(2ª parte di: Viaggio in India 1975)
Continua la seconda parte del diario del dr. Alberto Barbieri, autore del testo e delle fotografie di questo coraggioso
viaggio, che lo portò fino in India assieme ad altre 31 persone. Utilizzarono: un Fiat 242 a nafta, tre Fiat 238 a benzina, sette Ford Transit a nafta, due Mercedes a nafta,
una Citroen Ds con Roulotte, tutti mezzi Arca
di Francesca Tania Tancredi
Quando avete attraversato il confine fra il Pakistan e l’India?
“Era il 29 novembre, quando alle ore 9.00 aprirono il cancello che divide le due nazioni. A Wagha si trovava l’unico passaggio per autovetture tra il Pakistan e l’India: quindi l’unica via di accesso tra l’Europa e l’estremo Oriente. Esisteva un altro passaggio a sud, ma era riservato ai cammelli.”
Avete avuto problemi alla dogana?
“Sollevarono una sola obiezione ad uno dei partecipanti, che aveva sul passaporto i nomi e le fotografie dei figli, ma non era stato convalidato dall’Ambasciata Indiana a Roma che aveva rilasciato il visto di entrata per i genitori. È stato più che altro il puntiglio di un doganiere che continuava a ripetere come back, come se il tornare a Roma si risolvesse in una passeggiatina da nulla! Comunque anche questo ostacolo è stato superato, anche se la mia biro Eversharp è rimasta come … offa, nelle mani del doganiere intransigente. A Wagha avevamo l’appuntamento con la guida che avrebbe dovuto accompagnarci per tutto il giro indiano, ma il ritardo sul previsto ha sconvolto il piano iniziale. I telegrammi spediti da Kabul, a causa delle cattive relazioni indo-pakistane, non sono mai giunti a Bombay e la guida, dopo averci invano atteso per tre giorni è rientrata alla base.”
Come avete fatto a proseguire senza guida?
“Da Amritsar, prima città indiana che abbiamo incontrato, siamo riusciti finalmente a telefonare a Bombay, in pochi minuti e grazie alla cortesia del Console Generale d’Italia, Dr. Edmondo Anderlini, ci hanno assicurato che un ex italiano, divenuto cittadino indiano, il Sig. Carlo Marconi, ci avrebbe raggiunti in aereo. Aveva lasciato le sue occupazioni per esserci utile. Era il 30 novembre. Giungeva la guida. Era una persona attempata e simpatica, anche se, conoscendola meglio, finimmo per considerarla un po’ strana. Ci accompagnò, di pomeriggio, a visitare un monumento tipicamente indiano; era il primo nostro approccio con questa civiltà. È rimasto per tutti un ricordo indimenticabile. Non riesco ancora oggi a comprendere se sia così vivo nella memoria, perché è stato il primo incontro con l’India, oppure perché effettivamente è uno dei più suggestivi ed interessanti esempi di religiosità. Si tratta del Golden Temple o Tempio d’oro. È una costruzione molto vasta, quadrangolare, tutta ricoperta di lamine d’oro sia all’esterno che all’interno. La costruzione centrale, il tempio vero e proprio, è circondato dall’acqua, una specie di laghetto, di altezza sufficiente perché una persona possa fare le abluzioni, senza affogare. Al centro vi è il tempio e perimetralmente una strada che conduce al tempio, in cui passeggiano i fedeli. Alla periferia vi è un porticato artistico che esternamente è rifinito a muraglioni e protegge il complesso. La pista centrale sarà approssimativamente lunga un km. Una passerella, a due corsie parallele, immette nell’interno. Una luce tenue invita alla meditazione ed alla preghiera; all’ingresso, un sacerdote ritira le offerte: miele, farina, denari e in estremo silenzio i fedeli si avviano verso un altro sacerdote che dà a tutti, sul palmo della mano, delle pallottoline; probabilmente costituite da farina, miele ed acqua, che relegiosamente vengono mangiate. A contribuire alla misticità del momento, un complesso strumentale, che non si vede e che ripete sempre i medesimi motivi. Da un’altra parte, un gruppo di ciechi, canta una nenia a ritmo di musica. È commovente! Il senso religioso, a qualunque culto appartenga, quando è così profondamente sentito, porta alla devozione ed alla meditazione. I fedeli ed anche i turisti, come noi, prima di entrare, debbono togliersi le scarpe e passare a piedi nudi una specie di ruscello freddissimo (nel nostro periodo e nel pomeriggio) ed iniziare a piedi scalzi la marcia di avvicinamento al tempio vero e proprio. I fedeli locali, i sik (in questa regione non vi sono ne indù, ne musulmani), fanno invece le dovute abluzioni.”
