Non è facile , dopo tanti bei viaggi, entusiasmarsi come abbiamo fatto noi per una terra che nell’immaginazione comune (e in parte nella realtà) è solo un enorme deserto, popolato quasi esclusivamente da animali che pascolano liberi, dove talvolta si incontra qualche tenda di feltro. Non è solo questo la Mongolia ed io vi ho fatto un viaggio meraviglioso che ho voglia di raccontare, cercando di descrivere quel sentimento di appartenenza all’ambiente che ho visto e sentito da parte dei Mongoli incontrati e che è la più grande differenza
di Anna Maria Cartocci
Siamo un gruppo di 13 persone, non ci conosciamo, ma ci accomuna l’aver scelto questo insolito viaggio con “Avventure nel mondo”. Con alcuni ci incontriamo a Fiumicino gli altri, partiti da Milano, li conosceremo a Seul, dove la nostra Compagnia la Korean Air, fa scalo. Raggiungeremo dopo 23 ore scalo compreso, Ulaan Baator la capitale, per iniziare il nostro viaggio alla scoperta della Mongolia. All’arrivo ci guardiamo intorno incuriositi, ma non vediamo molto perché sono quasi le 22, la strada per raggiungere il nostro Ayachyn Hotel sembra troppo lunga ed abbiamo solo bisogno di dormire.
14 settembre 2010 – Cominciamo col visitare il Monastero Gandantegchenling per immergerci subito nell’atmosfera buddista, una delle due religioni presenti in Mongolia. L’altra è l’islamismo, ma è presente solo nell’ Aymag Bayan-Olgii dove vivono in prevalenza Kazaki.
È anche diffuso lo sciamanismo, spesso rappresentato dagli ovoo (mucchi di pietre e sciarpe votive azzurre khadag) che si incontrano sulle cime delle colline. È una giornata grigia, ma il Monastero ci accoglie coi suoi colori vivaci, i suoi riti ed i suoni degli strani ed antichi strumenti.
Più tardi partiamo sui nostri UAZ, diretti a Middle Gobi.
Ci immergiamo nelle praterie sconfinate attraverso percorsi che non chiameremo più strade.
Sostiamo in una gher (tenda), dove ci offrono un tè mentre preparano uno tusuivan (tagliolini con carne di montone) per le nostre guide mongole; questa è ordinata ed accogliente con le sue panche dipinte e la stufa al centro e ne usciamo portandoci via un forte senso di calore e familiarità, pur senza aver scambiato una parola.
In serata raggiungiamo il Middle Gobi Camp un campo turistico attrezzato con bagni e grande gher “ristorante” dove ceniamo con il famoso montone bollito – ce ne saranno molti altri purtroppo – poi pernottiamo in comode gher a due letti sotto spesse coperte imbottite, mentre fuori scende una pioggia leggera.
15 settembre 2010 – L’alba promette bene, la colazione è all’europea. Soddisfatti ci spostiamo al Monastero Damba Dardaalin dove assistiamo ad una cerimonia con canti di monaci buddisti, poi si riprende il viaggio attraverso altipiani deserti circondati da alture: il panorama è bellissimo e il sole splende! Raggiungiamo un minuscolo villaggio con casette basse e molti bambini, poi ancora deserto con timidi cespugli. Improvvisamente il paesaggio si tinge di rosa e ci appaiono delle frastagliate colline rosse e brune: è la “Valle dei dinosauri” di Bayanzag (dove si sono trovati scheletri e uova di dinosauro) qui facciamo una breve sosta per qualche foto, ma torneremo per completare la visita. Ci dirigiamo al campo Gobi Tour per la seconda notte in gher.
