Sul finire dell’estate del 2010, stavo riordinando la biblioteca
di mio padre, scomparso nel luglio di quell’anno. Aveva viaggiato molto soprattutto per lavoro, ed amava acquistare libri di viaggio, così ho ritrovato un libro di selezione della narrativa mondiale: “In camper a Katmandu” appunti di viaggio della famiglia Des Pallières. Il titolo dell’edizione francese: “Quatre Enfants et un Rêve” tradotto dal francese
da Alberto Gini. Ed ho deciso che poteva essere
un’occasione per ricordare un viaggio in camper durato
un anno e mezzo e organizzato da una coppia francese
con 4 figli, senza nessuna esperienza di viaggi in paesi lontani e con pochi soldi a disposizione. L’edizione italiana cartacea è introvabile, reperibile la francese.
di Christian e Marie-France Des Palliéres
Christian. L’inizio dell’avventura. Tutto cominciò circa due anni or sono, in una giornata grigia, forse ancora più grigia del solito. Era una domenica e, insieme con i nostri quattro figli, uscivamo da un cinema. Quante avventure, e quanto sole, in quel film! Fuori pioveva, e la strada era scura, come scuri erano anche il cielo, i muri delle case, e tutto il resto. Il giomo dopo, un lunedi come tanti altri, mi sarebbe toccato correre per prendere al volo il treno che da Meudon portava a Parigi, e poi la metropolitana. Avrei trascorso la giornata in un mondo di uomini seri ed efficienti e sarei rincasato, la sera, con la voglia di giocare con i bambini, vederli crescere, sentirli ridere. E invece ci sarebbero stati i compiti da fare e, subito dopo, tutti a nanna, per ricominciare come il solito l’indomani. Ancora abbagliati dalle scene solari del film, ci eravamo incamminati, tenendoci a braccetto, verso la nostra vecchia Renault 16 che ormai partiva solo a spinta. Devo aver buttato li una frase più o meno come questa: “E se si partisse per il giro del mondo?…” Marie-France, mia moglie, una donna minuta, dagli occhi grandi come il mare, si era girata verso di me guardandomi con un’incredulità mista a speranza. “Dici davvero? Guarda che ti prendo in parola...” Dal tono della voce mi resi conto di averla turbata, sia pure di poco, e in verità quella reazione non me l’aspettavo. In fondo, avevo solo lasciato libero un palloncino colorato per vederlo salire in cielo e poi Scoppiare. Ma quello invece non scoppiava. Dovevo prevederlo.
La mia straordinaria Marie-France!
Avendo afferrato che non scherzavamo, i bambini si erano scatenati. Durante il viaggio di ritorno a casa si misero a gridare tutti quanti insieme nell’automobile. Bertrand, dieci anni, adorabile e sensibile, un sognatore che però difficilmente getta la spugna, dotato di un’armoniosa voce da soprano, pretendeva che facessimo quel nostro giro del mondo a dorso di cammello. Isabelle, sette anni, sempre pronta a tutte le avventure, così buffa con quella sua faccina tonda e quelle sue codine ribelli, e con un’innata propensione a combinare pasticci, proponeva un pallone aerostatico. Marie-France, più posata, propendeva per il camper. Eravamo tutti sovreccitati, di modo che il viaggio si era concluso con uno di quei cori travolgenti che costituivano la nostra specialità. Appena varcata la soglia di casa, Marie-France si era precipitata al telefono.
È fatta così, lei: gioie e dolori non sa tenerli per sé. Deve condividerli per forza con gli altri. Quindi, prima ancora che riuscissi a obiettare alcunché, già parlava con Nonnina. E cosi mi bruciava tutti i ponti alle spalle. Ormai ne andava del mio onore! Mi pare ancora di sentirla, attenta a non rovinare l’effetto-sorpresa: “Pronto, mamma? Reggiti forte, ché ho da darti una grande notizia!” Ascolta: partiamo per il giro del mondo!” Mi immagino la faccia di Nonnina a1l’altro capo del filo… “Ma no che non scherzo! Davvero! Dico sul serio! Non mi credi?… Christian? Be’, troverà il modo, chissà… magari un’aspettativa. La scuola? Be’… si vedrà! Intanto, all’aritmetica ci penserà Christian.”
