In tempi antichissimi il continente
era il fondo di un mare poi una
volta emerso attraverso un’erosione,
durata milioni di anni, si sono
formati profondi canyon.
di Giuseppe Bacci
È difficile raccontare un viaggio in Australia, ed è anche difficile rispondere a chi ti chiede se è stato bello. In effetti l’Australia colpisce più per le piccole e innumerevoli differenze che ne fanno un paese unico, piuttosto che per i luoghi più famosi che affascinano il turista. Certamente arrivare dall’altra parte del mondo, stare svegli quando da noi si dorme e viceversa a causa delle 11 ore di fuso, già colpisce l’immaginazione. Ma l’Australia, con la sua superficie paragonabile all’Europa, è di fatto un continente che da un punto di vista naturale è rimasto isolato per lungo tempo dal resto del mondo. È la prima volta che organizziamo un gruppo per questa destinazione, e così, considerato che a febbraio è stagione delle piogge per le zone tropicali e che i chilometri da fare sono tanti, abbiamo rinunciato alla zona nord ed alla costa ovest, che saranno magari una buona meta per un viaggio estivo. Abbiamo raggiunto Sydney in aereo, poi con camper in affitto costeggiato verso sud-ovest attraverso Canberra, Melbourne ed Adelaide, per penetrare poi nel deserto fino ad Ayers Rock e Alice Spring. Con un volo interno ci siamo spostati a Cairns nel Queensland, dove abbiamo apprezzato la foresta tropicale e le isole coralline, prima di tornare in Italia.
Il gruppo era affiatato, 16 persone in 8 camper tutti con una grande passione per i viaggi. Una prima chiave di lettura di questa terra è proprio la sua storia geologica, un continente molto antico, dove il tempo ha livellato le montagne (la vetta più alta arriva appena a 2.200 metri) ed il paesaggio è un susseguirsi di vaste pianure, basse colline e qualche rilievo montuoso. Negli ultimi 90 milioni di anni non vi sono stati eventi geologici significativi, come eruzioni o ghiacciai, ed il paesaggio si è livellato e coperto di sabbia. Se cercate paesaggi alpini, nevi, montagne e vallate scoscese, l’Australia non fa per voi. Ma in tempi antichissimi il continente era il fondo di un mare, poi è emerso e per milioni di anni l’erosione ha lavorato e smussato i rilievi, al massimo ha scavato qualche profondo canyon. Oggi rimane una traccia del mare che si è prosciugato negli strati di sale che si trovano nel sottosuolo, in alcune zone oltre 100 kg per metro quadro, circostanza che sta dando dei seri problemi agli agricoltori che irrigano. Infatti l’irrigazione penetra nel terreno più profondamente delle piogge e scioglie il sale, facendolo affiorare fino a rendere non coltivabile la terra e salati i fiumi. Durante il nostro viaggio l’attrattiva geologica più spettacolare è stata naturalmente Uluru (Ayers Rock), luogo simbolo dell’Australia, un immenso monolito di arenaria, solcato da strati sedimentari, che le ere geologiche hanno fatto rotolare e poi sprofondare a metà in una vasta pianura di detriti. Simili ed ugualmente suggestive le vicine montagne di Kata Tjuta (Monti Olga). Se volete un luogo che vi comunichi l’impressione dello scorrere delle ere geologiche, è questo lembo di deserto al centro dell’Australia. La montagna si erge per 350 metri al di sopra di un altopiano, ed è quello che rimane di una catena montuosa alta migliaia di metri. Ma anche il vicino Kings Canyon, con la vegetazione che risalta tra le rosse pareti a strapiombo, è spettacolare. In questa terra la vita ha prosperato nelle ere antiche, mentre oggi il terreno ormai esaurito è relativamente poco fertile. Ed ecco che al turista appare il “bush”, specie di boscaglia che occupa quasi tutto l’interno, troppo verde per ricordare i deserti africani, ma troppo sterile per essere coltivata. L’evoluzione in Australia ha trovato strade diverse dalle nostre, portando ad una fauna ed una flora caratteristiche.
