In pagine di rara intensità, Moni Ovadia esprime per la prima volta la sua posizione sulla questione mediorientale: «Io sono un uomo della diaspora. Naturalmente ogni persona ha diritto ad avere una casa. Ma per evitare che il luogo del ritrovarti diventi un idolo, anche nella tua casa devi mantenere lo spirito della diaspora».
Altrimenti, riflette amaramente Ovadia, nulla potrà impedire una vittoria postuma dell’abominevole progetto nazista: la cancellazione definitiva del solo popolo che aveva sempre rifiutato di piegarsi al nazionalismo. Con la voce ironica e commossa di un ebreo che desidera la pace fra Israele e i palestinesi, Moni Ovadia rompe il suo canto con domande difficili, oscuri presagi della discordia che separa tra loro terre e uomini: come nasce lo Stato di Israele e cosa sta diventando? Cos’era il sionismo e dove ha portato gli ebrei?
Come può coniugarsi la tradizione ebraica con l’oppressione di un altro popolo?
Il passato e il presente si intrecciano nei suoi ricordi e, lungo il crinale delle passioni che segnano la storia del popolo del Libro, Moni Ovadia risponde: «Se si persegue la strada del nazionalismo e della rivendicazione dei diritti di sangue sulla terra, si rimuove un aspetto fondamentale dell’ebraismo: che la terra promessa o donata è del Signore […]
Quella terra non ti è stata donata perché tu diventassi un fanatico nazionalista, ma anzi, proprio affinché tu dimostrassi che l’unico modo per costruire la pace è essere un popolo che sa vivere sulla sua terra da straniero fra gli stranieri».
Il popolo dell’esilio di Moni Ovadia (pagg. 240 Editore Riuniti).