All’improvviso mi vedo alle prese con migliaia dei soliti problemi rompicapo: treni sferraglianti a novantasette chilometri all’ora e vasche che non la finiscono mai di svuotarsi… povero me! “Si, si, lo so.” A questo punto Marie-France sembra meno sicura di sé. “Ma Christian intende risparmiare!” Dopo quella telefonata, Marie-France ne aveva fatte una decina; le reazioni però non erano state all’altezza del suo entusiasmo. In pratica, nessuno ci prendeva sul serio, e magari ci sospettavano pure di aver alzato un po’ il gomito, quella sera. Bertrand nel frattempo era andato a prendere il suo mappamondo e adesso ci stringevamo tutti attorno a quel globo.
“E i soldi?” Lo sapevo che Marie-France se ne sarebbe uscita con quella domanda inopportuna. Indotta da una sua connaturata propensione a occuparsi dei lati pratici della vita, sfondava il tuo tappeto magico per farti ritrovare per terra, dopo un volo senza paracadute. “Cosa, i soldi? D’ora in poi staremo attenti.” I bambini erano intervenuti a darmi manforte; “Tanto, ci basta andare per strada a cantare”. “Oppure basta vendere i miei disegni!” si era offerto Eric, l’artista di casa. Sei anni, un sorriso da Gesù Bambino, calmo e riflessivo, sempre misteriosamente assente quando c’é da sfaccendare. Steso pancia a terra sul tappeto, mi tormentava l’orecchio destro. Tuttavia, e nonostante le innegabili doti del nostro pittore, quale unico cliente ben disposto non vedevo altri che Nonnina. Caroline, undici anni, due trecce bionde, occhi azzurri, graziosa e giudiziosa, assai brava a maneggiare la penna e la chitarra, era tornata dalla sua camera portando una scatola per scarpe tenuta insieme dallo scotch. Sopra vi aveva scritto in lettere a stampatello di vari colori: cassa comune del viaggio. Gli altri erano subito corsi nelle loro camere per tornare con i loro salvadanai e versare nella scatola ogni loro avere: risparmi e piccole mance… Li abbracciammo stringendoli un po’ più forte del solito e cercando di non lasciar trasparire la nostra commozione. Fu allora, in quel preciso momento, che ebbi la certezza che saremmo partiti. I bambini avrebbero voluto che decidessimo subito, all’istante, e si addormentarono solo dopo aver ottenuto la promessa, ripetuta dieci volte, che non avremmo cambiato idea. “Io porterò la mia bambola, Coralie, perché lei non ha mai fatto il giro del mondo!” aveva concluso Isabelle. Ora che i miei giramondo in erba si erano addormentati, all’improvviso mi rendevo conto di quale immensa montagna di problemi avevo sollevato con quella frase, pur cosi piccola. Proprio vero che con Marie-France non si può sognare a voce alta.
Già l’anno prima, all’uscita da un cinema, dopo aver visto un film in cui si narrava di una numerosa famiglia austriaca che aveva formato un coro, avevo pronunciato queste imprudenti parole: “Sarebbe bello se riuscissimo a fare un coro anche noi!” Fin dalla stessa sera, e dopo che ci eravamo riuniti tutti e sei in salotto come il solito, già non nutrivo più alcuna illusione sull’avvenire del nostro coro. Dovevamo assolutamente lasciar perdere, se non volevamo inimicarci i vicini.