16 settembre 2010 – Partenza con il cielo velato, verso la yolyn valley o “bocca dell’avvoltoio”. È una vallata al centro del Deserto del Gobi, percorsa da un corso d’acqua ghiacciato quasi tutto l’anno. Visitiamo il piccolo museo che custodisce una raccolta di ossa e uova di dinosauro, ma anche diverse specie di uccelli ed un leopardo delle nevi imbalsamati. Più avanti troviamo il percorso da cui partire per una piacevole passeggiata di circa 2 km che, seguendo il torrente, arriva alla gola che dovrebbe essere piena di ghiaccio. Invece troviamo soltanto qualche cavaliere solitario ed un intagliatore di legno che mi vende un magnifico cucchiaio con testa di cavallo, (andrà ad arricchire la mia collezione di mestoli). Da Yolyn Am scegliamo di fare il percorso più avventuroso e divertente: entriamo nel letto di un torrentello e, attraverso la Dugany Am, una strettissima gola in cui passiamo a stento, proseguiamo sballottati sui ciottoli, fino ad incontrare la pista che ci condurrà al nostro campo Gobiin Anar per la notte.
17 settembre 2010 – Partenza per Khongoryn Els le dune più grandi della Mongolia o “dune che cantano” per il suono che vi produce il vento. Le raggiungiamo dopo una sosta presso un piccolo accampamento dove vivono un paio di famiglie molto ospitali che allevano ed affittano i cammelli per raggiungere le dune, cosa che alcuni di noi scelgono di fare. Io proseguo a piedi e lo spettacolo aumenta ad ogni passo, poi con una certa fatica raggiungo la cima da cui si domina la pianura circostante: mi appare infinita ma non uniforme, i colori si sovrappongono ed ogni piccolo rilievo assume sfumature diverse talvolta punteggiate da greggi bianche, da mandrie scure o da chiazze verdi in prossimità di pozze d’acqua. Il tutto in un incredibile silenzio, rotto solo dal “canto” del vento. Resterò a lungo ad ascoltarlo, stordita da tanta bellezza.
18 settembre 2010 – Mattinata di sole pieno. Partiamo per tornare verso l’accampamento Gobi Tour.
Lungo la strada visitiamo una bellissima gher circondata da un grosso gregge di capre.
Una donna molto dolce, con il suo bambino in braccio, ci fa accomodare sui letti dipinti e tappezzati di teli ricamati coloratissimi e ci offre dei dolci secchi tradizionali che accompagna con larghi sorrisi (che non si spegneranno neanche quando verrà bersagliata da 13 macchine fotografiche!). Ricambiamo con altrettanti sorrisi sperando che la confusione della nostra presenza, potrà rallegrarle la giornata.
Sosta per pranzo al sacco a Bulgan un villaggio di poche case sparse e tanti bambini. Arriviamo al nostro campo dove, dopo una breve sosta, ci avviamo a piedi alla Valle dei Dinosauri, circondata da una spettacolare formazione di colline rosse. Qui, nel mezzo del deserto di Gobi, c’è il parco di Gurvan Saikhan, il più grande giacimento di fossili di dinosauri, ma anche di piccoli mammiferi, uccelli e rettili; la curiosità è data dal fatto che gli scheletri sono stati “fissati” durante una particolare azione, come se un evento eccezionale li abbia sorpresi (come i famosi “dinosauri combattenti” conservati nel Museo di Ulaan Bataar). Non troveremo fossili, ma raccogliamo dei magnifici sassi che appesantiranno il nostro bagaglio al ritorno.
19 settembre 2010 – Stiamo lasciando il sud della Mongolia, per trasferirci verso il nord. Visitiamo il complesso di Ongiin Khiid comprendente due Monasteri, Barlim e Khutagt, a suo tempo distrutti dal regime comunista ed oggi in parte ricostruiti, separati dall’ansa del fiume Ongiin (lo attraversiamo facilmente essendo in secca).
La ghèr all’ingresso del tempio è un piccolo museo di oggetti religiosi o decorativi qui ritrovati. L’atmosfera è aspra, ma incantata. Trasferimento al Campo Saikhan Gobi per la notte: è in una splendida posizione con vista sul fiume dove, al tramonto, vediamo abbeverarsi un gregge.
A cena, il solito montone ma più saporito (forse mi sto abituando) e qualche bicchiere di vodka, poi scambi culturali canori italo-mongoli con la proprietaria del campo: riceviamo l’immancabile richiesta di “Volare” e, con nostra sorpresa, dei -qui amatissimi- “Ricchi e Poveri”, il CD in inglese dei quali ci perseguiterà durante tutto il viaggio.
