È Africa ma non è Africa. È un paese di gente venuta da lontano, di gente mite, che vive in armonia con una terra aspra. È terra di tè, di riso e di foreste, di pietre e di sabbia. È la terra degli zebù, dei lemuri e delle balene, di animali sopravvissuti ad evoluzioni, di tartarughe e di camaleonti dove ferisce lo schiaffo bruciante della miseria e consola la carezza profumata della vaniglia È una terra nata dal caos, disordinata e incomprensibile, una terra da lasciarci il cuore. È il Madagascar, l’isola rossa che per due settimane mi ha riempito gli occhi con spettacoli sempre diversi e paesaggi meravigliosi ed il cuore di riconoscenza e nostalgia.
di Anna Maria Cartocci
Alle 7.20 del 4/09/2011 – Partiamo da Roma con destinazione Parigi. Qui le solite corse per prendere la coincidenza, ma ce la facciamo. Alle 9.30 si dovrebbe partire all’insegna di 10 ore massacranti, ma c’è un ritardo di due ore e il massacro sta solo per iniziare. Saliamo a bordo ma restiamo chiusi e fermi per 2 ore, senza spiegazioni; poi ci fanno scendere per effettuare una riparazione all’aereo(!)e ci offrono -bontà loro- un tramezzino e una bibita: ci vorranno altre 3 ore prima di poter partire ed ormai abbiamo accumulato quasi 8 ore di ritardo e tanta stanchezza.
5/09/2011 – Alle 8.00 circa (ora locale) arriviamo all’aeroporto d’Antananarivo (fuso orario: +1ora). La curiosità ci spinge a guardarci attorno per scorgere almeno un po’ di quel sogno che ci ha fatto partire dall’Italia. L’aeroporto è piccolo ma come me lo aspettavo: semplice e confuso.
Dopo circa 1 ora trascorsa fra bagagli e formalità, siamo ufficialmente in Madagascar e ci dirigiamo all’esterno dove ci viene incontro il nostro corrispondente Bebè e ci conduce a quello che sarà il fedele compagno delle avventure malgascie: il nostro mitico pulmino azzurro.
Uscendo da Tana, cosi chiamano Antananarivo, mi sembra che la città non sia poi così pericolosa come dicono. È molto modesta, non è una metropoli. Case colorate, diroccate, baracche in lamiera, case in costruzione, risaie, tutto costituisce la città, come la varietà della gente che la vive. Lungo le strade si vede di tutto, gente scalza vestita di stracci, donne ben vestite, signori in giacca e cravatta, e tanti bambini. Questa parte di Madagascar si presenta montuosa, molto verde, spesso coltivata a riso su terrazzamenti che ricordano l’oriente. Il verde di queste risaie è indescrivibile, un verde così non lo avevo mai visto. Lungo il tragitto per arrivare ad Ambositra attraversiamo piccoli villaggi con case fatte in terra cruda rossa e tetti di paglia. Gli abitanti girano seminudi in bicicletta oppure a piedi, sul ciglio della strada, con in testa sacchi pieni di erba secca che viene raccolta nei campi, o a bordo strada, per poi essere utilizzata come cibo per gli zebù. Si vedono anche piramidi di mattoni crudi accatastati al sole per poi essere cotti. Alla base di queste piramidi infatti, ci sono delle aperture in cui vengono bruciate fascine di legna che lentamente cuociono i mattoni.
Nei pressi di Antisirabe scorgiamo un piccolo gruppo che trasporta un defunto avvolto in una stuoia. Lo seguiamo sperando di poter assistere alla famosa esumazione degli antenati. Sappiamo che circa la metà della popolazione malgascia è dedita al culto tradizionale locale, imperniato sul legame con i defunti, soprattutto i Merina degli altopiani seguono rigorosamente i loro riti tradizionali. Questi ritengono che gli antenati divengano divinità e seguano attentamente le vicende dei loro discendenti ancora in vita. Sia i Merina che i Betsileo hanno una pratica di “risepoltura” detta famadihana, in cui i resti dei defunti vengono tolti dalle tombe, avvolti in nuovi sudari, e poi riposti nei loro sepolcri dopo i festeggiamenti tradizionali. Siamo fortunati, perché si tratta proprio di questa cerimonia, alla quale ci permettono di assistere. È una vera festa con suoni, canti e balli ai quali fanno partecipare la salma che, avvolta in un sudario e poi in una stuoia e sempre tenuta in alto orizzontalmente, fanno girare allegramente. Alla fine dei festeggiamenti, finalmente sarà riposta in una vera tomba in muratura, decorata con colori vivaci.
