Una nazione continente, una società unita
dal cemento della religione. Mi ritrovai in
mezzo ad una processione, un furgone aveva
sul tetto un supporto decorato che sorreggeva
due aste di ferro, libere di oscillare e ruotare.
Vi erano appese 4 persone che si trovavano
così supine ad un paio di metri da terra.
Quella più vicina a me aveva una lunga lancia
che gli passava la bocca da parte a
parte attraverso le guance, un secondo
spillone infisso attraverso la lingua
che restava così fuori della bocca.
di Giuseppe Bacci
Sono passati molti anni dal mio viaggio nell’India del sud, ma ricordo con piacere quel paese ed in particolare l’impressione che ne ho ricevuto di una grande nazione ma soprattutto di una grande cultura, così diversa dalla nostra, e dalla quale avremmo molto da imparare.
Quando si viaggia per questa nazione si comprende come questo popolo abbia potuto con la non violenza vincere la lotta per l’indipendenza contro una nazione potente e determinata come l’Inghilterra.
La spiritualità e la fede in valori non materiali sono in India così diffusi tra tutti i ceti sociali che anche il turista più frettoloso ne percepisce la presenza.
Per chi non ha mai visitato questo paese, bisogna dire che l’India ha una popolazione di oltre un miliardo e duecentomila abitanti, ed anche se in Italia si pensa che la povertà sia molto diffusa, bisogna considerare che l’India è una grande democrazia, una potenza economica notevole, con fabbriche di ogni genere, all’avanguardia nel settore informatico, leader nella produzione cinematografica, con tecnologie capaci di produrre bombe atomiche e mandare satelliti nello spazio.
E se è vero che molte persone vivono in condizioni molto misere, è pure vero che vi sono molte persone ricche.
Abbiamo così da una parte la famiglia Tata, miliardari, proprietari di grandi fabbriche di autoveicoli esportati in tutta l’Asia, dall’altra persone così povere da fare sì che le statistiche dicano che con il cibo consumato (e sprecato) da un italiano medio si possano nutrire 36 indiani.
Il cemento che tiene unita una società con tali diversità sociali è senz’altro la religione.
Ma non la religione gestita dai preti, bensì il sentimento religioso diffuso nel popolo e la fede nella reincarnazione comune ad induismo e buddismo.
In India ognuno accetta la propria condizione di vita, per quanto miserrima, in quanto crede che ogni anima debba compiere una certo numero di cicli di vita, di reincarnazioni.
Le reincarnazioni non avvengono solo come uomini, ma anche come animali, insetti ed altro, in un crescendo che parte dagli esseri più semplici per andare fino agli uomini passando poi dai ceti sociali più poveri fino ad arrivare a quelli più ricchi e potenti.
Ma ogni volta che si muore, la reincarnazione successiva potrà avvenire in un essere migliore o peggiore a seconda dei meriti che si sono accumulati durante la vita precedente.
Insomma a differenza della nostra religione che promette vita eterna, in paradiso o all’inferno a seconda dei meriti, in India la religione promette un futuro migliore ma sulla terra nella prossima vita, fino a raggiungere dopo tutte le reincarnazioni un meritato oblio.
Insomma ero in viaggio nel sud dell’India quando mi ritrovai in mezzo ad una delle tante processioni che i fedeli fanno lungo le strade. Il mio sguardo fu attratto da un camioncino che sfilava tra i fedeli.
Aveva sul tetto un supporto decorato che sorreggeva due lunghe aste di ferro, libere di oscillare e ruotare.
Alle estremità delle aste erano appese quattro persone che si trovavano così supine ad un paio di metri da terra.
Quella più vicina a me aveva una lunga lancia che gli passava la bocca da parte a parte attraverso le guance, ed un secondo spillone infisso attraverso la lingua che restava così fuori della bocca.
Il malcapitato, che però non sembrava né sofferente né preoccupato, aveva circa 30 anni ed un abbigliamento da festa.
Chiesi all’autista del mio taxi perché fosse sottoposto ad un simile trattamento, e lui mi spiegò che era usanza tra i fedeli, in occasione di quella festa, espiare pubblicamente delle colpe commesse durante l’anno, e quindi i peccatori si sottoponevano volontariamente a quel supplizio per dimostrare il loro pentimento. Mi venne spontaneo chiedere quali colpe potevano aver commesso, e lui mi rispose che ad esempio potevano essere dei mariti che avevano tradito le mogli.
Devo dire che da quel momento guardai di meno le indiane dal bellissimo seno rotondo, a volte mostrato anche nudo senza alcuna malizia durante le abluzioni.
Ne avevamo incontrate lungo la strada nei giorni precedenti, e rappresentavano le immagini vive di quelle sculture che adornano il basamento degli antichi templi indù. Tenni gli occhi incollati su mia moglie.
Non volevo correre il rischio di dover espiare qualche colpa…