20 settembre 2010 – Partenza con cielo grigio e molto freddo, lungo il percorso una leggera pioggia si trasforma in neve! Ci fermiamo in un capanno per una zuppa calda, poi ripartiamo riscaldati, ma il cielo si è già rasserenato.
Proseguiamo verso Kharakhorin per una visita al suo mercato formato da container multicolori, molto caratteristico ed affollato; è frequentato da una moltitudine colorata di persone con abbigliamenti differenti, carretti, asini, bambini (un vecchio mangia una zuppa in piedi). Nei dintorni c’è anche la “roccia fallica” dove sostiamo perplessi, poi ci distraggono le bancarelle che vi sono disseminate; dopo acquisti e foto, raggiungiamo il campo per la cena. La notte, nella gher, saremo riscaldati da una stufa a legna molto apprezzata.
21 settembre 2010 – Torniamo a Kharakhorin. Era l’antica Karakorum fondata da Gengis Khan come base di approvvigionamento, poi divenne capitale ed importante centro per il commercio che, dopo il crollo dell’impero mongolo, fu abbandonata e poi distrutta. Oggi è rimasto ben poco dell’antico splendore, ma si può ancora ammirare l’Erdene Zuu Kiid (Cento tesori) che, nato sulle rovine di Karakorum, fu il primo monastero buddista della Mongolia; ospitava un centinaio di templi ed un migliaio di monaci. Fu parzialmente distrutto e molti monaci furono deportati dal regime comunista, ma qualcosa gli abitanti riuscirono a salvare nascondendolo nelle montagne vicine. Tutto il complesso è ancora racchiuso da mura ornate di 108 stupa (numero sacro per i buddisti) e conserva intatti i tre templi dedicati al ciclo della vita del Buddha: infanzia, adolescenza ed età adulta.
Abbiamo incontrato qualche turista, ma è frequentato soprattutto da mongoli. Oggi è un luogo vivace perché è di nuovo abitato da numerosi giovani monaci, ma non riesce ancora a rendere l’idea della maestosità del passato. Un tempo quattro tartarughe di pietra, simbolo di eternità, poste ai punti cardinali, segnavano i confini della città: ne restano solo due. All’esterno abbiamo avuto il primo incontro con le aquile, che un intraprendente mongolo usa per foto ricordo. Lungo il percorso sostiamo presso un sito arcaico, con tombe dell’età del bronzo formate da lastre in pietra conficcate nel terreno, in un’atmosfera irreale, forse per la vastità del territorio in cui si trovano. Proseguiamo verso il nostro nuovo campo, fra i biondi larici che incorniciano un fiume, incontrando enormi yak al pascolo e piccoli scoiattoli che scappano spaventati, al passaggio dei nostri fuori-strada. Raggiungiamo il Taikhar gher Camp, da qui con una passeggiata fra gli alberi, raggiungiamo la sorgente di acqua calda sulfurea Bat Olzii dove tentiamo di immergere i piedi, ma… saranno 40°!
22 settembre 2010 – Partiamo per raggiungere la “pietra sacrificale” Taikhar chuluu, una formazione rocciosa in cima alla quale si trova anche un ovoo. Molte leggende si raccontano su questo luogo, la più nota è quella di un baatar (eroe) che uccise un grosso serpente scagliandogli contro questa roccia. È meta di pellegrinaggio, anche se è molto faticoso raggiungere la cima, fra sassi e radici. La passeggiata dura almeno tre ore durante le quali ho più volte pensato di fermarmi, ma i miei compagni di viaggio, gran camminatori, partiti subito con impeto e senza ripensamenti, hanno acceso il mio orgoglio ed anch’io ho proseguito arrivando sfinita dinanzi all’intreccio di nastri azzurri, bandierine e sassi votivi, guadagnandomi così qualche indulgenza dalle divinità locali. Nel pomeriggio ancora una passeggiata per raggiungere il Monastero Tovkhon khild, appoggiato ad una roccia: piccolo, incompleto, ma in posizione magnifica. Ritorniamo al Tsagaan Camp e, non ancora sfiniti, con mezzi di fortuna, improvvisiamo una polentata con la farina portata da Bergamo da Gigi ed i funghi secchi raccolti nelle Cinque Terre da Maria Teresa (ho dovuto rinunciare al montone!)