Raggiungiamo poi i laghi vulcanici di Andraikiba che è molto ampio e quello più piccolo, ma di un intenso colore blu, di Tritiva di cui percorro faticosamente il perimetro, seguendo un sentiero fra i cespugli. Arriviamo ad Ambositra, dove pernottiamo all’hotel “ Violette”. (50.000 arialy = € 17,50 in doppia)
6/09/2011
Partiamo per Antoetra. Lungo il percorso ci imbattiamo in un gruppo di cercatori d’argento che, immersi nel fango fino alle ginocchia, setacciano le limacciose acque di un fiume.
Un’escursione attraverso le colline ci conduce al villaggio di Ifasina dell’ etnia Zafimaniry, riconosciuto come patrimonio dell’UNESCO grazie alla straordinaria abilità dei locali nel lavorare il legno con cui, senza usare chiodi, hanno realizzato e poi decorate le abitazioni, con intagli su porte e finestre. Il villaggio, di cui incontriamo l’anziano capo tribù, è poverissimo, ed i bambini molto sporchi ed allegri, che ci circondano attratti dalla nostra ingombrante presenza e dalle molte foto che scattiamo. Mentre aspettiamo i compagni più sportivi che tornano dal trekking, comperiamo del pane (baguette alla francese e formaggini) per uno spuntino, ma ci rendiamo subito conto che ci sarà impossibile farlo di fronte a quei bambini così denutriti, quindi lo distribuiamo ai piccoli presenti, che lo accettano con risatine timide, ma con gran soddisfazione. Di nuovo in minibus fino Fianarantsoa dove ceniamo ed alloggiamo in bungalow all’hotel “I HERO” che si affaccia sul fiume.
7/09/2011
All’alba ci incantiamo di fronte a scene di vita quotidiana locale: donne che lavano, uomini che trasportano ceste, bambini che saltano da un sasso all’altro, lungo il fiume, ai piedi del nostro hotel. Poi partiamo per Ranomafana dove visitiamo il parco alla ricerca dei lemuri. Qui esistono 5 circuiti Varibolo, Varijatsy, Sahamalaotra, Vohiparara e Soarano.
Alcuni di questi sono praticabili tanto il giorno come la notte. Ogni circuito permette di incontrare una fauna endemica: lemuri, uccelli, batraci, ecc. I lemuri Hapalémur aureus ed Hapalémur simus sono le specie principali del parco. Inoltre qui le foreste lussureggianti proteggono molte piante endemiche fra cui le orchidee Arangis madagascariensis che fioriscono da settembre a novembre. Il percorso si rivela abbastanza complicato, ma ne vale la pena perché la visita della riserva è un’esperienza appassionante. Poi attraversiamo molte risaie e terreni coltivati. Stupendo il contrasto tra il rosso della terra ed il verde delle risaie. Proseguiamo fino al mercato di Fianar dove ci perdiamo fra i banchi delle venditrici. A circa 50 km da Fianarantsoa e sulla strada per Ranohira si trova Ambalavao, cittadina conosciuta per aver importato dalla costa est agli altipiani, la tecnica di lavorazione della carta Antaimoro e per i terreni coltivati a vigneto. Visitiamo la fabbrica di carta (la fibra è molto simile al papiro) in cui vengono inseriti dei petali di fiori essiccati, con risultato molto gradevole. Questo laboratorio si trova proprio accanto al nostro “Hotel Bouganvillée” che è formato da cottage (€ 14 ca. a persona).
