(1ª parte di: Viaggio in India 1975)
L’esperienza vissuta da 14 persone che nel
lontano 1975, ebbero l’idea ed il coraggio di
affrontare un lungo viaggio a bordo dei propri
camper attraversando: Italia, Jugoslavia,
Bulgaria, Turchia, Iran, Afghanistan,
Pakistan per giungere in India
di Francesca Tania Tancredi
Recentemente abbiamo avuto l’opportunità di visionare il diario di bordo del viaggio del Dott. Alberto Barbieri (riferito a marzo 2002 pubblicato su iTimoni n. 2 maggio-giugno 2002 n.d.r.), grazie alla gentile collaborazione della moglie Signora Maria Luisa Allegretti.
Il diario è un’affascinante raccolta di notizie dell’esperienza vissuta da un gruppo di 14 persone che nel lontano 1975 ebbero l’idea ed il coraggio di affrontare un lungo viaggio a bordo dei propri camper attraversando: Italia, Jugoslavia, Bulgaria, Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan per giungere in India.
Ci avrebbe fatto piacere poter pubblicare integralmente il diario, ma per ragioni di spazio non è stato possibile. Così abbiamo pensato che sarebbe stato interessante rivivere questo viaggio attraverso un’intervista immaginaria al sig. Alberto.
Dott. Barbieri come è nata l’idea di questo viaggio?
“Iniziammo tra amici, con gite nei dintorni di Roma, per passare in allegria il week-end alla scoperta delle bellezze del Lazio e ci venne l’idea, facile per noi ormai pensionati, di fare un giro a largo raggio.
Il motocaravan è, a mio parere, il mezzo turistico più completo che consente di poter respirare -aria di casa sotto ogni cielo-.
Dalle colonne del giornale dei campeggiatori 2C camping e caravanning avevo divulgato l’idea e gli interessati non si son fatti attendere; secondo le previsioni e le intenzioni dovevamo al massimo essere quattro o cinque; alla partenza eravamo quattordici!”.
Fra i paesi che avete visitato uno dei più vicini a noi per distanza ma lontano per cultura è la Turchia, molti temevano di affrontare un viaggio in quelle zone per paura di fare brutti incontri. Me lo conferma? Vuole raccontarci un episodio?
“Sono le ore 16, incomincia ad imbrunire e trovo uno slargo che a malapena potrebbe contenerci tutti;
poco più in alto la nebbia sta invadendo ogni cosa. Mi fermo ed indìco il solito referendum per conoscere il parere della maggioranza: sostare o continuare a salire? La maggioranza è dell’idea di fermarci, ma qualche signora teme di pernottare così lontano da ogni centro abitato. Purtroppo non è così! Con molte manovre riusciamo a essere tutti contenuti nello spiazzo. Abbiamo appena terminato l’operazione, che i primi
ragazzacci iniziano ad avvicinarsi; da dove sono arrivati?
…A poco più di mezzo chilometro, nascosto dalla nebbia, c’è un paesino dal quale una trentina di giovani intorno ai sedici, diciotto anni, hanno iniziato una processione, avendo notato la nostra presenza. Difficile farsi capire, se non a segni. Sono ragazzi terribili che ci fanno tornare alla memoria il vecchio detto romano: mamma, li turchi! e ci chiedono sigarette e caramelle.
Qualcuno si commuove e distribuisce i primi doni. Questo invece di calmarli, li eccita e aumentano le loro richieste. Prego gli amici di rientrare nelle proprie autocaravans e di tirar giù gli oscuranti, onde evitare che i loro nasi si incollino ai vetri, come stanno già facendo. Tutto ciò li agita ancora di più: ma che brutto carattere!
Ci fanno capire che dalla montagna, che è a strapiombo sopra di noi, potrebbero cadere grosse pietre.
Messa da parte ogni prudenza accendo una lampada allo iodio del tipo usato dai carabinieri, e facendomi prestare dall’amico Ricci il suo pistolone lanciarazzi con cartucce che sembrano proiettili di antiaerea, faccio loro comprendere che non esiteremmo ad individuare chi faccia cadere le pietre e a sparare, senza complimenti.