Solo che non avevo messo in conto la tenacia di Marie-France! Stregati dal film, ci buttammo a corpo morto nel folclore tirolese. Quanto al folclore, nessuno ci batteva. Per ciò che riguardava il Tirolo, invece, ci facemmo spedire i costumi di quella terra. I bambini erano deliziosi, Marie-France un incanto, mentre io andavo orgoglioso dei calzoni corti di cuoio con bretelle e dei calzettoni rossi… …Ogni sera Marie-France ci aspettava per prove, e guai agli scansafatiche…
…Ben presto però eravamo giunti alla conclusione che non facevamo abbastanza rumore, e così decidemmo di armarci di strumenti. Eric rimediò un triangolo e un tamburello; Isabelle uno xilofono, gli altri una chitarra ciascuno. In poco tempo la loro fama varcò i confini del condominio, non ci fu matrimonio, festa parrocchiale che non li vedesse tra le attrazioni. Avevano finito per creare un vero coretto musicale. (Ndr) Passiamo parecchie domeniche a visitare i rivenditori di camper, i quali ignorano che non disponiamo di un soldo bucato. In una delle nostre ultime visite “il venditore ci riaccompagna fino alla nostra vecchia Renault sulla quale prende posto, molto dignitosamente, l’intera famiglia. …Per tirare su il morale, attacco la nostra canzone tirolese preferita. I viaggi in macchina ci ispirano sempre allegre cantatine. E così abbiamo dimenticato i camper inavvicinabili e, fra una canzone e l’altra, filiamo a gran velocità sognando colline verdeggianti e fiorite.
Una sera, tornando a casa, trovo Marie-France seduta al tavolo, in salotto, in mezzo a decine di estratti-conto bancari e di fogli scarabocchiati di cifre. “Hai visto i conti?…” Non li ho visti, ma ho l’impressione che ne sentirò molto parlare. “Se si continua cosi, inutile anche solo pensare al viaggio!…” Da dodici mesi ci prepariamo, si parte fra un anno, ma ancora non abbiamo un soldo da parte!” I bambini ci guardano sconsolati. Isabelle apre la cassa comune e Bertrand fa i conti, impegnando le dita per i riporti: settecentotrentadue franchi e trenta centesimi.
“M’è venuta un’idea! Dobbiamo preparare una bella presentazione del nostro progetto, con l’itinerario, i costi e tutto il resto! Nel libro che sto leggendo, i protagonisti si sono organizzati così. Hanno spedito il fascicolo a tante aziende e hanno trovato degli sponsor per l’equipaggiamento.” Ho fatto centro: Marie-France mi segue con attenzione. “Inoltre, potremmo dare dei concerti! Forse che non e stato un successo, sabato scorso, quella cena conviviale per la terza età?”
Scrive centinaia di lettere ai fabbricanti di autoveicoli e di macchine fotografiche, alle ambasciate, alle compagnie petrolifere, alle banche, al ministero della Pubblica Istruzione, al nostro padrone di casa, all’esattore, a Babbo Natale…
C’é poi stata quella telefonata: un’amica che conosce uno che… se non le sa lui, queste cose… I paesi dei quali andiamo tanto sognando, ci ha detto, in realta sono posti da incubo. Dietro ogni angolo si nasconde qualcuno pronto a sgozzarti. Per i bambini, poi, è troppo pericoloso. Se ci teniamo, possiamo anche giocare con le nostre vite, ma con le loro, no, suvvia! “Se davvero volete andare, almeno, lasciateli qui.” Partire senza i nostri figli? Mi sono sentito salire la mosca al naso: ebbene, si, i rischi ci sono, eccome! E parecchi ne ha dimenticati, la cara amica. Eh già, rischiamo anche di farci sventrare, stuprare, tagliare a fette! No, non troveremo un medico a ogni svolta di pista! E se i bambini si prendono tutti quanti insieme il colera, e la malaria, o un’appendicite acuta o magari il tifo, ebbene si, ci troveremo nei guai, altroché! Come se, dopo tanti mesi di preparativi, non li conoscessimo a memoria, questi benedetti rischi! Come se non cercassimo di porvi rimedio! Lo sappiamo perfettamente che non li si può eliminare tutti! Ma non è forse un rischio portarsi dietro i figli a centotrenta all’ora sull’autostrada?
