principale si avverte odore di pipistrelli, (infatti, con orrore ne vedo un paio pendere dal tetto!). In serata raggiungiamo lo Zainabad Camp dove ci aspetta una grandiosa cena a buffet sotto una bella tettoia con divanetti e tavolini (rigorosamente costruiti in fango e paglia).Qui abbiamo consumato i migliori pasti di tutto il tour del Gujarat. Sia la cena che la colazione consistevano in una ricca selezione di piatti locali dal sapore speziato ma insolitamente delicato. I bellissimi bungalow erano immersi nel verde, nel bel mezzo del Little Rann of Kutch. Le strutture, perfetto esempio di architettura ecosostenibile, sono state realizzate con fango, escrementi di mucca, legno e paglia! Ma ogni bungalow era comunque dotato di tutti i comfort: condizionatore, bagno, antibagno. Grande cura anche per l’estetica: le pareti esterne decorate con foglie e specchietti, e gli interni tappezzati con stoffe coloratissime, di produzione locale. Dhanrajji, il proprietario del resort, è persona di classe e cultura: si esprime in un sorprendente inglese britannico; è anche principe della regione perché discendente di Nawab Zaikan ed è molto cortese e disponibile. Abbiamo avuto la fortuna di soggiornare nel resort in occasione di una festa di matrimonio nel vicino villaggio di Zainabad. L’ospitalità del principe si è spinta sino ad invitarci a prender parte ai festeggiamenti, ci ha accompagnati al villaggio e spiegato tutte le tradizioni legate alla festa di matrimonio.
14 febbraio 2012 – Dal resort, la mattina all’alba siamo partiti in jeep per il giro nel little Rann: una terra alluvionale regno degli uccelli migratori, abitata da graziosissimi asini selvatici, gazzelle, tori blu. Qui abbiamo incontrato anche una quantità enorme di fenicotteri, aironi, martin pescatori, e molti altri uccelli, ed abbiamo potuto ammirare il meraviglioso paesaggio delle saline che estendendosi a perdita d’occhio, hanno lasciato nella mia mente impressioni indelebili (non abbiamo potuto non ricordare le prime “marce per il sale” a cui seguirono le pacifiche lotte condotte da Ghandi ). Da qui raggiungiamo Bhuj, capoluogo della regione del Kutch che è un’antica città con fortificazioni delle quali ancora oggi si scorgono le tracce: enormi vecchie mura che si estendono intorno alle colline dominanti la città, distrutta due volte da forti terremoti, nel 1819 e nel 2001. Il suo nome deriva dalla collina Bhujivo Dungar che la sovrasta.
15 febbraio 2012 – I villaggi che visitiamo procedendo verso il confine, sono Nirona, dove si dipingono tessuti con la “Rogan art”un’applicazione a pennello, di gomma tratta dall’olio di ricino a cui si aggiungono pigmenti colorati; Bhirandiaria dove lavorano il rame; poi Ludia, e infine Dhordo, ultimo villaggio prima del Pakistan.
Questa è la zona più arida (qui un tempo vi era un fiume, ma un terremoto ne ha deviato il corso) i villaggi molto semplici, sono abitati da tribù locali che si caratterizzano per vivere in case di fango e sterco secco con il tetto di paglia e per i tessuti.
Le donne indossano vestiti multicolore che sono autentiche opere d’arte, con vari accessori da semplici bracciali portati alle caviglie o enormi orecchini collegati ai capelli, a pesanti cavigliere e collane.
Sono specializzate nei ricami di abiti e suppellettili per la casa, che danno a quegli ambienti spogli, una nota di colore. Abbiamo l’opportunità di conoscere varie etnie, di “genti del deserto” come l’antico popolo dei Rabari, gli ultimi pastori nomadi che si spostano con le carovane di cammelli, gli uomini con il loro turbante bianco le donne tatuate; gli Afhirs; gli Jats; i Lohar, nei villaggi tribali della regione, con le loro tradizioni ed i costumi secolari ciascuno caratterizzato dalle decorazioni originali delle abitazioni e dalla ricca produzione di artigianato: scialli, tessuti multicolori con specchietti, ceramiche, ricami eseguiti sulle pelli conciate dei bufali, monili, è stata una vera ubriacatura di colori ed emozioni in questa parte di India ancora autentica.