23 settembre 2010 – Partenza per Tseterleg-town. Facciamo subito una sosta, per assistere alla mungitura degli yak. Un’esile donna mongola, seduta su uno sgabellino poco stabile, con un grosso secchio tra le mani, non ha mai smesso di mungere, sebbene sorridesse come una star ad ogni scatto fotografico. Mentre eravamo accanto ai pastori, abbiamo visto arrivare al galoppo una ventina di takhi (che significa spirito) i famosi e unici cavalli selvaggi esistenti al mondo; la scena era bellissima, con i cavalli apparsi in una nuvola di polvere, un po’ più piccoli dei cugini domestici, ma proporzionati ed eleganti nel loro mantello biondo con la criniera, la coda e la parte bassa delle zampe più scure. Abbiamo poi sostato in una gher dove, in segno di amicizia, ci hanno offerto del liquore acidulo o “birra mongola” ricavato dalla fermentazione del latte di cavalla ed una specie di panna solida, fatta con lo stesso latte (qualcuno di noi ha apprezzato questa specialità, ma io sono riuscita ad evitarlo).
Ho invece ascoltato con interesse la traduzione dei loro racconti fatta dalla nostra guida: qui gli animali da pascolo sono liberi, a disposizione delle famiglie nomadi, per il tempo in cui si trattengono in un territorio. Poi li lasciano, spostandosi con le gher in altri luoghi, dove potranno trovare un altro gregge che darà loro il necessario per il tempo in cui resteranno: non sembra la formula della felicità? Dopo una sosta alla water fall, una cascata di tutto rispetto, in un canyon contornato da larici e con gli immancabili ovoo arriviamo a Tseterleg Town dove visitiamo il Museo dell’aimag Arkhangai un antico tempio buddista, salvatosi dalla distruzione staliniana proprio perché adibito a museo. La sala principale mostra lo stile di vita mongolo tradizionale con la ricostruzione di una gher e con i costumi e gli oggetti di uso comune; la seconda i dedicata alle icone sacre, statue di Buddha ecc. nelle altre ancora armi, utensili, strumenti musicali, quadri e foto di interesse storico.
24 settembre 2010 – Partenza con sosta lungo il percorso, alla suggestiva Gola di chuulut dove, scesi fin sulla riva assolata del fiume, in un luogo bellissimo dai colori brillanti nei diversi toni del giallo e del verde, con l’acqua argentata che saltava fra i sassi con rumore sommesso, abbiamo assistito, non proprio in silenzio, alla pesca del salmone di alcuni pazienti pescatori. In questo quadro idilliaco la nostra presenza mi sembrava stonata, e mi sono affrettata a risalire lungo il fianco della gola per guardare il tutto dall’alto, ma improvvisamente soffia un vento impietoso, il cielo si oscura, ed arriva una vera nevicata che imbianca le colline circostanti! Abbiamo poi cercato, l’albero sacro Zuun Salaa Mod ricoperto di detriti, sciarpe di preghiera ed ora anche di neve. Poi, senza più fermarci, ci dirigiamo al Badmaar Camp dove, nella confortevole gher, col tepore della stufa, giocheremo a carte aspettando la cena (che, inutile dirlo, sarà ancora montone)
25 settembre 2010 – Al Parco Nazionale del Khorgo. Dal villaggio di Tariat superiamo un traballante ponte in legno per raggiungere il punto di partenza per un’escursione al vulcano Khorgo Uul che si raggiunge con una passeggiata di 30 minuti da qui si vede anche l’azzurro molto gradevole del lago Therkhiin Tsagaan Nuur. Secondo la leggenda, questo lago si è formato perché una coppia di anziani dimenticò di richiudere il pozzo da cui aveva attinto l’acqua: la valle fu inondata fin quando un eroe, scagliando una freccia sulla cima della vicina montagna, fece cadere la roccia sull’apertura del pozzo chiudendolo e formando un’isola nel lago. In realtà, è la conseguenza, molto evidente di un’eruzione vulcanica, con colate laviche nere fra le quali spiccano larici gialli e pascolano bianchi yak. Sostiamo in una gher di fronte al lago per una zuppa calda e ci stupiamo di fronte ad una serie infinita di piramidi votive nere create con pietre laviche, che si stagliano contro l’azzurro del lago: portiamo il nostro contributo aggiungendone altre.