E Così i mesi passano. Ma non si muove nulla. A poco a poco i parenti si mettono l’animo in pace: vedrai che non partiranno mai. E poi, un bel giorno, arrivò quella lettera, cento volte riletta, di un certo signor Alain, di Meaux, un costruttore di camper:
“Il Vostro progetto ci interessa… Vogliate prendere contatto con noi al più presto”. Andammo da lui di corsa. Ancora oggi rivedo tutti noi al cospetto del signor Alain. Bisognava risultare convincenti! Per oltre un’ora esponemmo le nostre idee. Seguì l’attesa. Sarà sì oppure no? Fu “sì”. Quasi lo baciavamo. Prendiamo il treno per Meaux Troviamo ad attenderci il signor Alain. Ci legge nel pensiero. “No, sono venuto senza, perché ancora devono ultimare l’installazione delle taniche. Venite, vi ci porto.”
Ci fermiamo nel vasto piazzale gremito di camper. Quello nostro, piccolino, bianco e pimpante, si distingue da tutti gli altri per la grande mappa dipinta su di una fiancata: il nostro itinerario. La grata di protezione sul muso e le due taniche sul di dietro gli conferiscono un aspetto alquanto “campagnolo”. È amore a prima vista. Cerco di apparire calmo, ma avrei voglia di mettermi a saltellare come Isabelle che, per l’eccitazione, non sta più nella pelle. Il signor Alain studia le nostre reazioni ridendo sotto i baffi. L’ha curato in ogni minimo particolare e si vede benissimo.
“L’ho attrezzato come se dovesse servire a me. Voi realizzerete il grande sogno della mia vita!” mi confida. Restiamo li impalati, ancora incapaci di crederci. Eric mi si avvicina timidamente: “È davvero nostro, questo qui?” Il signor Alain apre la porta posteriore. “Accomodatevi pure. È tutto vostro!” Mentre i bambini partono all’arrembaggio urlando come ossessi, Marie-France e io ci occupiamo degli ultimi particolari. La conversazione assume accenti lirici. “Nel gabinetto vi faccio installare il modello 44 oppure il 66? Apprendiamo seduta stante che si tratta del numero delle “visite” e alla fine optiamo per il 66, che dovrebbe consentirci di resistere a un assedio di circa quattro giorni!
Si parte. Il signor Alain subisce l’aggressione della mia progenie: viene travolto da una valanga di baci, pieni di entusiasmo e di riconoscenza, e anche un tantino appiccicosi. Io mi limito a stringergli la mano, anche se in cuor mio non sono da meno dei miei figli. Alla fine salgo in cabina. Un’occhiata al retrovisore: seduti sull’estremità del sedile, compunti come nel giorno della prima comunione, i bambini trattengono il respiro. Attimi di ansia e di attesa… Contatto. Il motore risponde con un ronzio meraviglioso. Ingrano la prima. Il signor Alain ci saluta con un gran sorriso “ Buon viaggio!” Ostentando una serenità solo apparente, tant’é che una gamba mi trema leggermente, porto via la mia famiglia, che sembra di pietra, e mi impegno per imboccare l’uscita senza andare a cozzare contro tutti questi bei camper, o contro il cancello del piazzale. Ecco, è andata. Nessuno può più vederci. “Iahooooooo! »
Troppo a lungo ci siamo trattenuti e a questo punto, logicamente, si scatena l’inferno. Un assalto dei pellirosse, con tanto di rullar di tam-tam ottenuto battendo le mani sul ripiano del tavolo. Diecimila decibel sparati nei timpani; e mentre tutti quanti scoppiamo a ridere fino alle lacrime, mi viene da pensare al mio capo, il principale, e ai miei quarantaquattro anni. “No-stro! È tutto nostro!” “Ah! Sai come ci rimarranno quelli pronti a scommettere che non saremmo mai partiti!
