Ho attraversato molti luoghi, molti
visi e mani ho guardato e stretto, dall’India
all’Etiopia, dagli Stati Uniti alla Colombia
all’Ecuador molti luoghi mi hanno visto realizzare
ciò che da sempre andavo preparando.
di Giuseppe Miccoli
In genere i miei viaggi nascono da passioni di bambino, quando davanti ad un atlante illustrato mi perdevo a fantasticare sui viaggi di Marco Polo, a leggere di Verne o di Salgari, di animali mitici e di viaggiatori fantastici.
Ogni spunto, ogni minima traccia, la strada davanti casa diveniva un castello, una pista carovaniera, un albero diventava una foresta e sempre c’era qualche principessa da liberare, qualche orco da addormentare, un tappeto con cui librarsi in volo sui minareti che altro non erano che i camini della mia piccola vita. Sognavo e viaggiavo, viaggiavo e sognavo, leggevo e preparavo il terreno.
Sono un cacciatore di sole, una specie che per fortuna non è in estinzione, inseguo il sole in ogni dove ma soprattutto lo caccio nel mio cuore e nel cuore di ogni essere che incontro nei miei vagabondaggi.
Come i cavalieri che partivano per l’Impresa allo stesso modo ho lucidato la mia Vespa 150, ho preparato il mio casco, la mia giacca , la mia bisaccia, ho salutato la mia principessa dalle lunghe trecce e via verso Santiago de Compostela.
Da Fregene a Santiago de Compostela in Galizia, un pellegrinaggio che risale al IX° sec. con il ritrovamento delle ossa dell’apostolo Giacomo.
In Vespa alle radici del mio essere cristiano, a cercare ancora sole, con un po’ di incoscienza che è sempre necessaria per intraprendere qualsiasi avventura.
Il vento in faccia che mi accompagnerà per i primi tre giorni, quasi a voler provare la mia tenacia, la mia testardaggine, la mia sfida. La prima tappa è La Spezia (416 km) così ho modo di provare la Vespa.
Procedo lentamente, sono teso (è naturale!) affrontare tutti questi km è comunque un’incognita, confido in Dio.
Dormo poco, penso alla strada che mi aspetta ed a tutto ciò che può ostacolarmi, alle 9,00 della mattina seguente sono pronto per la partenza, saluto Claudio e Francesca e mi dirigo verso la Francia.
Il paesaggio è vario, le curve ed il sali e scendi è continuo, la Liguria, il mare, il vento, i pensieri ed i km, la riviera dei fiori… finalmente sono a Ventimiglia e varco il confine.
Di tanto in tanto mi guardo indietro quasi a volermi capacitare di aver già percorso tutta questa strada, una curva, un tornante, delle rocce a picco ed eccomi sulla Costa Azzurra.
Ogni 150 km devo fare una sosta per rifornire la Vespa e quindi in pochi minuti cerco di sgranchire le gambe, la schiena, levo il casco e mi sento felice e fortunato di essere qui.
Guardo la mia carta stradale, sono diretto a Sainte Marie de la mer, il santuario dei gitani.
Attraverso Monaco, Nizza, Cannes, Cap d’Antibes, mi godo lo spettacolo del mare e della strada seppur faticosa, verso sera arrivo a Frejus nell’entroterra di Saint Raphael e qui decido di passare la notte.
Un gioiellino dell’architettura romanica! Mi coccolo davanti ad una buona bottiglia di vino e a gustosi formaggi.
L’indomani, di buon’ora riprendo il cammino tra gli ulivi e la vegetazione mediterranea, il fresco della mattina e gli odori delle erbe, il sole che comincia a scaldarmi, eccomi a Saint Tropez.
Sicuramente uno dei tratti più belli di questa antica via, non incontro molta gente, l’estate è finita, solo qualche gruppo di turisti e così procedo: Toulon, Marseille, le golfe de Fos dove vi sono enormi isole artificiali per le coltivazioni di molluschi.
E poi la Camargue: cavalli, paludi, canneti, uccelli di ogni specie, dura fatica dell’uomo per conquistare un po’ di terreno.
A Sainte Marie de la mer trovo la mia conchiglia Saint Jacques sulla spiaggia, è il segno inequivocabile del pellegrino.
Sono venuto a venerare la santa nera dei gitani, in onore ai liberi viandanti, cittadini e padroni del mondo, siamo tutti gitani… solo di passaggio su questa terra.