I motivi vanno ricercati anche nel clima particolare, non vere e proprie stagioni, come da noi, ma periodi di siccità della durata di anni, alternati a periodi di pioggia. Le piante quindi non seguono un ciclo annuale, ma risparmiano energie durante il periodo secco per poi riprodursi e germogliare in occasione dei periodi più umidi. Ovunque si vedono eucalipti, di varie specie, mentre nel nord, più piovoso, la foresta tropicale ricopre tutta la fascia costiera. Gli eucalipti sono alberi con strane caratteristiche, ad esempio sono sempreverdi in quanto perdono la corteccia invece delle foglie. Si incontrano anche piante della famiglia delle cicadacee, rimaste praticamente identiche dall’epoca preistorica ad oggi, come la Cycas, usata da noi a scopo ornamentale. Ed anche tra gli animali le soluzioni per la sopravvivenza sono state diverse rispetto alle nostre regioni: molti marsupiali erbivori, nessun grande predatore carnivoro.
La relativa scarsezza di cibo calorico e la mancanza di carnivori porta gli animali sulla strada del risparmio energetico: i lunghi salti dei canguri accumulano energia elastica nei tendini diminuendo lo sforzo per spostarsi, mentre un animale come il koala ha potuto ridurre il cervello, organo che assorbe molte delle energie prodotte da un mammifero, non dovendo utilizzarlo per sfuggire a predatori ed avendo sempre a portata di mano le foglie di eucalipto di cui si ciba.
Gli incontri con piante ed animali durante il nostro giro sono stati numerosi. Per le piante vale ricordare il giardino botanico di Cairns, con stupendi esemplari esotici e fiori coloratissimi, ma anche la natura incontaminata della foresta tropicale di Wooroonooran, vicino Cairns.
Molti gli animali selvatici che abbiamo potuto vedere.
Forse il luogo più suggestivo da questo punto di vista è stata l’isola di Kangaroo Island, dove abbiamo avvicinato i leoni di mare, le otarie, i minuscoli pinguini che tornano alla sera ai nidi e, soprattutto nei brevi sentieri intorno al nostro campeggio, molti canguri, wallaby (piccoli marsupiali), koala, pappagalli ed altri uccelli.
Gli aborigeni, primi abitanti di questa terra giunti 46.000 anni fa, hanno raggiunto una certa evoluzione per poi fermarsi alcune decine di migliaia di anni fa, cercando da allora, tramite la fedeltà alle loro tradizioni, di rendere immutabile nel tempo la loro cultura, rimanendo ad un livello di poco superiore all’età della pietra.
Vi sono state delle influenze esterne sporadiche, 5000 anni fa venne introdotto il cane, che divenne l’unico predatore carnivoro, oggi noto con il nome di Dingo.
Gli allevatori per difendere le greggi da suoi attacchi in branco hanno costruito nel tempo una recinzione lunga migliaia di chilometri, la “dog fence”, che lo tiene lontano dai pascoli e dagli allevamenti di pecore.
Ma la grande invasione iniziò con l’arrivo degli europei.
Per la verità per secoli navigatori asiatici ed europei si erano affacciati su questa terra senza conquistarla. I motivi erano diversi: lungo la costa una impenetrabile boscaglia rendeva molto difficile penetrare nell’interno, mentre i contatti con gli aborigeni non davano luogo a commercio, né essi avevano oro o pietre preziose che attirassero gli esploratori.
Solo gli inglesi alla fine decisero di mettere la loro bandiera sul territorio, fondando una piccola colonia penale dove ora è Sydney. In attesa del ritorno delle navi dall’Inghilterra i coloni rischiarono di morire di fame: dissodare il terreno era molto difficile, e le nostre piante non crescevano facilmente. Passarono molti anni prima che si riuscisse a rendere autonoma la colonia, a creare delle fattorie e dei pascoli. Nel frattempo i conigli si erano sparsi indisturbati per il continente ed i detenuti avevano cercato una nuova vita in quell’ambiente ostile. Nel 1850 degli esploratori scoprirono alcuni filoni di oro, poi opali ed altre pietre preziose che cominciarono ad attirare avventurieri da tutto il mondo.
In effetti quella dell’immigrazione in Australia è stata un’epopea che ha visto fasi alterne: a volte incoraggiata come a metà del 1800 la popolazione raddoppiò in meno di 10 anni, altre volte regolamentata come in tempi più recenti.
Ma sempre le autorità locali selezionarono con tutti mezzi, anche sleali, gli immigrati per favorire i bianchi preferibilmente anglosassoni.