So che avete avuto la possibilità di partecipare ad una festa nuziale!
“In se stessa è stata quasi una delusione, perché, a parte i meravigliosi e multicolori costumi degli sposi e degli invitati, specie i sari delle donne, lo sposo è giunto a cavallo, sorretto dagli amici, e sembrava già ubriaco o drogato e altrettanto può dirsi della sposa; Al termine del vero e proprio servizio nuziale, distribuzione per tutti di polpettine e pasticcini tipici di questi luoghi, ma non è dato conoscere (ed è bene che sia così) con cosa siano stati confezionati. Infatti in questa regione, generalmente non bevono alcolici, non mangiano carne, perché per motivi religiosi, non possono uccidere alcun essere vivente. Hanno farina di colore giallastro, probabilmente un miscuglio di grano, orzo e mais, con cui confezionano quello che loro chiamano nan, il pane. Impastano tale farina con l’acqua e poco sale, poi la lavorano con pezzi di legno (come da noi, in campagna, si fa la sfoglia, ma senza lievito), la stirano, la stendono come fosse una pizza alla napoletana e poi l’adagiano su una specie di cuscino rotondo e la sbattono sulla parte interna del forno. Qui resta per qualche minuto appiccicata alla parete. A tempo debito, prima che si stacchi e cada nel fuoco, la staccano e l’appendo al muro, su uncini, del tipo usato da noi nelle macellerie, in modo che il vapore possa trovare sfogo. Chi non dispone di uncini, getta invece quella specie di pizza per terra, su una lettiera di sassi della grandezza circa di una mandorla, lettiera su cui normalmente, a piedi nudi, passano i fornai. Naturalmente, quando consegnano la merce, grattano via con le mani i sassi che si sono appiccicati all’impasto. A parte la questione igienica, e ‘sembra che le varie iniezioni e vaccini cui ci siamo sottoposti prima della partenza abbiano fatto il loro dovere, questo pane è buono se mangiato ancora caldo, ma se si raffredda, diventa elastico come una gomma americana.”
Quale è stata la tappa successiva?
“Delhj. La città è suddivisa in New Delhj e Delhj propriamente detta. Abbiamo visitato un magazzino gestito dallo Stato a prezzi fissi e con oggetti tipici dell’artigianato indiano: tappeti, lavori in avorio, collane, pietre dure e altro. Siamo andati nel Red Fort o Forte Rosso: una vera e propria cittadina nella città. Lì si rifugiavano i cittadini quando venivano attaccati dagli invasori confinanti. È una città completamente autonoma, con riserve d’acqua, appartamenti per il Gran Moghul, sale per le udienze reali, appartamenti per la regina (o maharani), per le concubine del re, etc. Lo stato di conservazione sia interno che esterno è notevole e denota la civiltà dei cittadini e dei visitatori. Abbiamo visitato la Moschea Jama Masjid; poi una torre alta ben 72 mt in stile indù-musulmano, denominata Qutb Minar; l’Hiren Pilar, una colonna in ferro, alta 7 mt, rimasta intatta, priva di ruggine, da oltre 1500 anni, senza verniciature ed altre protezioni; la tomba del Mahatma Gandhi, considerato a ragione il padre della nuova India. In ultimo, all’imbrunire, siamo passati alla visita di un crematorio ed abbiamo assistito al termine della cremazione di molti cadaveri; erano in arrivo, su traballanti barelle di bambù altre due salme, ma non è stato possibile provvedere al triste ufficio, perché il sole era tramontato.