8/09/2011
Raggiungiamo il Parco Anja che è una piccola realtà solidale: infatti la comunità locale si è associata per salvaguardare la foresta e la popolazione di lemuri katta che ci vive ed anche per preservare il sito dal disboscamento e dallo sfruttamento; inoltre hanno istituito l’obbligo di una guida locale per accompagnare chi si reca a visitare il parco.
È un vero gioiello! Scenari spettacolari e tantissimi lemuri dalla coda ad anello o Katta, poi le grotte, le tombe incastonate nelle pareti rocciose e una miniscalata con aiuto di liana, che ci regala una vista mozzafiato e ci suggerisce una foto di gruppo a braccia tese e pancia al sole, stile lemuri.
Proseguendo lungo un tratto di strada veramente panoramico, con montagne di granito e villaggi da presepe, si arriva a Ihoshi la capitale del popolo dei Bara, che si dice, hanno mantenuto l’usanza di rubare il bestiame come rito di iniziazione all’età adulta. Anche qui case fatiscenti, ma la strada è popolata di bambine e ragazze con il viso decorato, venditrici e sarte sedute in terra. Ci fermiamo per il pranzo al sacco poi, sentendoci molto osservati, proseguiamo per Ranohira da dove si ammira l’immensa prateria dell’altopiano dell’Horombe’, tanto grande da non riuscire a vederne la fine, interrotta solo dalle mandrie di zebù al pascolo. Ci dirigiamo all’hotel Orchidee per depositare i bagagli, poi di corsa alla fénètre sull’Isalo per arrivare a vedere il famoso tramonto. Lungo la strada rocce bellissime dalle strane forme e la finestra… uno spettacolo struggente incorniciato dalla roccia sui quattro lati. Torniamo all’hotel per la cena. Qui ci fermeremo due giorni per poter visitare il grande Parco dell’Isalo.
9/09/2011
La bellezza del Parco dell’Isalo si presenta a noi già dal mattino: è attraversato da ruscelli, canyon e costellato di piccole piscine naturali e cascate; alcuni circuiti da compiere sono impegnativi, ma lo spettacolo della natura che ha eroso quest’immensa pianura è meraviglioso. Tuttavia, alcuni luoghi della località sono sacri e bisogna rispettarli. I Bara ed i Sakalava vi risiedevano nel tempo passato ed alcune sepolture sono ancora protette dalle rocce. Il pulmino ci porta in vista del canyon dei makis (una profonda ferita scavata nella roccia rossa) che raggiungiamo dopo un’ora di cammino, ne risaliamo una parte riuscendo ad avvistare lemuri, insetti stecco, baobab nani in fiore, formicai e termitai, una vera e continua scoperta. Sostiamo ad una pozza chiamata “piscina del re” per riprendere fiato: una piccola oasi di palme, felci e cascatelle. Proseguiamo verso le piscine naturali.
La passeggiata, di circa un’ora e trenta, offre una vista panoramica sulla foresta tropicale e, in fondo, sulle risaie. La località è ideale per effettuare trekking. Il parco è un autentico giardino botanico che si trasforma in paesaggio western: è infatti famoso per i suoi canyon impressionanti tagliati dall’erosione ed è ricco di flora e fauna in maggioranza endemica. Le foreste di bambù e di palme intorno sono lussureggianti. Alla fine, raggiungiamo… il paradiso: un largo canyon protegge una cascata splendida di acqua turchese che forma un laghetto in cui ci immergiamo felici. È una località dall’accesso difficile ma i nostri sforzi sono ricompensati dalla vista superba e panoramica sulla foresta. In prossimità della piscina naturale, il canyon ospita alcuni lemuri, uccelli, lucertole, farfalle e il tordo-pettirosso di Benson che saltella tranquillo tra noi. Il bagno, nello spazio racchiuso in questo quadro, è stato molto piacevole per la calma e serenità che vi regnavano. Il ritorno al nostro pulmino sarà faticoso, ma ci aspetta il secondo tramonto sull’Isalo! Ammirare il tramonto alla finestra dell’Isalo è un rito da non perdere per finire la giornata in bellezza. Infatti, il massiccio d’Isalo tagliato dalla natura in forma di finestra, si apre su una vista favolosa: un paesaggio di valli deserte tinte di rosso che si estendono sull’orizzonte.