Durante il viaggio abbiamo avuto modo di apprezzare la varietà di popoli che oggi abitano l’Australia: molti di origine europea, ma anche asiatici e giapponesi in particolare.
Ci siamo fermati in alcuni paesi dove convivevano persone immigrate da oltre 20 nazioni diverse.
Vi è una certa tolleranza per permettere la convivenza, ma molti rimangono legati alle loro origini, hanno difficoltà a parlare inglese, e nel complesso gli Australiani parlano una lingua che differisce abbastanza da quella parlata negli Stati Uniti o in Inghilterra, soprattutto per la pronuncia.
Per gli aborigeni il discorso è complesso. L’impressione che ho ricevuto è che il danno causato dal contatto tra la nostra cultura e la loro sia irreparabile.
Gli aborigeni vivevano in modo estremamente primitivo, né pastori né agricoltori, ma semplici raccoglitori, percorrevano a piedi grandi distanze portando con sé solo un’arma (boomerang) ed una corteccia concava che fungeva da recipiente e piatto.
Seguivano delle antiche tradizioni, tramandando leggende sulle origini del mondo, e partecipando a delle cerimonie dove gli anziani iniziavano i più giovani. In effetti all’arrivo degli stranieri gli aborigeni erano una miriade di tribù distinte che parlavano circa 250 lingue.
L’arrivo dei bianchi li ha prima decimati con malattie a loro sconosciute, poi li ha cacciati verso le zone più aride, espropriandoli dei loro territori. Solo in tempi recenti il governo ha deciso di restituire quasi tutti i territori non coltivati agli aborigeni, mentre ancora negli anni 60 si praticavano dei tentativi di integrazione che prevedevano il rapimento legalizzato dei figli per portarli in scuole lontane.
Oggi gli aborigeni non riescono a trovare una loro strada nel mondo moderno. Alcuni si sono integrati nella vita sociale e portano avanti lotte per riavere le terre dei loro antenati, specie i luoghi sacri dove vengono iniziati i giovani, battendosi contro difficoltà poste sia da parte dei bianchi che degli aborigeni stessi. Una minoranza ha deciso di tornare al tempo prima dell’uomo bianco, così sono tornati a vagare nudi vivendo come raccoglitori dei frutti della terra, come avevano fatto per decine di migliaia di anni, in vaste zone di deserto dove è vietato l’accesso ai non aborigeni.
Altri vivono nelle città, utilizzando il sussidio che il governo dà ad ognuno, senza lavorare, seduti nei parchi pubblici, spesso dormendo in relitti di automobili a cui hanno rotto i cristalli. Molti di loro passano la maggior parte del tempo ad ubriacarsi. Il motivo è che non hanno gli enzimi necessari a metabolizzare l’alcool e questo li rende più vulnerabili, inoltre non riescono a dormire in luoghi chiusi, come le case fornite loro dal governo, per questo preferiscono le auto senza vetri. Altri ancora vivono nei loro villaggi, con i capi villaggio che cercano di impedire che l’alcol sia introdotto da turisti o da bianchi senza scrupoli.
Producono oggetti di artigianato
tradizionale, come i dipinti batik ed il “didgeridoo”, strumento musicale a fiato che è un
simbolo della cultura aborigena.
Il didgeridoo produce suoni profondi, ma la tecnologia per costruirlo è praticamente inesistente.
Oggi si vendono ai turisti esemplari decorati, ma lo strumento tradizionale si ottiene da un ramo cavo di eucalipto, basta tagliarlo alle estremità per ottenere un tubo che amplifica il suono prodotto dalle
labbra accostate ad una estremità.
Un didgeridoo può misurare fino ad
oltre un metro di lunghezza e nonostante la sua
semplicità produce una musica molto coinvolgente.
Come turista il contatto con gli aborigeni è difficile,
l’aspetto fisico è spesso molto primitivo, lunghe
gambe magre, arcate sopracciliari molto marcate,
molti di loro si rifiutano di parlare ai bianchi, non
vogliono essere fotografati e non vogliono
essere al centro di attenzioni.
Solo qualche aborigeno
che lavora nei negozi di artigianato o
fa la guida ha familiarità con i turisti.
Clicca qui: Australia 2ª parte