Questi crematori sono dei locali veramente impressionanti: in ordine perfetto, alcuni rettangoli, delle dimensioni di un normale letto, segnano la zona dove viene elevata la pira; su questa viene deposto il cadavere, che viene accompagnato qui dai soli uomini, e sopra il corpo viene messa altra legna, ben secca. Il figlio maggiore della persona defunta, nel caso in cui siano benestanti e quindi abbiano possibilità economiche, versa del burro fuso sopra la legna e appicca il fuoco. La legna crepita e il suo crepitio si fonde con quello delle ossa, e specialmente del cranio che scoppia. Uno spettacolo orrendo che non si può dimenticare. Quando il rogo si spegne, i parenti raccolgono le ceneri e le gettano nel vicino fiume Yamuna. Tutto il rito si svolge nel massimo silenzio ed ancora una volta restiamo ammirati dalla serietà e dalla religiosità di questo popolo. Per dimenticare il macabro spettacolo, decidiamo di andare a fare shopping in città. Nella città vecchia capitiamo nella zona dei commestibili, non molto adatta, dopo quello che abbiamo veduto! Comunque, la vista di un macellaio, che tenendo il coltello tra l’alluce ed il secondo dito, taglia la carne che strofina sulla lama, tenendola con ambedue le mani, sembra una trovata da circo equestre, mentre è la norma per i macellai indiani. Mentre si pensa alla pulizia dei piedi che sono nudi, anche durante tutta la giornata, si finisce per passare sopra a questo a questo … dettaglio, quando si passa a pagare un filetto di bue 450 lire al kg: sei rupie e mezza!”
Vi è capitato di consumare una cena indiana al ristorante?
“Si. Ci siamo recati al Meti Mahal, un ristorante tipico e rinomato, nel quale è necessaria la prenotazione. Come primo piatto ci hanno servito un abbondante porzione di cipolle stufate; quindi un pollo piccolino, alla diavola, rosso di peperoncino ma gustosissimo. Ci hanno portato anche dell’insalata, ma essendoci stato precisato il sistema di innaffiamento, abbiamo evitato di mangiarla. Poi ci hanno servito dell’ottimo pesce alla griglia e, lasciandoci prendere dalla gola, abbiamo terminato con un fantastico gelato alla crema. Anche questo era stato sconsigliato, ma a nessuno è venuto il mal di pancia. Peccato che per bevanda si poteva avere solo della CocaCola o dell’acqua Bisleri. Il tutto per 23 rupie: circa 1600 lire a testa. Unico neo: il servizio. I camerieri, come i clienti, non avevano a disposizione le posate e quindi si mangiava con le mani. Avevamo terminato la nostra cena e ci attardavamo a chiacchierare. Osservavo i movimenti di un cameriere, che precedentemente aveva servito anche noi. Aveva una necessità fisiologica: doveva soffiarsi il naso. Interrompe il servizio, si soffia il naso con le dita, che si strofina sui pantaloni e poi imperterrito afferra un pollo e con le stesse dita lo depone nel piatto di un cliente! Meglio non pensarci e non immaginare quel che avviene in cucina, lontano da sguardi indiscreti!”
Prima di giungere a Jaipur, avete fatto una sosta ad Amber, cosa avete visitato?
“Il tempio della Dea Kaly, meravigliosa costruzione in marmo rosa, abbandonata tra le varie casupole che l’attorniano e la soffocano. Siamo saliti al Palazzo del Maharaja, stupendo esempio di architettura del XVII secolo. Questo si trova chiuso in un sistema di sicurezza a circa 150 mt sopra il livello stradale. Sono conservate benissimo, in apposite sale: armi, vestiario, la lettiga destinata alla regina, che per l’occasione aveva un carico di circa 30 kg di oro e gioielli vari. Per salire al palazzo molti del gruppo si sono serviti degli elefanti che fanno servizio di autobus: quattro persone e il guidatore.”
Una volta a Jaipur siete stati letteralmente accerchiati da una folla di bambini!
“Erano molti i poveretti che chiedevano la carità; moltissimi i lebbrosi che ostentavano le loro mutilazioni, evitando in ogni modo di toccarci. Un bambino di circa dieci anni, una bella creatura dai lineamenti regolari, completamente nudo, ostentava la sua menomazione: era stato completamente evirato. La nostra guida ci raccontava che alle volte sono gli stessi genitori a compiere queste mutilazioni, solo per ottenere la compassione e quindi l’elemosina dai passanti.”.
Cosa avete visitato a Jaipur?
“Il palazzo del Maharaja protetto da una duplice cerchia di mura. Era ancora in perfetto stato la sala delle armi (una quantità indescrivibile, sia da taglio che a fuoco) e quella dei vestiti: sia maschili che femminili; tra i primi, avevamo notato un vestito che doveva essere stato indossato da un uomo alto più di due mt e pesante oltre i due quintali! Oltre la sala dei manoscritti ed altre sale minori (non per questo meno interessanti), abbiamo visitato l’Osservatorio Astronomico, costruito da Jai Singh II. Ci sono tutte le apparecchiature in pietra per seguire il corso delle stelle e del sole, con un orologio solare, capace di dare l’ora esatta, con uno scarto massimo di un paio di secondi.”