“Vogliamo trovare un nome per il nostro camper?” “Sì, dai, Sì!” “La casa viaggiante.” “Piccolo nido!” …Nel frattempo, il nostro camper è andato riscuotendo un successo enorme. …In effetti è assai buffo, con tutte quelle scritte. …“Ma sapete che lo si guida davvero bene, questo… Nanobus!”
…È già buio. Poco fa ci siamo fermati per abbassare il tavolo e mettere alla prova l’equipaggiamento-notte. L’esperimento riesce in pieno: i nostri quattro pellirosse sono caduti in un sonno profondo. Marie-France li osserva con l’attenzione amorosa di una mamma chioccia. Davanti a quel quadretto sento che mi si stringe il cuore.
Il signor Laurent, il direttore del Centro culturale, ha sentito parlare di noi e dei nostri cori da un amico. “Seicento franchi vi sembrerebbero abbastanza?» ci propone.
“Altroché!” “Allora metto in programma una festa d’addio per voi.”Mi sento tremare dentro. Sarà per l’atmosfera, o per la simpatia che dalla platea sale a noi, ma a poco a poco le nostre voci si fondono più armoniosamente. Isabelle, allo xilofono, conquista definitivamente il pubblico sbagliando clamorosamente un attacco. L’intera sala ci urla il suo entusiasmo.
Ogni giorno, Marie-France attende il portalettere al varco; lesta, scarta le bollette del gas o la pubblicità. Oggi, si gira verso di noi con due occhi grandi cosi e la bocca aperta, come se avesse ingoiato la posta: “È… è la tivù! Hanno sentito parlare di noi”. “La tivù?!…” In effetti le nostre facce cominciavano a piacere. Il nostro coretto era già stato ospite – un ospite assai emozionato – di alcune trasmissioni radiofoniche.
“Dunque, Christian Des Pallières, girerete il mondo per ben diciotto mesi…” Mi fermo. Ho risposto bene. Non è poi cosi difficile.
“E per la scuola? Come vi regolerete?” Anche questa volta ho la risposta bell’e pronta. Marie-France e io, trepidanti come scolaretti, eravamo andati a trovare la direttrice della scuola dei bambini. “Li iscriveremo a una scuola per corrispondenza. Mia moglie lì seguirà per le lingue e io per la matematica… E non si dice, d’altra parte, che la scuola migliore è il mondo?”
“Un’ultima curiosità. Un viaggio del genere viene sicuramente a costare parecchio. Come avete messo insieme tutti questi soldi?” Eccomi nei guai. Penso ai parenti, che stanno a guardarmi dall’altra parte delle telecamere. Come posso rivelare che ho venduto il servizio di zia Marcelle, o la piccola console sopravvissuta a tante generazioni, e i regali di nozze, le posate d’argento, i mobili e perfino i letti? “Ecco… per cominciare, abbiamo costituito una cassa comune.
Da due anni risparmiamo su ogni cosa. L’impegno è di tutti, dei bambini in primo luogo, Entrano poi nel conto gli incassi derivanti dagli spettacoli dati dal nostro piccolo coro. Inoltre abbiamo dovuto chiedere dei prestiti. Non vanno infine dimenticati i contributi di enti quali il Fondo nazionale per l’avventura, gestito dalla Corporazione europea dell’escursionista…”
A questo punto, facendo finta di nulla, regalo un po’ di pubblicità ai nostri sponsor. “E neppure vanno dimenticate, naturalmente, le ditte che ci hanno dato una mano: per il camper, per la cinepresa.”
Meudon, 1°agosto 1977 “No, No! Tutti fuori, altrimenti non capisco più nulla! Piuttosto, voi passatemi la roba.” Eccoci alla partenza. Marie-France ha assunto il comando, e che nessuno osi ribellarsi.