10/09/11
Ripartiamo, dirigendoci ad Ilakaka, città conosciuta per la lavorazione degli zaffiri, dove sostiamo per una breve visita al piccolo museo/bottega. La cittadina, relativamente giovane, si svolge tutta lungo una sola strada. Visitiamo anche la miniera a cielo aperto, poco distante, dove lavoratori provenienti dal Ghana, scavano a mano e per una paga addirittura inferiore a quella che avrebbero potuto pretendere i Malgasci (5000 arialy al giorno = € 1,75). Ci fermeremo ancora lungo la strada, incontrando degli enormi bao- bab e villaggi di terra rossa col tetto di paglia. Poi, in tre ore di macchina e numerosi controlli di polizia, arriviamo sulla costa sabbiosa nei pressi di Tulear, dove ci insabbieremo per ben due volte e verremo salvati prima dalle nostre spinte generose, poi dal traino di un volenteroso, ricco turista. Depositiamo i bagagli al “Bamboo Club” di Ifaty, e, a bordo di un carretto trainato dai poveri zebù, proseguiamo per la foresta spinosa. Qui, nella luce rosata del lento tramonto possiamo ammirare l’unicità della flora del desertico sud, tra piante curative, specie rare e grossi bao bab. La notte poi, con la bassa marea, dalle nostre stanze riusciremo a sentire il rumore delle onde infrangersi sulla barriera corallina.
11/09/11
Arriviamo a Toulear città colorata e disordinata, poco a sud del tropico del Capricorno, dove con carretti tirati da zebù, facciamo il tratto che ci divide dai motoscafi, ancorati dove l’acqua è più alta, che ci porteranno sulla spiaggia di Anakao in poco più di un’ora e mezza. Questa è una vera oasi naturale ancora poco frequentata dal turismo (è accessibile solo dal mare), dove passeremo due giorni all’Hotel “Safari Vezo”, che si trova su una spiaggia bianca a forma di mezzaluna, proprio accanto al villaggio di pescatori Vezo. Il complesso e’ splendido ed ecologico, ha i bungalow sulla sabbia e per la doccia ci sono dei secchi di acqua dolce che prendono ogni giorno per noi al pozzo. Per ammirare la barriera corallina bisogna uscire con i pescatori sulle loro piroghe di legno ed arrivare alla piccola isola di Nosy-Ve che si trova davanti ad Anakao. Nel pomeriggio facciamo conoscenza con i pescatori del villaggio e concordiamo per la mattina dopo di andare a Nosy Ve. Facciamo poi un’ottima cena a base di pesce e conosciamo Walter, un italo/inglese settantenne che viaggia con un gruppo inglese di cui non è contento perché -dice- sono pigri e bevono troppo.
12/09/2011
Più di venti piroghe a bilanciere dai colori brillanti, sono immobili nella sabbia con i marinai che si agitano attorno stendendo e ritirando più volte la vela quadrata rattoppata. C’è molta animazione, ma soffia molto vento. Molti bambini giocano sulla spiaggia, nell’attesa gli regaliamo penne e colori con i quali insieme scriviamo i nostri nomi su un pezzetto di carta, e gli insegniamo canzoncine.
Il gioco con questi bimbi è interrotto dall’arrivo dei barcaioli ora pronti a partire, ci salutiamo e, mentre ci allontaniamo con la barca, li lasciamo felici del piccolo dono ricevuto. Walter si unisce a noi, partendo con le piroghe verso l’isola di Nosy-Ve ed oltre, nella speranza di vedere le balene. Io mi fermo sull’isola che è una riserva naturale marittima (per visitarla bisogna pagare una piccola tassa d’ingresso). È un piccolo paradiso con una sabbia bianchissima ed il mare turchese, e piante grasse cresciute ad alberelli. Qui nidificano i Phaètons uccelli endemici dal piumaggio bianco con una sottile e lunga coda che termina con due lunghe penne color rosso. Li cerco e li trovo in abbondanza fra i cespugli. Rimango sola a camminare, mentre le mie amiche riposano. L’isola è piccola, ma non riesco a fare il giro completo perché sono attratta dallo splendido mare e dai tanti coralli, conchiglie e stelle rosse che ci sono a riva. È bello intanto vedere in lontananza le onde infrangersi nella barriera corallina e la sabbia assumere i colori più diversi.