Vuole raccontarci qualche curiosità?
“Ci è accaduto un episodio che ci ha frastornato: in mezzo alla miseria generale, osserviamo alcune donne meravigliose in sari e con ampia gonna di seta a striscioni, come pure uomini elegantissimi, vestiti all’europea e con sgargianti turbanti. Veniamo avvicinati da una donna alta, bellissima, con un libro inglese sotto il braccio. Parla perfettamente l’inglese e farebbe girare la testa anche ad un … monaco! Notiamo che le persone che ci attorniano sorridono, anzi sogghignano. A Jaipur non si può sostare neanche un momento, senza essere attorniati da una cinquantina di persone che osservano, scrutano, anche senza averne l’aria. Ma cosa hanno questa volta da comportarsi in questo modo? Sapremo più tardi il motivo, da un uomo. Quella bellissima dama non era altri che un uomo travestito! Eppure è tanti anni che siamo su questa terra e non portiamo la sveglia al collo!”
Prima di raggiungere Agra avete visitato Fatehpur Sikri: la città morta?
“Fa veramente impressione trovare tanti bei monumenti costruiti nel 1569 dall’imperatore Moghul Akbar, che non avendo eredi, aveva dato retta ad un indovino che gli aveva promesso un figlio dopo che avesse terminato la città. La città, completa di ogni accessorio, era stata abbandonata dopo trentun anni perché le sorgenti che alimentavano le scorte di acqua si erano esaurite. Il 7 dicembre siamo arrivati ad Agra. Abbiamo visitato il Taj Mahal, splendido monumento in marmo bianco, che ha una triste storia. Fù eretto dall’imperatore Shah Giahan per onorare la sua sposa, morta di parto, nel 1630. La costruzione fù terminata dopo soli 22 anni, sembra con la collaborazione di un architetto italiano.”
Poi avete proseguito per Gwalier?
“A Gwalier, ci siamo approvvigionati dell’unica bevanda alcolica, ottima ed a buon mercato, che veniva prodotta in India dalla distillazione della canna da zucchero, il Rhum.
Con 30 rupia circa, e quindi con circa 2.000 lire, se ne poteva comprare una bottiglia della marca Vecchio Orso. Era una conquista poiché fino a quel giorno siamo sempre stati costretti a mezzogiorno, nella mezz’ora precisa consentita, a consumare un panino col formaggio e due uova al piatto, annaffiate da un sorso della preziosa acqua Fabia che ci eravamo portati dall’Italia. Mentre alla sera non abbiamo mai saputo resistere ad un piatto di pastasciutta e ad uno stufato di capretto o di manzo o di pecora, che cuocevamo nella pentola a pressione durante la marcia. A questo piatto di carne seguiva una banana o un’arancia e, da quel giorno, almeno un quarto di bicchiere di rum a testa.”
È vero che siete stati ospiti di un dispensario tubercolare?
“Si, un dispensario per soli bambini, diretto da una buona Signora canadese di religione protestante che insieme ad un’altra Signorina inglese si sono accollate tutto il peso di questa benefica istituzione. Dopo cena, che ognuno ha consumato nel proprio caravan, queste due meravigliose creature, che si sono votate alla carità, quella vera, quella lontana da ogni riconoscimento umano, ci hanno invitato a prendere il tea con i biscotti. Pochi sono intervenuti, i più hanno avuto paura del contagio e mi hanno criticato per aver aderito alla proposta della guida, a sostare nel parco dell’ospedale. Al mattino, prima di partire, abbiamo fatto una colletta in dollari e l’abbiamo consegnata alla direttrice, con la promessa (che sono riuscito a mantenere con il solito aiuto dell’amico Dr. Li Destri di Catania e dell’Ambasciata Italiana di Delhj) che dall’Italia le avremmo spedito dell’ambromicina, farmaco che in pochi giorni sgomina il terribile male, farmaco all’ora sconosciuto in India.”
Che impressione avete avuto di Bombay?
“Una bella città moderna, in cui zone che potrebbero essere europee, si alternano con quartieri vecchi. Il lungo mare era tanto bello da poterlo definire il cuore della città. Una fila di cabine, allora non occupate, segnalava che nella bella stagione, a pochi metri dalle case, ci si poteva bagnare in mare. Segno che l’inquinamento non esisteva? Ne dubito, perché le fogne, parte coperte, ma parte scoperte, non potevano venir smaltite se non dal mare.”