Nanobus troneggia in mezzo a un immenso mare di roba sparsa per ogni dove: sulle scale, nell’ingresso e perfino sul prato. Mia suocera guarda con sgomento quella distesa: “E vorreste ficcare tutta questa roba lì dentro? Nanobus ha ingoiato tutto. Perfino la chitarra, lo xilofono e la crostata di Nonnina. Strapieno come un fienile dopo la falciatura, la parte posteriore del camper tocca quasi terra e ci toccherà penare non poco per ricavarci un posticino la dentro. La partenza è avvenuta sul far della sera, nel silenzio più assoluto, come se non ci sentissimo capaci di sopportare il peso dell’ora. Fino all’ultimo i bambini sono rimasti a salutare con la mano, ma adesso siamo troppo distanti.
Chalons-sur-Marne e subito siamo crollati, come massi, sulle cuccette, senza neppure cenare. Pipì, i denti, le preghiere, e tutti a nanna. Ma Marie-France aveva ancora la forza di pensare: “Sai quanto ci rimane in cassa?” “No, ma preferirei riparlarne domani!” “Ebbene, appena undicimila franchi per diciotto mesi. Non riusciremo a pagare neppure la benzina!”
Chàlons-sur-Marne, 2 agosto “Ma ti dico di sì, sono proprio loro, quelli visti in tivu’!” “Figurati!…” “Ma sì, con i quattro ragazzini… Riconosco la mappa, sul fianco del camper!” Apro un occhio. Si sente l’odore buono dell’erba e della campagna. Mentre al suo interno tutti dormono, Nanobus è stato riconosciuto dalle persone all’esterno.
Intorno a lui fervono le discussioni. Una voce legge la mappa: “Parigi, Monaco, Vienna, Belgrado, Istanbul…”
La parte del viaggio fino a Istambul e quella fino al confine iraniano la saltiamo per ragioni di spazio, ma anche perché è oramai conosciuta da tanti camperisti.
Cara Nonnina,
siamo arrivati in Grecia e, poco fa, abbiamo raggiunto Alessandropoli. Cerca di immaginarti un cielo tutto azzurro, un mare trasparente e caldo, i pini e gli oleandri, gli ulivi che ti fanno ombra dopo il bagno, il canto delle cicale, e lunghe serate attorno al barbecue, i grilli e i bagni di notte, per non parlare, naturalmente, delle veglie serali durante le quali papà, ogni giorno, inventa una nuova favola storica sulla Grecia. Piano piano la vita si organizza all’interno di Nanobus, ci stiamo adattando. Il momento più critico è quando ci tocca smontare tutto per preparare i letti. Sapessi che impresa! Bisogna tirare giù dal letto a mansarda lo xilofono per sistemarlo nella cabina di guida assieme a decine di altre cose, non ultima – manco a dirlo – la bambola di Isabelle. Dopo, ripieghiamo il tavolo e, sotto, ci infiliamo l’apparecchio fotografico e la cinepresa. La mattina dopo, immancabilmente, bisogna ricominciare tutto da Capo, ma stavolta alla rovescia. Io non ci dormo più lassù, perché Isabelle e Bertrand si accapigliano un po’ troppo spesso. Cosi, adesso, utilizziamo il lettino aggiuntivo, quello di tela, e lo stendiamo sopra il lavello e i piedi di mamma e papà. La sera, per non disturbarci con la luce, appendono con una molletta per il bucato una coperta fra le maniglie degli armadietti. Per le faccende domestiche, ci dividiamo i compiti, e quasi sempre senza tante storie. Io scelgo spesso di lavare i piatti, perché altrimenti i piccoli finiscono per lasciarli dove capita. Se tutto va bene, domani si dovrebbe arrivare a Istanbul. Ma ti rendi conto?… Un abbraccio forte forte, Caroline