26 settembre 2010 – Oggi è il Uaz Day! Si prevedono 10 ore di viaggio su strade sconnesse per raggiungere Uliastai. Prima della partenza i nostri Uaz vengono “benedetti” con latte di yak dai gestori del campo che sanno cosa dovremo affrontare! L’unica consolazione è la bellezza del paesaggio che presenta ancora tracce di neve sulle montagne intorno. Durante una sosta pranzo vedo il primo gatto da quando siamo in Mongolia! (ma dove li tengono?). Arriviamo, tardi, ad Uliastai e c‘è un problema con l’albergo (il migliore) che, non accettando prenotazioni, non ci ha riservato le camere! (ma dove sono le nostre calde gher?). Alla fine, stringendoci, riusciamo a trovare posto per tutti, ma per la doccia c’è solo acqua fredda (ma dove sono le calde docce dei nostri campi?). Cena in un vero ristorante con musica e… montone. Gli uomini del gruppo fanno colpo su alcune ragazze mongole “moderne “e avvinazzate che li trascinano nelle danze. Noi, donne inutili, li abbandoniamo al loro destino… ma all’alba sapremo che abbiamo rischiato di perdere la cassa comune!
27 settembre 2010 – In giro per Uliastai , in banca, al mercato (anche questo fatto di container), all’ufficio postale, poi di nuovo partenza verso i soliti, splendidi, panorami.
Sostiamo in riva al fiume per il pranzo al sacco e ci imbattiamo in una ragazza che va ad attingere l’acqua con due secchi legati ad una pertica, la seguiamo per assistere, fotografando, all’operazione. Tutto si svolge, come al solito, con grande disponibilità ed allegria.
Durante un’altra sosta, incontriamo un simpatico guardiano di cavalli e yak che si sottopone pazientemente alle nostre foto ed infine ci invita a montare sui suoi cavalli per altre foto! Lungo la strada, nelle sconfinate praterie prima di arrivare nei pressi di Altai Town, dove alloggeremo nel Campo Yung King Altai, incontriamo ancora dei takhi, i bei cavalli selvaggi della Mongolia.
28 settembre 2010 – Torniamo ad Altai Town per comprare le provviste al mercato, siamo carichi ed abbiamo uno Uaz in più, per contenere la grossa tenda-ristorante ed il personale che cucinerà per noi nell’accampamento formato dalle nostre tende (da montare, poiché in questa zona non ci sono campi attrezzati di gher). Proseguiamo, fra molti sobbalzi ed inversioni di marcia per cercare il percorso migliore, in un panorama bellissimo, sostiamo per il pranzo accanto ad una sorgente con grotta sacra, poi proseguiamo fino a raggiungere delle dune dove stabiliamo di accamparci.
Dopo aver montato le nostre tende ci prepariamo a scalare le dune, dietro le quali in lontananza, scopriremo il lago Ereen nuur. I nostri nuovi accompagnatori intanto hanno montato un’enorme tenda plastificata che dovrà accoglierci tutti ( ora siamo in venti) attorno al tavolo ed hanno allestito un’ottima cena con un fornello da campo! La serata è fredda, ma la riscaldiamo con abbondante vodka. Neanche il vento o la pioggia caduta durante la notte, ci impediranno di dormire.
29 settembre 2010 – Dopo aver smontato il campo ripartiamo e stavolta il viaggio sarà quasi sempre accompagnato dalla vista in lontananza del lago circondato dalle dune di sabbia, alcune alte da sembrare montagne, mentre noi proseguiamo su un deserto cespuglioso color ocra.