Lascio il mare e riprendo il cammino, corro, si fa per dire visto che la velocità di crociera è di 80 km all’ora.
Montpellier, Carcassonne, i paesi Catari, attraverso uno scenario di vigneti… bacco sarebbe felice di vivere qui!
Una pausa vicino al Canal du Midi dove le barche lentamente scivolano aspettando l’apertura delle piccole chiuse che permettono la risalita da un canale all’altro. In questo modo si può arrivare via fiume in Olanda o in Germania… ma questo è un altro viaggio!
Studio le cartine e proseguo, questa sera vorrei essere ai piedi dei Pirenei, oramai sono sulla così detta via tolosana che dall’Italia si congiunge, passando appunto per Tolosa, alla Spagna e che è parte della più famosa via francigena.
Il ramo italiano partiva da Roma, passando per Assisi, Padova, Milano, le Alpi e via verso la Spagna.
Per me questa è la tappa più lunga, circa 500 km, osservo tutto, sento gli odori che penetrano attraverso il casco, mi nutro di frutta e arrivo a Lourdes quando è ormai buio ed io sono sfinito.
Il luogo dove la sofferenza si può toccare con mano, un fiume di gente, candele, rosari, voci che si diffondono insieme al fiume che sembra voler far sentire la sua voce scorrendo insieme al canto e alle lacrime.
Saluto Lourdes sotto una fitta pioggerellina, sono le 7,00 e mi incammino verso la Spagna, oggi valicherò i Pirenei.
È un valico che ho già attraversato circa venti anni fa e che mi era rimasto dentro per la bellezza delle sue gole selvagge, delle montagne e del verde.
Se riuscirò a superare Col du Somport senza ostacoli finalmente riuscirò a rilassarmi. Il paesaggio si fa montano, i colori diventano autunnali, lasciata Oloron Sainte Marie la strada s’inerpica sempre più verso le cime, ma è stranamente un risalire dolce, così come i fotogrammi dei miei ricordi che emergono dai recessi dell’anima.
La mia amica Vespa fatica molto ma ci siamo, eccoci in cima a Col du Somport, antica via di passaggio tra Francia e Spagna ormai poco usata.
Mi fermo al confine per la foto di rito sui Pirenei, maestosa catena che appare come un’enorme spina dorsale, la veduta è di quelle che mozzano il fiato e spazia per diverse centinaia di km.
Chiacchiero con un militare, che è divertito dalla mia Vespa e dal mio inusuale modo di viaggiare.
Mentre scendo a valle l’altitudine e la pressione atmosferica incidono sul carburatore che scoppietta e fa i capricci ed io canticchio Sì viaggiare.
Arrivo a Jaca dove dormo ospite nella casa del pellegrino, mi immergo nell’atmosfera, giungono uno alla volta altri pellegrini, mi sento un po’ in imbarazzo, mi dico che ognuno compie il suo pellegrinaggio e che ciò che conta è l’intenzione ed il cuore.
Da questo momento in poi le mie tappe si accorciano, seguirò il sentiero del pellegrino.
La parte storica ed archeologica è assai visibile e ben conservata, il romanico ed il gotico imperano.
Mancano 840 km alla meta, sono più tranquillo, ho lasciato alle spalle il Summus Portus per i Romani, la cittadella fortificata di Jaca che raccoglie vestigia e testimonianza di un passato romano.
Mi dirigo a Burgos ma non prima di aver fatto tappa a San Juan de la Pena, antico monastero scavato nella roccia usato come Pantheon dai primi re di Aragona, fondato nell’ottavo secolo.
All’interno oltre al romanico chiostro vi è una chiesa mozarabica ed è questa una piccola deviazione che vale la pena di fare.
Tra lecci e ginestre riprendo il cammino, ad ogni angolo una chiesa, un ponte, un antico ospitale, si tratta di una antica via di passaggio, ancor prima di essere via dei pellegrini era via di commercio.
Monreal con la sua magnifica chiesa di Santa Maria di Lunate, un gioiello del romanico, Puente de la Reina dove il cammino aragonese si riunisce con quello di Roncisvalle.
Attraverso il fiume Arga passando sul ponte che dà il nome alla località, secondo gli antichi manoscritti questa tappa era la più dura.
Banditi infestavano un territorio già ostile, non doveva essere certo così facile nel Medioevo.