Dopo aver visitato i vari villaggi, passiamo dal piccolo Rann alla piana desertica del grande Rann of Kutch,“deserto di sale”, una palude salata che copre una parte del nord, una regione quasi completamente isolata dal resto del Gujarat. Qui troviamo un’atmosfera completamente diversa, infatti è un’immensa, scintillante, distesa di sabbia mista a sale della quale non si vede la fine, apparentemente disabitata: un paesaggio davvero emozionante. Oggi qui non esistono problemi di frontiere, perché trovandosi il confine all’interno del Grande Rann, sarebbe estremamente difficile per chiunque attraversare la vasta distesa del deserto (comunque l’esercito indiano mantiene una stretta sorveglianza).
16 febbraio 2012 – Tornati a Bhuj, visitiamo nella parte vecchia della città, l’Aina Mahal ( palazzo vecchio) del 1752, appartenuto al Maharao Lakpatji che oltre alle sale riccamente decorate, ospita un museo. Facciamo un’escursione a Mandvi, antico porto dove gli artigiani locali costruiscono le imbarcazioni che solcano le acque del golfo di Kutch e le grandi navi per il trasporto delle merci verso i paesi arabi. Poi, a breve distanza dalla spiaggia, visitiamo lo splendido palazzo in pietra Vijay Vilas, costruito nel 1927, dove incontriamo una comitiva di studenti indiani molto felici di fotografarsi con noi. Infine visitiamo lo Swami Narayan Temple, ricostruito con sovrabbondanza di accecante marmo bianco, dopo essere stato distrutto dal terremoto nel 2001. All’interno alcuni fedeli raccolti in preghiera, non mostrano di essere disturbati dalla nostra invasione.
17 febbraio 2012 – Partiamo per raggiungere Junagadh, fermandoci in un villaggio per osservare l’esecuzione di deliziosi disegni su stoffa, mediante stampini artigianali intagliati nella gomma e montati su legno. Trascorriamo molte ore sul pullman, ma ci fermiamo ad un vivace mercato per comperare acqua e frutta. Poi ancora una sosta per vedere un tempio induista dai vivaci colori e finalmente in hotel (Bahandain Makbara).
18 febbraio 2012 – A Junagadh visitiamo il museo Lakhota, in un piccolo forte su un’isola al centro del lago Ranmal; è collegato alla riva da un lungo ponte, appartenuto al Maharaja Ranjitsinhji che oggi custodisce preziosi cimeli, affreschi, miniature, sculture, una biblioteca e reperti archeologici. Il maharaja fu il primo grande giocatore di cricket indiano, anche se giocava per la Gran Bretagna, non avendo l’India ancora una squadra nazionale, mentre oggi questo è lo sport nazionale. Ripartiamo per raggiungere Dwarka, sulle rive del mar arabico, una cittadina piccola e splendida, piena di pellegrini e santoni, che si affaccia nei ghat fino ad arrivare al faro; è una delle sette città più antiche dell’India. La leggenda vuole che vi risiedesse il dio Krishna. Si crede anche che a causa della violenza del mare la città sia stata sommersa ben sei volte nei secoli, l’attuale è quindi la settima della storia e fu fondata su un sito indicato da Garuda, l’aquila divina. Fa parte dei Char Dham, le quattro località che ogni hindu dovrebbe visitare almeno una volta nella vita ed è anche uno dei sette siti sacri dove, secondo il Garuda Purana, è possibile la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni.
19 febbraio 2012 – Alloggiamo al Dwarika Hotel. Ci svegliamo all’alba per assistere alla cerimonia delle abluzioni dei fedeli, al sorgere del sole, nel fiume Gomati per gli Indù fonte di vita e di resurrezione. Assistiamo ai riti di abluzione, lavaggio e immersione nelle acque del fiume sacro. I Gath sono i luoghi più suggestivi in cui, più che altrove, si avverte la spiritualità della religione indiana.