Tra questi scalmanati ce ne sono un paio più grandi, (uno dei due con l’espressione tipica dello stupido del paese). Incoraggiati da qualche sigaretta, che faccio scivolare nelle loro mani alla chetichella, (per non farci vedere dagli altri), iniziano ad invitare energicamente il gruppo a rientrare in paese. Lo stupido afferra un nodoso bastone ed inizia a rifilare poderose bastonate sulla schiena dei più renitenti.”
Ci risulta che lungo il viaggio avete avuto problemi con alcuni mezzi!
“È accaduto quando ci siamo fermati a Dograbayazit, sostando nel piazzale di un Motel… La mattina dopo il gruppo sarebbe ripartito per la frontiera iraniana e noi avremmo cercato un meccanico per riparare il rimorchio. Non l’avessimo mai fatto! Sulla lamiera del timone già malconcia per le estreme sollecitazioni della strada, il meccanico …specializzato, come si leggeva sul cartello antistante l’officina, ha fatto una serie di buchi, non con un trapano, ma con un punteruolo, riducendolo una specie di formaggio svizzero!
Poi avrebbe dovuto mettere un rinforzo, ma non lo aveva e così ha rimediato con un lamierino, proveniente da un paracolpi di un’autovettura americana fuori uso.
Avrebbe a questo punto dovuto cercare di rinforzare la riparazione con una saldatura elettrica o ossiacetilenica, ma… la corrente sarebbe venuta solo di sera e l’ossigeno era esaurito! Come risultato di sette ore di lavoro, il nostro timone, dopo soli dieci chilometri, si è spezzato in due!”
Com’era la situazione nelle città Iraniane?
“Una confusione indescrivibile regna nelle strade; tutti sembrano avere l’automobile, segno di un benessere sopraggiunto negli ultimi tempi con la triplicazione del prezzo del petrolio.
A questo benessere nato così all’improvviso, non ha fatto riscontro, ne aveva il tempo di farlo, il propagarsi delle altre conquiste del benessere, presupposti della vera civiltà. Anche le ditte che appaltavano la costruzione delle strade, erano degne di… apprendistato.
Non avevano infatti neanche l’idea dei pesi sostenibili; era comunissima la rottura del coperchio di un tombino, fatto in cemento. Ciò provocava voragini profonde da mezzo metro fino a due metri e la circolazione non era tale da consentire ad un guidatore di accorgersi del trabocchetto, se non quando ci fosse caduto dentro.
Immaginate il risultato: il veicolo, grosso o piccolo, resta lì sprofondato e quelli che lo seguono, debbono fare una gincana per superarlo; a 5 o 10 metri un’altra voragine è aperta o si può aprire da un momento all’altro, solo per il passaggio di un TIR ed altri fanno la medesima fine.”
Come avete fatto a mantenere le comunicazioni con l’Italia?
“Grazie alla posta dove trovavamo in fermo posta le notizie dei nostri cari e facevamo ripartire le nostre lettere. All’uscita della posta, assistiamo ad una scenetta, purtroppo comune anche nelle nostre strade, ma decisamente più violenta. Un pedone cammina sulle zebre ed un automobilista lo sfiora; vola qualche parola e poi i due si azzuffano, pestandosi con pugni e calci da professionisti.
La polizia, che è numerosa, interviene con altoparlanti portatili, ma non ottiene nulla. Per dividere i due, dopo qualche momento ci sono ben sette poliziotti! Ne buscano anche loro ed uno riceve un bel pugno sul naso. Poi caricano di peso l’automobilista sulla sua auto e tutto finisce lì.”
In seguito ad un guasto ad uno dei mezzi, avete dovuto fare una sosta forzata nei pressi di Bojnurd, so che in quella occasione ha potuto fare conoscenza con un giovane iraniano!