Sostiamo al piccolo villaggio Khoklemorit dove tanti bambini di una scuola materna in “pausa bagno”, eccitati dalla insolita presenza, ci circondano festosi e non vogliono lasciarci andar via; offriamo loro delle caramelle e subito, serissimi, per prenderle si mettono in fila! Ci fermiamo per il pieno di carburante presso una vecchia cisterna ora adibita a stazione di servizio: il benzinaio, seduto all’interno della stessa (perché non entrava in piedi) prendeva i soldi attraverso uno sportellino, mentre il rifornimento self-service, avveniva attraverso una pompa con erogatore che usciva all’ esterno. Proseguiamo ancora fino a raggiungere il lago Dorgon nuur. Qui ci accampiamo per la notte, mentre la nostra ottima cuoca mongola ci prepara la cena. Alcuni di noi, più temerari, fanno persino il bagno nell’invitante lago blu, e, scrollandosi le gocce ghiacciate dalle spalle, diranno poi che l’acqua non era affatto fredda! Dopo cena, “passatella” mongola con la vodka poi, al colmo dell’allegria, i nostri ospiti ci organizzano una vera “balera” con luci intermittenti e musica italiana (Pupo, Ricchi e Poveri, ecc) il tutto proveniente dai nostri tre Uaz posizionati in circolo. Inutile aggiungere che siamo stati praticamente “costretti” a ballare e cantare con loro quella che credono essere la nostra musica!
30 settembre 2010 – Smontate le tende si riparte, andiamo verso gli Altai la catena che si estende per oltre 600 chilometri di piccole colline, cavità, laghi blu, ghiacciai, pareti a strapiombo e picchi di oltre 4000 m. Oggi costeggiamo, ancora e a lungo, un altro lago, soffermandoci a fotografare cavalli al pascolo ed a “sconvolgere” la serenità domestica di una giovane mamma in una gher per ammirare il suo neonato che – immobilizzato nella stretta coperta a fiorami – dormiva tranquillo. Poco dopo, ad un incrocio, si dividerà la nostra strada da quella degli amici cuochi i quali, con il loro carico di tendone e stoviglie torneranno indietro. Sosta per il pranzo (al sacco) che consumiamo seduti su una catasta di legna accanto ad una gher, mentre le nostre guide e gli autisti mangiano una zuppa calda nell’annessa “trattoria”. Sul tetto della gher noto delle calze in feltro ad asciugare e, a terra, anche la forma in legno con la quale sono state fatte: sono le calze che indossano dentro i larghi stivali mongoli! Proseguiamo attraversando un bel ponte di legno e incantandoci davanti ad una grossa mandria di eleganti cammelli. Poi arriviamo al nostro albergo a Khvod (con doccia calda stavolta).
1 Ottobre 2010 – Oggi lasciamo la città per la nostra ultima tappa, Olgii.
Ci accompagna un bel panorama, fra monti e laghi. Per il pranzo degli autisti ci fermiamo, in modo un po’ circospetto, ad una gher di kazaki temendo che l’accoglienza possa non essere la solita, essendo questi di un’altra etnia; invece ci accolgono tutti con infinita cortesia e trascorriamo con loro un’oretta attorno alla stufa, fra biscotti e sorrisi.
Poi ripartiamo senza più soste fino ad Olgii dove visitiamo – al buio – il piccolo museo, ci accompagna una sorvegliante con torcia elettrica che ci illumina le bacheche e molto velocemente ci mostra una panoramica della cultura kazaka.
Raggiungiamo le nostre gher al Bugat Village, a 4 km. dalla città, proprio nella piana dove si svolgerà l’atteso Eagle Festival, vero motivo della scelta della data del viaggio all’ inizio dell’inverno mongolo. Ceniamo con il solito menù, ma il dopocena è a sorpresa: ci raggiungono dei suonatori di violino a “testa di cavallo” – che ha solo due corde – con il quale ci dimostrano di poter suonare qualsiasi cosa.