Qui mentre sorge il sole, vediamo fedeli spingere in acqua piccoli contenitori votivi con offerte, candele e petali di fiori e mentre ci inseriamo nella loro mistica confusione per coglierne espressioni e gesti, sembra non siano affatto disturbati dalla nostra presenza e ci sorridono felici chiedendo di essere fotografati. Nel pomeriggio vediamo il Rukmini Temple, dedicato alla moglie di Krishna e il Nageshwar Mandir, un tempio con una imponente statua di Shiva alta circa 20 metri, dove incontriamo molte ragazze dai colorati sahari e con le mani dipinte che si prestano allegramente ad essere fotografate. Visitatiamo il Dwarkanath Temple, il bellissimo tempio dedicato a Krishna Partenza presto per un’escursione a Porbandar per vedere la casa di Gandhi, l’ingresso è gratuito, la casa, a tre piani, è spoglia: c’è solo una svastica nel punto in cui la madre ha partorito il Mahatma. Poi di nuovo in viaggio verso Junagadh ed il “Resort Leo” che si trova proprio ai piedi della collina di Girnar, sulla strada per i templi.
20 febbraio 2012 – Ancora un’alzataccia! Alle 5,30 si parte per la salita al Girnar Hill, dopo una prima passeggiata di 4 km. in pianura, fra pellegrini accampati o addirittura addormentati sui marciapiedi, raggiungo la porta da cui iniziano i famosi 7.000 scalini, che conducono ai templi per la festa di Maha Shivratri. È affollato di pellegrini, ma ci sono pochissimi turisti che si avventurano sulla ripida scala. Man mano che si sale, la veduta è sempre più spettacolare, la scala si inerpica fra boschetti di teck e spuntoni di roccia, in alcuni punti i gradini sono addirittura scavati nella pietra: Arrivo esausta, fra sorrisi e spintoni, a circa a 4000 scalini e finalmente decido di fermarmi (anche perché ormai il sole di mezzogiorno risplende impietoso) rinunciando a raggiungere la cima del monte dove c’è il vero agglomerato dei templi, “accontentandomi” di partecipare alla gioia dei pellegrini venuti da ogni dove per portare le loro offerte al tempio, di ammirare i tempietti nascosti fra le rocce e di stupirmi per l’aspetto e la nudità dei sadhu. Due grandi feste vengono celebrate in questo luogo: il Kartik Purnima che si celebra nel giorno di luna piena ed il di Maha Shivratri, in febbraio. La discesa, con il caldo, non è stata meno faticosa della salita. Giunta al Resort già pensavo al nuovo “bagno di folla” per la festa che ci sarebbe stata nel pomeriggio, ma a causa -purtroppo- di un incidente grave (un’auto impazzita tra la folla) che si era verificato ai piedi del monte, i festeggiamenti erano stati annullati!
21 febbraio 2012 – Raggiungiamo il tempio di Somnath, il più sacro dei dodici santuari dedicati a shiva, nel villaggio omonimo. L’edificio che si ammira oggi, affacciato sulla costa oceanica, è in realtà recentissimo (1950) ma il fervore popolare e religioso che lo circonda è immenso. La collocazione è molto suggestiva: dalla parte posteriore del tempio, si gode della vista dell’oceano e della spiaggia. Il tempio, antichissimo e fondamentale centro religioso, fu più volte distrutto e ricostruito durante la conquista dell’India occidentale da parte dei conquistatori islamici, fino alla rovina totale da parte dall’imperatore moghul Aurangzeb.
È anche conosciuto con il nome di santuario eterno. Il tempio di Somnath è una grande mèta di pellegrinaggio e vi sono tante storie che raccontano della sua nascita. Una di queste afferma che il tempio sia stato edificato da Somraj, il dio della luna, che lo costruì completamente in oro. La leggenda continua dicendo che Ravana lo ricostruì in argento e che successivamente il tempio fu rifatto dal Signore Krishna in legno di sandalo e ancora una volta ricostruito da Bhimdev in pietra. È però un fatto vero che, quando fu il momento di ristrutturare il tempio, i fondi furono raccolti tra gli oltre diecimila villaggi di tutta la nazione, la fama e la gloria di questo tempio quindi non sono meno di una leggenda.