Come sono le donne indiane?
“Generalmente sono belle e si muovono in modo veramente regale. Questo si riscontra in tutti i ceti sociali, anche i più miseri, anche nelle popolane che si recano a compiere i lavori più umili, come la riparazione delle strade o la costruzione di quelle rare case che vengono fabbricate. Vestite del sari di cotone, si caricano in testa delle grandi ceste in cui trasportano sassi ed alle volte anche catrame bollente. Tale lavoro viene svolto così anche quando sulla schiena hanno agganciato l’ultimo nato. Una fatica improba, sopportata con semplicità e signorilità, sembra strano, ma non trovo un termine più rispondente.”
Quali monumenti avete visitato?
“I giardini pubblici sulla collina di Jan Paj, di fronte alla zona rivierasca, che è paragonabile alle più rinomate spiagge degli Stati Uniti d’America. Di notte le luci del lungo mare, si riflettevano nell’acqua, un effetto meraviglioso. La vicinanza della Torre del Silenzio menomava la bellezza gioiosa del giardino.”
Quali monumenti avete visitato?
“I giardini pubblici sulla collina di Jan Paj, di fronte alla zona rivierasca, che è paragonabile alle più rinomate spiagge degli Stati Uniti d’America. Di notte le luci del lungo mare, si riflettevano nell’acqua, un effetto meraviglioso. La vicinanza della Torre del Silenzio menomava la bellezza gioiosa del giardino.”
Cos’è questo monumento?
“Un tronco di piramide rovesciata con la base verso il cielo, per fortuna circondata da ubertosi e grandi alberi. Sulla parete interna di tale torre trovano posto tanti loculi in cui vengono deposti, dopo la morte certa, i corpi completamente nudi dei defunti della casta dei parshi. Il loro corpo, per religione, non può infatti essere cremato, come quello degli indù, ma deve sparire nel nulla; ecco perché diviene il pasto dei corvi e degli avvoltoi che, con larghe volute occupano sempre il cielo sovrastante il macabro monumento. Per facilitare il lavoro di questi … becchini, e poiché nessuno può uscire vivo dalla torre, i sacerdoti di tale setta, sottopongono il corpo del morto ad un trattamento orripilante: prima di esporlo, vienespremuto con un’adatta pressa che produce lo schiacciamento del cranio e del torace, in modo da essere certi della morte dell’uomo e per facilitare l’opera di distruzione. Benché la torre sia prossima alle abitazioni e ai giardini pubblici, intorno non si sente nessun cattivo odore, probabilmente proprio per la sua forma a piramide rovesciata.
Avete visitato quartieri caratteristici?
“Si, quello delle gabbie. Donne di tutte le età, anche giovanissime e alle volte bambine di dieci, undici anni, si offrivano, stando dietro ad inferiate del tipo usato nelle nostre prigioni. Una lampadina rossa, accesa o spenta, indicava se l’ospite era o meno disponibile. Uno spettacolo veramente squallido. Il nostro rappresentante diplomatico ci ha segnalato al riguardo un episodio veramente terribile, avvenuto durante la sua permanenza a Bombay. Era stato informato che una bambina piccola, e che dalle caratteristiche somatiche non era certo un’indiana, era stata abbandonata nelle vicinanze di questa strada, da una straniera bionda dagli occhi celesti. Ben sapendo quale sorte sarebbe toccata a questa innocente creatura, desiderava farla rimpatriare negli stati scandinavi, dove sembrava fosse nata la madre. Si recò una prima volta a constatare la veridicità di quanto gli era stato riferito, ma quando si recò una seconda volta sul luogo, accompagnato dalla polizia, per ottenere la consegna della bambina, questa inspiegabilmente era sparita ed in nessun modo è stato possibile rintracciarla.”
Come avete trascorso la Vigilia di Natale?
“L’abbiamo passata al mattino sulla spiaggia a fare il bagno, mentre nel pomeriggio siamo rientrati al camping per preparare il cenone all’italiana, a mezzanotte abbiamo concluso con la S. Messa. È venuto a celebrarla un sacerdote italiano dell’ordine dei Paolini di Torino. Siamo riusciti a mettere insieme i cibi classici che ci ricordavano l’Italia lontana, ma per motivi di spazio abbiamo consumato la cena nelle autocaravan. Abbiamo terminato con panettone, torrone e champagne francese, che qualcuno, previdente e fortunato era riuscito a non farsi sgraffignare dalle numerose visite doganali. Poi, con il permesso della direzione del camping, abbiamo fatto un gran quadrato con tutti gli automezzi, facendo convergere i fari sull’altare improvvisato al centro; grande commozione durante la Messa e certamente ognuno di noi avrà ringraziato il Buon Dio per averci protetti fino a metà viaggio ed avrà chiesto di continuare a proteggerci fino al rientro in patria.”