“Ho avuto modo di dialogare con un giovane che parlava abbastanza correttamente l’inglese e, per ingannare il tempo, sono venuto a sapere che pur essendo laureato in matematica e fisica, per precisa disposizione di legge (in Iran), doveva, prima di iniziare la professione ufficiale nel luogo da lui prescelto, fare il maestro elementare; insegnare a leggere e a scrivere ai bambini del paese. Questo sacrificio era ripagato con la stima e l’affetto dei paesani!”
Com’era la situazione al confine fra Iran e Afghanistan?
“In Afghanistan, la miseria era veramente nera: deserto, deserto e null’altro! Gli uffici erano veramente in uno stato deplorevole. Gli impiegati indossavano abiti che noi non metteremmo neanche per fare i lavori più umili. Nel mio autocaravan, il doganiere che effettua la visita all’interno, nota un pacco in plastica verde: è l’oscurante del parabrezza che contiene i resti di un prosciutto San Daniele che l’amico, ragionier Micotti, mi ha regalato prima di partire.
Il doganiere mi chiede cosa contenga. Meat rispondo. Apre ed innorridisce.
È noto che il meraviglioso prosciutto che viene preparato nel Friuli, conserva l’unghia tipica del maiale. Haspen, mormora. Non so quale sia il significato, ma il suo volto dice molto di più di ogni parola.
Ricordo che, per i musulmani, toccare un maiale è il più terribile dei peccati e cerco di spiegare che si tratta di carne di bue, ma lui ripetendo la parola haspen, haspen, scappa via schifato. Un dollaro risparmiato!”
Mi è stato detto che spesso in Afghanistan si incontravano posti di blocco!
“Ogni tanti chilometri: a volte 50, a volte 100, ed anche più spesso, una catena, un’asta o una fila di sassi, sbarra la strada. Una specie di soldato, che il più delle volte ha una divisa in pessime condizioni ed alle volte è addirittura scalzo, fa cenno di avvicinarsi ad un baracchino che si trova al margine della strada, ed in cui, raggomitolato come un riccio, si trova il doganiere che intasca afghani e distribuisce biglietti (come quelli dei nostri tram) su cui si deve scrivere il numero di targa della propria autovettura…
Il pagamento del pedaggio varia a seconda della lunghezza dell’automezzo: da 20 afghani per una piccola autovettura, a 50 afghani per un autobus. Quindi discussioni a non finire, perchè quell’autocaravan che è stata considerata piccola da un doganiere, viene considerata grandissima da un altro.”
In un paese come l’Afghanistan, povero e arretrato, come erano le strade?
“Le strade erano sempre buone, pur con saliscendi. Costruite, così ci dicono, dagli americani. Ci ha colpito, il lavoro, svolto tutto da solo, da un ometto piccolo e vecchio, con una barbetta caprina bianca; nel bel mezzo del deserto, con una macchinetta primitiva per tener in caldo l’asfalto, riparava, con una scopa intinta nel catrame e qualche sassolino che rintracciava sul bordo della strada, qualche buca incipiente nel manto stradale. Una persona sola, con mezzi inadatti per la manutenzione di migliaia di chilometri? Più oltre in un piccolo villaggio, vediamo quattro uomini affaticati per caricare un branco di pecore. Indovinate su che cosa? Su un autobus, così detto di linea, con tanto di sedili, usato evidentemente per il trasporto di animali e cristiani, anzi musulmani.”
Vi è capitato di assistere a qualche evento particolare?
“In Afghanistan una curiosa usanza richiama la nostra attenzione. La notte la temperatura è rigidissima ed al mattino non è raro vedere gli autisti che, dopo aver messo in moto l’autocarro o l’autovettura, si tolgono le scarpe e le infilano nel tubo di scappamento per farle scaldare. Sarà un caldo umido, ma il sistema deve funzionare se lo stratagemma è così diffuso!