Il gruppo si ricongiunge al momento del pranzo, che ci verrà servito su una tovaglia stesa sulla spiaggia, sotto alcune piante, dai pescatori stessi. È a base di aragoste grigliate, polipo e patate dolci: buonissimo! Questo in parte mi consolerà per non aver potuto vedere le balene, ma ancora di più mi consola Walter regalandomi una splendida conchiglia raccolta per me!
13/09/2011
Ripartiamo con comodo, verso le 10, con il motoscafo e poi il solito carretto tirato dagli zebù a causa della bassa marea. Ci fermiamo a Toulear in cerca di artigianato, aspettando il volo verso Fort Dauphin.
Questa città, chiamata anche Tolagnaro in malgascio, si trova sull’Oceano Indiano a ridosso di verdi colline, è adagiata su un promontorio spazzato dal vento e circondata da immense spiagge su cui le onde si infrangono e si trasformano in candida spuma. Fort Dauphin è una bella cittadina lontana dalle mete più visitate del paese e si stende su un’estremità di litorale stretto, bordata su un lato da una vegetazione lussureggiante e sull’altro dalle spiagge bionde dell’Oceano indiano. Vi arriviamo in serata e possiamo godere di un bellissimo tramonto ma dove però, ci fermeremo soltanto una notte.
14/09/2011
Ripartiamo da Fort Dauphin; qui l’orizzonte è una curva dolce che racchiude l’oceano. Questa mattina visiteremo la laguna di Lokaro e poi la penisola -una sottile lingua di terra che si spinge nel mare- con il villaggio di Evatra. Il trasferimento è in barca a motore (due ore circa) lungo dei canali che seguono la costa e attraversano specchi d’acqua su cui si affacciano piccoli villaggi. Lagune innumerevoli si aprono come pozze quiete, circondate da palme. La giornata stupenda fa risaltare i colori con riflessi spettacolari, possiamo osservare la vegetazione e la vita di pescatori e coltivatori che vivono a contatto con l’acqua. Una volta giunti alla laguna il paesaggio si apre sul mare e su un susseguirsi di belle spiagge. Percorriamo per circa un’ora la baia per osservare questo paradiso naturale ancora, fortunatamente, intatto. Dal villaggio di Evatra, seguiti da uno stuolo di bambini, saliamo su un piccolo promontorio da dove si gode una vista eccezionale sul panorama circostante e camminiamo a lungo fino alle acque non proprio tranquille dell’oceano. Il mare, gli scogli formati da rocce di antiche eruzioni vulcaniche, la sabbia fine nella quale si vedono solo le impronte di piccoli gamberi e crostacei, ci affascinano e ci fermiamo in cerca di pace e tranquillità. Notiamo alcune ragazze che pescano con la rete, poi ci raggiungono dei pescatori con le aragoste che sarebbero lieti di cucinarci… ci lasciamo convincere! (anche se ci aspetta il pranzo che le nostre guide ci stanno preparando sulla spiaggia). La nostra avventura nella laguna comprenderà anche il dividere alcuni disagi con gli abitanti del villaggio come dormire in scomode capanne senza acqua né luce né bagno e mostrarci contenti, perché viaggiare significa imparare a spostarsi e cambiare, in tutti i sensi.
15/09/2011
Al mattino, già pronti avendo dormito vestiti, abbiamo fatto ancora interessanti escursioni partendo da Evatra, nella selvaggia regione di Fort Dauphin. Percorriamo a piedi affascinanti e faticose piste per raggiungere alcune belle baie dove riposare e attendere che ci raggiungano i “soliti” pescatori per offrirci le “solite” aragoste cotte sulla spiaggia. Poi, di ritorno al villaggio, ci dedichiamo alla “ricreazione” per i tanti bambini, cantando con loro, giocando a 1, 2, 3 stella (anzi etoile), e distribuendo tutto ciò che potevamo distribuire: Il villaggio è composto di 1.450 persone di cui 1.000 bambini! In serata, il lento ritorno in barca è stato rattristato dal pianto disperato -con relativo tuffo in laguna- di un bambino che voleva raggiungere la mamma salita in barca con noi. Poi, finalmente, raggiungiamo la Riserva Naturale di Nahampoana, poco distante dalla città, ed in cui avremo l’opportunità di alloggiare.