Istanbul, Turchia, 22 agosto Ieri sera siamo arrivati a Istanbul. Del viaggio ho poco da raccontare, a parte il fatto che i turchi sono molto scuri di pelle e hanno baffi stupendi. Già nel pomeriggio andremo a ritirare la nostra corrispondenza giacente all’American Express. Ci preoccupava un tantino il pensiero di dove sistemarci per la notte con Nanobus: ci siamo sentiti ripetere un sacco di volte che le strade di Istanbul sono pericolose e che di notte potrebbero svaligiarci. Invece siamo arrivati in un grande campeggio, una ventina di chilometri prima della città, zeppo di tedeschi, di inglesi, di olandesi e anche di francesi. Cinque minuti dopo, Isabelle è tornata dalle toilette urlando: “Mamma, nei bagni delle donne ci sono i turchi!” Quanto abbiamo riso! Perché sulle prime abbiamo davvero pensato ai banditi turchi, mentre lei invece intendeva solo che le toilette erano alla turca. Mamma è rimasta molto soddisfatta, perché dice che sono più igieniche. Ci hanno sconsigliato assolutamente di servirci del camper per visitare Istanbul. Nel giro di cinque minuti verremmo derubati di tutto. ...Accanto a noi, poco fa, è venuta a piazzarsi una coppia di giovani inglesi che viaggiano con un’automobile antiquata, di colore viola. Ho fatto un po’ conoscenza. Lui si chiama Brian: un bel giovanottone col viso da bambino, che ride sempre. Mi ha detto che con la sua amica Lesley erano partiti con l’intenzione di compiere solo il giro della Francia; poi però gli era venuta voglia di andare a curiosare un po’ più in la. E così, spingendosi sempre più avanti, hanno finito per ritrovarsi qui. Sono attrezzati come per una giornata al mare…
Tatvan, 30 settembre “ERIC, come ti senti?” “Mi duole la testa, e anche la pancia.” Lo vedevo strano già da ieri sera, tanto che lo avevo messo a dormire nel letto-amaca, quello sospeso sopra i nostri piedi, per poterlo tenere d’occhio. Speravo che una bella dormita lo rimettesse in sesto ma, stamani, ha la fronte calda e gli occhi lucidi. “Rimani sdraiato, ti misuriamo la febbre.” Solitamente così allegro, Eric mi sembra adesso come rassegnato. Purché non abbia nulla di grave! “Christian, Eric sta male!” esclamo angosciata. “Ha trentanove e mezzo di febbre! Cosa si fa?” “Cosa vuoi che si faccia? Proseguiamo. Conviene avvicinarci a una grande citta.” “Aspetta, Eric! Svelta, Caroline, la bacinella!” Ti si stringe il cuore a vedere quel poverino cosi scosso dai conati di vomito. “Christian, sei proprio sicuro che potrà sopportare la pista, con questo caldo?” “Lo lasciamo in quel lettino, cosi viaggerà sdraiato. Soprattutto, però, bisogna dargli molto da bere.” Ho il sospetto che, come me, anche Christian tema la disidratazione. Eric non trattiene nulla. Son già due volte che risputa il cucchiaio della medicina che gli somministro. Christian affretta la partenza. “Caroline, prepara l’acqua da bere e tu, Bertrand, riempi il serbatoio. E sbrighiamoci. Vorrei percorrere quanta più strada possibile prima dell’arrivo del gran caldo.”
Il caldo è soffocante. Solleviamo un’enorme colonna di polvere, bianca e fine come il talco, che si insinua ovunque all’interno del nostro camper. Ci procura bruciore agli occhi, fa seccare la gola e si incolla alla pelle madida di sudore. In un po’ d’acqua raccolta sul fondo della bacinella intingo una pezzuola che poi passo sulla fronte di Eric. Christian corre troppo, a parer mio. Prendiamo degli scossoni terribili a causa delle buche. Ancora una volta troverò tutto sottosopra.
Caroline
Maku Iran, 5 ottobre I primi iraniani che incontriamo risultano ben poco simpatici: il benzinaio ci ha fatto pagare più del dovuto approfittando del fatto che non potevamo vedere i contatori della pompa. Altri, ai quali abbiamo chiesto informazioni, non ci hanno neppure risposto. Le donne portano un velo che le copre dalla testa ai piedi, e sembrano più gentili. A confronto degli uomini, che fanno tutti brutta impressione, le scambieresti per suorine capitate in mezzo ai briganti. Nanobus si riposa ai piedi di un enorme sperone roccioso e noi aspettiamo, per cenare, che la minestra si cuocia. Invece del pane, abbiamo trovato due nan, deliziose focacce non lievitate piatte e grandi come una tavola. Tra qualche giorno si parte per Teheran.