Proseguiamo per la visita al mahabat, mausoleo di un Nababbo di Junagad, il più rappresentativo dell’architettura indo-islamica del Gujarat, che ha un fascino imponente e sfarzoso, anche per le sue porte d’argento. Vicino la Magdara dai 4 minareti circondati da scale a spirale che sembra uscito da un libro di favole, sulle quali saliamo curiosi. Poi di nuovo in viaggio verso Diu con una sosta per una passeggiata sulla spiaggia di fronte all’isolotto su cui spiccano le lettere D.I.U. e dove si bagnano allegre, molte ragazze in sahari.
Raggiungiamo questa antica base navale dalla quale i turchi ottomani controllavano le rotte marittime del Mar Arabico e che nel 1539 passò sotto il dominio portoghese rimanendovi fino al 1961. Mentre in tutto il Gujarat ci sono leggi proibizioniste a causa delle varie religioni, per cui è vietato bere alcolici, scopriamo con piacere che a Diu è permesso, così la nostra cena è stata più allegra e confusa del solito.
22 febbraio 2012 – Di buon mattino visitiamo il vicino porto peschiero (Veraval?) dalla vivacissima vita, dove assistiamo al ritorno dei pescherecci carichi di ceste di pesce che, gettato in terra, viene selezionato e poi venduto dalle donne.
Visitiamo la città conquistata da Vasco de Gama, che è stata possedimento portoghese sino al 1961, come Daman e Goa.
Diu è un’isoletta ormai quasi saldata alla costa del Gujarat, ma del passato rimangono solo il forte e alcune chiese. Infatti, stretta tra l’imponente fortezza e le massicce mura è una sorta di oasi dall’atmosfera magica e inimitabile, con case dai colori vivaci, tipiche portoghesi, chiese intonacate a calce, porticati, strade strette e sinuose. Il Forte Diu che la sovrasta e da cui si può godere della magnifica vista sul mar arabico è imponente e bellissimo. Anche qui incontriamo una popolazione sempre disponibile e sorridente ai nostri scatti. Ripartiamo per Palitana, dove alloggeremo all’Hotel Sumeru.
23 febbraio 2012 – A Palitana esiste un sito sacro per i cultori del Giainismo, un’antica religione: si tratta dell’imponente collina di Shatrunjava, la cui vetta si raggiunge attraverso scalinate e sentieri, rischiando di perdersi tra gli oltre 860 templi di marmo bianco, un luogo così sacro e venerato dai pellegrini che neanche i sacerdoti possono risiedervi. Questa collina si raggiunge dopo una scalinata di circa 3.500 passi che rappresenta l’ascesa verso la salvezza. È un pò come la Mecca per i cultori dell’Islam, infatti ogni devoto del Giainismo deve recarsi sulla collina di Shatrunjaya almeno una volta nella vita. Anche qui siamo arrivati all’alba, per non farci sorprendere dal caldo lungo la salita, ma qui ho ceduto all’insistenza di due portatori e, anche se con molta riluttanza, mi sono lasciata trasportare sulla portantina!
È stata un’esperienza angosciante per i sensi di colpa, soffocati però dalla consapevolezza che il compenso per questo lavoro ingrato li avrebbe sfamati per circa un mese (A/R 1000 Rupie) e che comunque, non li avrei sfruttati per la discesa. Il luogo è molto particolare non solo per la presenza di un numero incredibile di templi ma anche perché, secondo i dettami di questa religione, nessun essere vivente può essere oggetto di violenza, quindi la natura vi domina incontrastata: che siano piante, insetti o animali. I fedeli inoltre, non possono guardare direttamente le divinità, ma devono venerare le statue guardandole attraverso degli specchi situati nei templi. È stato uno spettacolo straordinario, sia per la bellezza, quantità e posizione dei templi che dominano la vallata, sia per la presenza impressionante di sacerdoti e devoti, molto assorti e coinvolti, ma per nulla disturbati dalla nostra ingombrante presenza. Gli uomini, con vesti bianche, in fila, offrivano coppe di petali di rose alle divinità. Le donne dai colorati sahari sedute in terra a mani giunte, sembravano in estasi. Proseguimento per Bhavnagar, che si affaccia sul mare nella parte settentrionale del golfo di Kambh verso la costa del mar Arabico. La città viene considerata culla di istruzione e di educazione e qui sono nati o hanno lavorato molti poeti e scrittori della cultura gujarati. Uno dei più noti è Narsinh Mehta, poeta-santo ed esponente della poesia religiosa. Noi abbiamo visitato il bazar e trascorso la notte nell’hotel “White horse.”