2 ottobre 2010 – Arriviamo nella spianata a ridosso del monte Tavan Bogd dove oggi ha inizio il Festival delle Aquile, in questo luogo di selvaggia bellezza, illuminato da un sole quasi estivo, partiranno i cavalieri kazaki. Li vediamo arrivare al galoppo, fieri nei loro vestiti preziosi, con i grandi cappelli di pelliccia e, sul braccio destro ben sollevato, la fedele aquila. È lungo e difficilissimo addestrare le aquile, ed ogni proprietario, giustamente orgoglioso di mostrare la propria agli spettatori, si sottopone volentieri al tiro incrociato delle foto; ora possiamo anche avvicinarci e addirittura accarezzare, questo splendido animale.
La gara si svolgerà con prove di abilità e velocità. L’atmosfera è bella e festosa, una vera fiera, con musica, venditori di montone arrostito, venditrici di preziose tovaglie multicolori e oggetti in feltro.
La merce è esposta su semplici teli allargati sul terreno polveroso e, naturalmente, si acquista contrattando.
Ci sarà una lunga cerimonia di presentazione dei falconieri, con un’ impressionante sfilata degli stessi. Poi, dopo una pausa per il pranzo, inizia il festival con una prova di abilità di tutti i cavalieri, i quali dovranno raccogliere, in corsa, delle bandierine da terra. Torniamo al Campo per la cena poi finiamo la serata ad Olgii per un interessante concerto con strumenti mongoli e danze etniche, in una sala ampia e comoda. Bello soprattutto il balletto ispirato alla caccia con l’aquila!
3 ottobre 2010 – Nella stessa, caotica e bella atmosfera di ieri, ha inizio lo spettacolo: un cacciatore a cavallo trascina una pelle di volpe legata ad una corda, che l’aquila (privata del cappuccio e lanciata dalle alture) dovrà afferrare. A questo punto il cacciatore smonta da cavallo e va a togliere, nel più breve tempo possibile, la pelle dagli artigli dell’aquila, consegnandola alla giuria. Raramente l’aquila sbaglia o vola via libera nel cielo, ma – comunque – torna sul braccio del suo addestratore. C’è davvero un rapporto molto stretto fra questi e l’aquila, infatti, essi trascorrono insieme molti anni, perché gli animali, che vengono catturati nei loro nidi appena iniziano a volare, possono raggiungere 25 anni di età. Dopo la pausa per il pranzo, purtroppo, ci perdiamo gran parte di una simpatica gara in cui le donne a cavallo, coi loro splendidi costumi, inseguono e raggiungono i mariti per frustarli.
Tutto lo spettacolo viene accompagnato da esclamazioni di approvazione o disapprovazione da parte del pubblico presente, formato da pochi turisti e soprattutto da Kazaki accorsi dai villaggi vicini. Segue la gara in cui i cavalieri si contendono fino allo stremo una pelle di volpe, alcuni finendo fra il pubblico, altri facendosi trascinare dall’avversario ma mantenendo i piedi nelle staffe e stringendo le redini fra i denti, senza mai cadere da cavallo! Si arriva infine all’ultima prova, quella con gli animali veri (una volpe e poi un lupo) che potrà essere disputata soltanto dai due cavalieri distintisi nelle gare precedenti.
Questa si svolge come quella con le pelli, i cacciatori sulla montagna sfilano il cappuccio al rapace, che prende quota e, avvistando immediatamente l’obiettivo, dopo qualche giro concentrico nell’aria, scende in picchiata.
La preda viene artigliata e immobilizzata a terra: qui entra in gioco il cavaliere che accorre e, con il braccio coperto dal pesante guanto di pelle, dovrà velocemente togliere la preda, ancora viva, dagli artigli dell’aquila. Il tutto si è svolto in pochi minuti, sia nel primo che nel secondo caso, ed è stato – fortunatamente – seguito da una corsa sfrenata da parte degli altri cacciatori i quali circondando aquila, cacciatore e preda ferita, mi hanno impedito di vedere tutta la scena, forse troppo cruenta!