E il Natale?
“Il giorno di Natale abbiamo chiuso in bellezza: nel primo pomeriggio abbiamo accompagnato le rispettive consorti in un favoloso albergo del centro, in riva al mare, dove esperti parrucchieri le hanno acconciate per la serata. Al National Center of the Performing Arts, un teatro piccolo e raccolto, tutto riservato a noi (infatti il Console Dr. Anderlini aveva organizzato una festa in nostro onore), la famosa danzatrice indiana: Kanak Relè (dotata anche di due lauree in materie scientifiche), ci ha dato una prova, da sola e con le sue allieve, delle danze tipiche indiane. Era accompagnata da un’orchestrina strana, composta da: una specie di fisarmonica, posta in terra e manovrata con la mano sinistra, mentre la destra scorreva sui tasti; a questo strumento se ne accompagnava uno a fiato una specie di zampogna ed una lyra che sembrava uscita da un museo romano. I suonatori, tutti piuttosto vecchiotti, due uomini ed una donna, erano accoccolati per terra, sul lato sinistro del palcoscenico, mentre la danzatrice, al centro, si esibiva a piedi nudi, in danze che facevano trasparire i più diversi sentimenti: amore, speranza, disperazione, odio, preghiera.
Ai movimenti del corpo, si accompagnavano l’espressione del viso e degli occhi, ma sopratutto l’atteggiamento delle mani, che si contorcevano in continuazione. In India con le mani si può anche parlare ed ogni posizione ha un significato ben preciso. Al termine dello spettacolo, che abbiamo molto gradito, ci siamo recati al meraviglioso albergo Taj Mahal. È in riva al mare, adiacente alla Porta dell’India. È enorme: basti pensare che oltre ai negozi di tutti i tipi, alla banca ospitata al pian terreno, ci sono ben sette saloni per banchetti. In uno di questi ci è stato servito il pranzo. Fastosi lampadari di boemia, moquette alta cinque centimetri, condizionamento d’aria, camerieri e maitre d’hotel in frak. Gli aperitivi ed il vino, i liquori e lo champagne, ci sono stati offerti dal Console italiano: per noi che eravamo abituati a pranzi frugali, annaffiati solo con acqua Fabia, quale gioia poter iniziare con Campari ghiacciato e poter a volontà trangugiare vino Soave e Valpolicella! Un vero regalo natalizio! Ecco il menù: cocktail di scampi, tacchino stufato con salsa, funghi trifolati e vegetali, meringhe alla panna e gelato alla crema. Caffè. Il tutto per 4.200 lire a testa. Purtroppo ben sette persone, che erano state da noi invitate, non hanno potuto partecipare ed ho dovuto pagare anche per loro. Usi e costumi locali!”
Dove avete trascorso l’ultimo dell’anno?
“Abbiamo deciso di passare la serata al Mothi Mahal Restaurant in Faiz Bazar (New Delhi). Per il cenone di fine anno abbiamo dovuto fare la prenotazione e pagare anticipatamente ben 32 rupie a testa, cioè circa 2.300 lire italiane! Il solito pesce, il solito pollo rosso di peperoncino, il solito servizio con le mani sporche e quel che è peggio, data la ressa che costringeva a regolare l’ingresso con nerboruti poliziotti, una CocaCola calda imbevibile. Gli strilli di quattro cagnette che si contorcevano intorno ad una orchestrina non ci hanno convinto ad attendere nel luogo le mezzanotte, per cui abbiamo deciso di rientrare al camping. Gli amici Giuglietti hanno stappato una gelata bottiglia di autentico champagne, che abbiamo accompagnato con un mezzo bicchiere di rhum, Vecchio Orso; il Capodanno è cominciato sotto i migliori auspici! Contrariamente al solito abbiamo procastinato la partenza al pomeriggio ed alle 14.30 abbiamo preso la via di Wagha, unico valico doganale tra India ed Europa.”
Segue la 3ª parte: (Viaggio in India 1975)
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