24 febbraio 2012 – Dopo un lungo trasferimento , arriviamo a Champaner che fa parte del parco archelogico Champaner – Pavagadh ed è patrimonio dell’Unesco. Si tratta dell’unica città islamica rimasta immutata nello stato originario, qui negli ultimi anni del XX secolo è stata condotta un’importante campagna di restauro – Il Pavagadh Fort, complesso davvero sorprendente ed elegante, si trova sulla cima della collina di Pavagadh a sud-ovest del sito archeologico di Champaner. Al suo interno sono presenti dei templi ed anche le rovine di una precedente fortificazione a testimonianza del passato del luogo. È anche abitato da molte scimmie, forse per perpetuare la leggenda hindu per cui la collina sarebbe un frammento dell’Himalaya che il Dio Scimmia Hanuman portò via con sé (è raccontato in uno degli episodi narrati nel poema epico Ramayana) da cui potrebbe derivare il nome Pavagadh, che significa “quarto di collina”. Abbiamo alloggiato all’interno del parco presso l’Hotel Champaner, spartanamente gestito dall’azienda turistica di stato, dove altrettanto spartanamente abbiamo cenato, non prima però, di aver raggiunto, con una sorprendente funicolare, la cima della collina (822 m).
25 febbraio 2012 – Continuiamo la visita del parco visitando la moschea Jami Masjid la cui costruzione fu iniziata nel 1523 e finanziata con il bottino delle varie conquiste. Ha un’ampia struttura simmetrica con una cupola ben proporzionata, l’esterno è riccamente decorato, ed ha una lunga serie di colonne, l’impressionante facciata presenta anche un’importante novità per l’India: due altissimi minareti che fiancheggiano l’ingresso alla navata, veramente notevole. Qui, con sorpresa, abbiamo incontrato anche delle scolaresche in visita. Poi la Shahr Masjid con la sua fila di colonne, cupole ed i delicati “mihrab”(nicchie) che indicano la direzione della Mecca e la Nagina Masjid, anch’esse molto belle ed immerse nel silenzio della campagna. Raggiungiamo Dabhoi fortificata dai Rajputs Solanki dal 1100, che è considerato il luogo di nascita dello stile architettonico indù-Gujarati. il Forte Dabhoi, risalente al XIII secolo è invece un esempio di architettura militare con le sue quattro porte, un serbatoio alimentato da acquedotto e persino le aziende agricole per fornire cibo durante gli assedi. Ritorno ad Ahmedabad dove ci lanciamo negli acquisti, e persino al mercato notturno. Trascorriamo la notte all’Hotel “Good Night”.
26 febbraio 2012 – Sveglia alle 4 per recarci all’aeroporto ed imbarcarci per Mumbai. All’aeroporto ci sono problemi per un errore sulla data di alcuni biglietti di ritorno (prontamente risolti dal nostro coordinatore) ma con qualche affanno per i tempi stretti. Salutiamo i nostri compagni di viaggio che tornano in Italia e, in 12, ci imbarchiamo per raggiungere le spiagge di Goa e prolungare di una settimana la nostra permanenza in India.
27 febbraio 2012 – GOA è il più piccolo stato dell’India per superficie. I portoghesi giunsero qui come mercanti all’inizio del XVI secolo e in breve tempo la conquistarono. In seguito la regione fece parte dell’impero coloniale portoghese per circa 450 anni, divenendo in questo modo uno dei più antichi e duraturi domini coloniali della storia, fin quando non fu occupata dall’India nel 1961.