4 ottobre 2010 – Sveglia all’alba per recarci all’aeroporto. Imbarco per il ritorno a Ulaan Baatar su un Fokker 50 traballante. Arrivo al nostro primo Hotel Ayanchin, sistemazione e poi un giro nel centro di questa strana città. Dall’aereo sembrava come tutte le altre : un reticolo di strade e piazze intersecato da qualche arteria più grande, ma avvicinandoci ci accorgiamo che quei puntini bianchi che apparivano tra le case, sono proprio gher, le tradizionali tende dei nomadi mongoli! che si alternano ai normali palazzi. Le prime costruzioni vere e proprie sono degli anni trenta, si devono ai sovietici e sempre a loro si deve il nome Ulaan Baatar, che significa “eroe rosso”. Lo scenario che ne è derivato è un misto di pomposità stalinista e neoclassicismo un po’ teatrale, ma, trovarlo inserito nel paesaggio lunare della steppa mongola è veramente sorprendente. Un esempio è l’enorme piazza, pensata per le parate militari, dove sorge il bianco e mastodontico palazzo del Governo con il monumento a Chinggis Khaan vicino al teatro dell’opera e di color aragosta! Saliamo al tempio dell’amicizia, sulla collina di Zaisan da dove si possono riconoscere i simboli della nuova mongolia: la statua d’oro del Buddha Park, le innumerevoli gru dei palazzi in costruzione, i vari grattacieli in vetro e cemento sparsi a caso nel tessuto urbano, ecc. A questo punto, le nostre guide, che vogliono farci fare la conoscenza completa della città moderna, ci offrono una meravigliosa cena occidentale nel miglior ristorante di Ulaan Baatar il “Seoul”.
5 ottobre 2010 – Oggi visitiamo il Museo Nazionale di Storia Mongola o “della rivoluzione” molto interessante con reperti dell’età della pietra, collezione di costumi e gioielli dei vari gruppi etnici della mongolia, vi è ricostruita una gher con mobili, utensili e strumenti tradizionali; un intero piano è dedicato alle armature autentiche, del XII secolo, infine vi è esposto l’enorme plastico dell’antica Karakorum, che stentiamo a riconoscere, avendo appena visitato i suoi pochi resti. Una pausa per bere un “vero” caffè poi, essendo il volto umano della città un misto di occidente ed oriente, ci rechiamo a visitare il Palazzo d’inverno di Bogd Khan, residenza per vent’anni dell’ottavo Buddha vivente ed ultimo re della Mongolia. Questo palazzo, molto bello in realtà e pieno di strani cimeli, fu risparmiato dai russi e trasformato in museo, mentre il Palazzo d’estate che sorgeva sulle rive del fiume Tuul Gol, fu completamente distrutto.
Essendo l’ultimo giorno di permanenza in Mongolia, ci facciamo condurre in un grande magazzino del centro per cercare qualcosa di caratteristico come souvenir, ma ne usciamo delusi. Fortunatamente i pochi ma migliori acquisti, li abbiamo potuti fare, con pochi tigrik durante il tour nei villaggi, dagli artigiani locali quasi tutti poco più che bambini, aiutando così le loro famiglie.
Per finire, ancora una raffinata cena in un tipico ristorante mongolo, poi… all’aeroporto, per un “sofferto” ritorno.
Quanto costa un viaggio in Mongolia
Moneta locale è il tigrik o MNT al cambio, 1 MNT = € 0,0005
La situazione della Mongolia è certamente di povertà, ma non manca l’ essenziale; non ho visto miseria nei pochi villaggi, forse in città le differenze sono più evidenti, poiché accanto a chi vive in moderni palazzi,
c’è chi vive ancora nelle gher senza essere più pastore. Il costo della vita è molto basso, ma così sono anche
le retribuzioni. Ho notato che la benzina in proporzione era cara, poiché in media costava soltanto 1/3 in meno che in Italia. Il costo iniziale del viaggio è stato di € 2.390,00 + € 60 per il visto + € 80 di cassa comune per
extra (ingressi musei, bevande, mance, sovrattassa per eccedenza peso bagagli per volo interno ecc.)
dei quali € 30,00 restituiti perché non spesi. In totale € 2.500,00.