16/09/2011
Il risveglio nella riserva è stato allietato da un piccolo lemure che si era spinto sul prato davanti alle nostre camere. Bersagliato da flash e scatti, non si è scomposto, ma ci guardava incuriosito. Dopo la colazione (in cui abbiamo dovuto dividere le banane con i lemuri) finalmente la visita della riserva. Questa è ben curata e conserva numerose specie di flora e fauna del Madagascar, la palma ravinal e quella triangolare detta “palma del viaggiatore”, tamarindi, euphorbie, bamboo, piante grasse e piante carnivore, “alberi del pane” ed alberi usati per estrarre carta, coccodrilli e tartarughe giganti e numerosi i lemuri Katta e Sifaka di Verraux. Questi lemuri vivono circa 18 anni e sono raggruppati in nuclei di 25/30 esemplari guidati ognuno da una femmina. La stagione degli amori è in aprile-maggio ed i cuccioli nascono dopo 4 mesi, ad agosto. Hanno abitudini ben precise per giocare, mangiare, dormire. Emettono tre tipi diversi di grido a seconda di quel che vogliono comunicarsi; saltano con grande agilità da un ramo all’altro utilizzando la lunga coda per bilanciarsi e a volte scendono a terra per brevi tratti. Poi, con queste meraviglie negli occhi, corriamo all’aeroporto per tornare a Tananarive ed iniziare il viaggio di ritorno.
Arrivo a Tana, città caotica ed estesa dove quartieri di casupole si alternano alle risaie. Molto rumore e polvere. Andiamo al mercato dell’artigianato, che svaligiamo, poi in albergo al “White Palace” (44.000 arialy = € 15 ca.)e infine all’ottimo ristorante “Saka Manga” per gustare raffinate specialità malgascie innaffiate con l’ottima birra locale Three Horses Beer (THB) spendendo così gli ultimi arialy della cassa comune.
17/09/2011
Giornata di trasferimento da Tananarive a Johannesburg dove arriviamo alle 13 circa. Il nostro aereo per Parigi è stato soppresso, il prossimo è alle 3 di mattina! Dopo qualche ora ci spostano in hotel, dove ceniamo, poi tentiamo di dormire qualche ora…
18/09/2011
Ore 01, nuovo trasferimento in aeroporto per operazioni d’ imbarco, poi 10 interminabili ore di volo per Parigi dove ci imbarcheremo di nuovo per Roma… Questo ritorno stressante mi riporta bruscamente alla realtà della nostra vita turbinosa, con aerei, treni, taxi… e mi fa rimpiangere altri mezzi di trasporto appena lasciati: pousse-pousses, carri trainati dagli zebù, piroghe a remi, traballanti taxi-brusse. Con questi mezzi però, lo spostamento lo si vive oltre che con il corpo, anche con la mente, l’olfatto, l’udito: essi sono la metafora perfetta del viaggio perché, facendoci dimenticare la dimensione del tempo, ci allontanano da dove veniamo e ci fanno conoscere altro. Il Madagascar offre a chi lo visita la possibilità di riscoprire valori ed emozioni che sempre più spesso vengono cancellati nei nostri paesi, dove il consumismo e la ricerca dell’apparire hanno un ruolo predominante. Soggiornare in luoghi semplici, mangiare in ristorantini e locali anche sulla strada, frequentare i luoghi di ritrovo della gente comune, è il modo migliore di avvicinarsi al popolo malgascio senza essere invadenti e farsi accogliere con entusiasmo. Il viaggio in Madagascar ha significato per me, non solo la possibilità di scoprire posti bellissimi, ma anche una realtà fatta di povertà e di incredibili situazioni umane.