In Pakistan vediamo passare un funerale: il defunto, ricoperto totalmente da una imbottita, viene portato a spalla su una portantina di canne. Tutto ballonzolante per l’elasticità del mezzo, se ne va verso il crematorio, accompagnato dai soli parenti maschi. Qui, come già in Afghanistan, è rarissimo vedere donne in giro; sono sempre relegate in casa.”
La meta del vostro viaggio era l’India vorrebbe anticiparci qualche sua impressione?
“Per l’India il discorso cambia totalmente. Ci si viene a trovare in un paese il cui stemma è l’onestà e la bontà. Povero, poverissimo paese, sovrappopolato, ma forse il più ricco del mondo!
Non grattacieli o automobili veloci e smisurate, non autostrade o contestazioni inutili e dannose, da parte di chi non si è ancora affacciato alla soglia della vita e critica quello che hanno fatto i propri genitori e progenitori, ma il rispetto vero degli altri: l’alterum non ledere dei romani; il non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, del Vangelo di Cristo!
È con queste premesse che si deve vedere e apprezzare questo immenso territorio e saper comprendere l’insistenza dei poveri che chiedono, ma giammai pretendono, e saper compatire la massa dei lebbrosi che con la loro lingua per noi incomprensibile, ma ostentando i loro arti ed i volti corrosi e deformati dal terribile male, si affollano intorno chiedendo l’elemosina, ma evitando di toccarci per non procurare un contagio. Poveri nostri disgraziati fratelli, che invece di maledire chi stia meglio di voi, vi limitate a chiedere aiuto!
Si possono leggere i libri più accreditati su questo argomento, ma solo dopo un viaggio dettagliato e prolungato in terra indiana e pakistana, a stretto contatto con questa povera gente, vedendo i loro tuguri costruiti con fango e sterco di vacca, non le capanne o le così dette case che costeggiano le strade internazionali, ma quelle dei piccoli villaggi fuori mano, che si dovevano raggiungere attraverso guadi e tratturi, dove mai avevano forse visto passare un automobile o ancor meno un autocaravan, che si può comprende quale grazia ci abbia fatto il buon Dio nel farci nascere qui, in Europa, nelle nostre abitazioni, in un paese povero di petrolio, ma ricco di acqua, di verde, di antiche vestige. Nasce un imperativo categorico, che non è quello filosofico, ma umano e cristiano, sull’obbligo che abbiamo di aiutare questa gente, abitanti un diverso pianeta, come lo definisce il Quilici, tanto diverso da noi, ma tanto più bisognoso e più buono.
Cercando di fare un parallelo tra la popolazione europea e quella indiana, veramente si può affermare che mentre noi europei abbiamo tra gli imperativi, purtroppo imperativi solo sulla carta, quello della religiosità che dovrebbe essere innata per atavismo; per gli indiani, la religione è vita, è aria che si respira, è cibo, quel cibo che nel senso nostro della parola, non hanno. Questa religiosità permea ogni loro azione: sono servizievoli, gentili, onesti.
Naturalmente non è tutto oro colato ed anche in India, almeno da quanto si apprende dai giornali, spesso avvengono tumulti, incendi, uccisioni anche per futilissimi motivi; in India, la maggioranza è costituita dagli Indù,
ma un dieci per cento degli abitanti è musulmano ed è noto che tale religione, talvolta, esalta il fanatismo con le conseguenze immaginabili. Anche gli Indù, praticano alcune ingiustizie, come la suddivisione in caste, anche se il fenomeno è in via di estinzione.
Credono nella trasmigrazione delle anime, per cui un individuo per nascita, acquista una specie di eredità per la vita che ha precedentemente vissuta e, se avrà bene agito, quando rinascerà, sarà incarnato in un essere superiore, o diversamente inferiore, fino a raggiungere il Nirvana, cioè il paradiso, dove la felicità sarà eterna. Questo ci spiega perchè, anche i miseri, gli intoccabili, che sono l’infima categoria degli indiani, aspirino alla perfezione, convinti intimamente che ogni loro buona azione verrà ricompensata.”
Segue la 2° parte: (Viaggio in India 1975)
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