Oggi è rinomata per le spiagge, i posti di ritrovo e per l’architettura (patrimonio dell’umanità). È notevole anche sotto l’aspetto naturalistico, in quanto vi si trovano molte specie di piante e di animali, infatti è luogo protetto per la sua biodiversità. Ma si sa, i giorni al mare passano lenti e oziosi cullati dal rumore della risacca e scaldati dal calore del sole e noi rimandiamo le visite culturali!
28 febbraio 2012 – La nostra spiaggia è a Palalem, qui alloggiamo in graziosi bungalow dai nomi ispirati a personaggi dei cartoni animati e immersi tra le palme, risvegliati dai litigi dei cani e dagli innumerevoli corvi. Trascorriamo la mattinata in spiaggia nell’attesa della colazione (1 ora e 30 per uno pseudo-caffè) o passeggiando fra le infinite botteghe artigiane, dove presto ci facciamo molti amici. Scopro con stupore che quasi tutti i giovani bottegai di Palalem sostengono di avere una fidanzata in Italia (anzi a Bologna) che un giorno certamente raggiungeranno e ci chiedono poi il significato di alcune frasi italiane del tipo: “mi manchi”, oppure “ti amo”.
29 febbraio 2012 – Decidiamo di scuoterci dal torpore ed essendo giorno di mercato, raggiungiamo Anjai dove ci tuffiamo fra le infinite bancarelle stracolme di meraviglie, per fare acquisti con poche rupie. Poi proseguiamo per la visita alla vecchia Goa, con i suoi palazzi e le sue chiese cattoliche, in stile portoghese.
1 marzo 2012 – Organizziamo un giro in barca per conoscere le altre meravigliose spiagge di Goa e per avere l’opportunità di vedere i delfini al largo. Siamo stati fortunati e ne abbiamo visti molti, bianchi, saltare nell’acqua blu che, pur immergendosi velocemente, ci hanno lasciato il tempo di vedere la coda guizzare, o le pinne per un attimo non completamente coperte dall’acqua. Ci hanno conquistato anche le soste con relativo bagno sulla lunga spiaggia di Agonda con i suoi 3 km di sabbia bianca e la spiaggia Honey Moon, la splendida “laguna blu” con la trasparenza ed il tepore dell’acqua di un fiume azzurro che prima di raggiungere il mare qui forma una tranquilla laguna.
2 marzo 2012 – Oggi il nostro coordinatore Mario è stato avvicinato sulla spiaggia e gli è stato offerto un ruolo in un film di Bollywood! Naturalmente, noi tutte lo abbiamo accompagnato, non potevamo certo perderci l’occasione di vederlo recitare nella parte di un boss mafioso… è stato grande!
Alla fine è scaturito un applauso spontaneo da parte dei cineasti indiani e di tutti i presenti, non c’è dubbio che era adatto alla parte ma, mi chiedo, come avranno fatto ad individuarlo? in fondo, è soltanto scuro di carnagione, alto quanto basta, baffetti malandrini, accento siciliano, sguardo furbo, chissà! Ci montiamo la testa e a cena, in riva al mare con la flebile luce delle candele, ordiniamo tutti l’aragosta…
3 marzo 2012 – È cominciato il viaggio di ritorno. Lasciamo Palalem per raggiungere Mumbai, dove passiamo la notte all’Hotel Ashwin. 4 marzo 2012 – Di nuovo in aeroporto a Mumbai, dove ci imbarcheremo per Dubai e infine per Roma, dove arrivo in serata e vedo con piacere che la neve è sparita ed è quasi primavera!
Sono contenta di aver fatto questo viaggio nel Gujarat perché si è trattato di un’India diversa, molto colorata e profondamente religiosa. Ho letto che i gujarati sono arrivati in India addirittura con gli Unni, hanno attraversato il Punjab e si sono stabiliti in Gujarat. Inizialmente, influenzati dal culto della dea- madre, hanno assorbito le varie tradizioni indù, ma in seguito si sono formati un propria sfera di arte, cultura e divinità. Qui si trovano infatti alcune tra le opere d’arte più grandiose dell’India ma anche stili di vita arcaici legati a minoranze etniche. Visitare queste tribù sparse nei vari villaggi, essere accolta dai loro sorrisi e dal loro entusiasmo, è stata per me un’esperienza davvero indimenticabile.