Teheran, 9 ottobre Ci troviamo in una specie di accampamento alla periferia della capitale. Da due giorni ci capitano cose non tanto divertenti. Dapprima, ci siamo imbattuti in un bivio con un cartello indicatore scritto tutto a ghirigori.
Siamo rimasti li, come tanti baccalà, senza sapere dove andare. Affidandosi al caso, papà ha preso a destra. E così, patapunfete! abbiamo percorso cinquanta chilometri in più bisognava andare a sinistra, come diceva mamma. Naturalmente c’è scappata una litigata coi fiocchi! Poco dopo, abbiamo trovato la strada bloccata da un enorme ammasso di terra. Mamma voleva che lo tirassimo via con la pala. Papà, sostenuto da Bertrand, diceva che Nanobus poteva sicuramente passare, e che in ogni caso lui non intendeva mettersi a riparare tutte le strade fino in India! Cosi, ha preso una bella rincorsa, e… oplà ecco
Nanobus a cavallo della montagnola, in equilibrio sulla pancia, mentre dal basso sale uno scricchiolio sordo. Risultato: un’ora per toglierci di li, e una crepa nel serbatoio dell’acqua. Dopo una tappa di dodici ore nel deserto, siamo giunti fino al campeggio di Teheran. Mamma era cosi stanca che non se l’è sentita di mettere il riso a cuocere. Abbiamo mangiato quel che rimaneva delle focacce e siamo andati subito a letto. Ieri, poi, le cose non sono andate meglio. Volendo lasciarci riposare, papà si è offerto di andare da solo a Teheran per ritirare la posta. Cogliendo la palla al balzo, mamma gli ha appioppato tutta la biancheria sporca che ci portavamo dietro dalla Turchia. Papà se n’é andato con quell’enorme fardello in spalla dicendoci di aspettarlo per l’ora di cena. Quando, a sera, è tornato, era letteralmente infuriato. Per cominciare, aveva ritirato pochissime lettere: le altre le avevano rispedite al mittente, visto il nostro ritardo.
Ma, soprattutto, tornava col fardello dei panni sporchi che, poveretto, si era portato dietro per tutta la giornata. Ci ha raccontato che Teheran è una città immensa, che le lavanderie erano in sciopero, che era morto di caldo e che, per una semplice birra, gli avevano fatto pagare un prezzo molto salato: più di sessantacinque rial. Così, fin da stamani, abbiamo passato l’intera giornata a lavare i panni ma abbiamo anche deciso di filarcela al più presto da questo posto, non appena potremo andare in banca. Mentre stavo scrivendo queste righe, e arrivata, eccitatissima, Isabelle. “Papà! Papà! È tornato Ankara!” Nessuno voleva crederle, eppure davanti a noi c’era un cagnetto che gli somigliava tantissimo. Ebbene, Isabelle non sbagliava: subito dopo sono spuntati fuori gli inglesi, Brian e Lesley! Ci hanno raccontato che, mossi da pietà per il cane, se lo sono portati dietro. Sembra che per l’intero viaggio, Ankara abbia fatto pipì sulle loro cose e che alla frontiera sia scappato, nascondendosi. Ma fin dove vorranno arrivare conciati a quel modo? Anche stavolta, come sempre, Lesley si rifiuta di proseguire, sia pure di un solo chilometro. Che buffi, quei due!
Tratto dal libro “In camper a Katmandu” appunti di viaggio dei Des Pallieres Edito da Selezione dal Reader’s Digest, condensato da “Quatre enfants et un rêve” éditions Albin Michel Paris.
Segue la 2° parte: (Con Nanobus a Katmandu 1977)
Clicca qui: E il sogno diventa realtà 1977