Scatto qualche foto, consulto la mia inseparabile cartina e via verso Port de Cize, Viscarret, Pamplona, antica capitale del regno di Navarra, importante tappa del cammino iacopeo.
Estella, nome che viene da Campus Stellae (compostella), Nejera, Logrono, ogni posto meriterebbe ben altra e lunga descrizione ma il vento mi porta via, il cuore fotografa tutto.
Sono sui monti dell’Oca, impervi e deserti, mancano circa 90 km a Burgos. In questa zona due monaci decisero di alleviare le fatiche dei pellegrini costruendo ponti e sentieri, ospitali e Santo Domingo de la Calzada ne è un esempio magnifico.
Alla fine di questa giornata piuttosto dura eccomi nell’antico cuore di Castilla: Burgos.
Sono accolto nel più dolce dei modi, il clima, la luce, tutto è così suggestivo all’imbrunire. Seguo le tracce del sentiero che a volte si perdono per poi ritrovare la freccia e la conchiglia gialla e nuovamente il sentiero riappare.
Sono all’ospitale dei pellegrini, letti a castello, una casetta in legno prefabbricato, pellegrini che vanno e che vengono, chi si cura le ferite ai piedi, chi chiacchiera e si scambia informazioni sul cammino.
Ceno con una coppia di tedeschi che viaggiano in bicicletta.
Dedico la mattina alla visita di Burgos, le strade sono vuote, in Spagna la vita inizia dopo le dieci, tutti vivono di notte.
La cattedrale è patrimonio dell’umanità, davanti ad essa sono impietrito e abbagliato. Nel tardo pomeriggio procedo verso Leon, Fromista che conserva uno dei più begli esempi di stile romanico iberico: la Iglesia de san Martin.
Sahagun sede di uno ospitale dei pellegrini fondato dai Templari.
A volte le rotte non sono così definite, tutto può accadere e ti ritrovi in un posto anziché in un altro ma il fascino del viaggio è anche questo, tanto prima o poi ritrovi il sentiero.
Mi godo il paesaggio ed il verde intenso. Lèon, guarnigione romana che sorse per difendere la zona mineraria del nord della penisola iberica.
Questa città è magnifica e sobria allo stesso tempo, dona a chi vi arriva un senso di pace e di protezione, incontro di nuovo i tedeschi, questo tratto lo hanno fatto in treno.
Ceniamo insieme in una taverna del pellegrino, dormiamo nella palestra di un convento di suore di clausura, la sera si dorme presto e la mattina si procede cercando di fare quanta più strada è possibile. Questa è la vita del pellegrino.
Parto verso Rabanal, attraverso il famoso ponte di Orbigo dove si svolse un leggendario duello tra nove cavalieri che sorvegliavano il cammino e proteggevano i pellegrini e sessanta cavalieri mal intenzionati.
Dopo aver assaggiato la famosa cioccolata di Rabanal giungo ad Astorga, un altro crocevia.
Vi convergevano la via Traiana e la via de la Plata, qui inizia la salita del monte Irago temuto per il clima rigido e le nebbie, per tale motivo vi era l’usanza tra i monaci di suonare una campana ad ogni ora per indicare la via.
La geografia di questo monte ha un aspetto inquietante e duro, non incontro anima viva per diverse ore, in cima una grossa croce di ferro indica il valico e i ciottoli deposti dai pellegrini nel corso dei secoli secondo l’antica tradizione formano una particolare collina. Mancano circa 200 km alla meta, l’emozione è grande ma ancora devo pazientare.
Ponferrada, dominata da un bellissimo castello costruita nel XII sec. dai Templari, qui si narra che ricevessero l’iniziazione all’ordine esoterico e segreto del cavalierato, dopo aver superato varie e dure prove.
Sono a Triacastella dove sorge un antico monastero edificato su rovine che risalgono ai visigoti.
Sono vari giorni che il paesaggio è brullo e desertico ma all’improvviso mi ritrovo di nuovo nel verde tra piccoli laghetti e fiumi ed arrivo a Portomarin, mancano novanta km.
Il cuore batte ma volutamente mi fermo per la notte ritardando di un giorno l’arrivo, bisogna saper pazientare e gustarsi il premio con calma.
Ormai sono entrato in Galizia, terra di frontiera. I Galleghi non si sentono spagnoli, hanno lingua e tradizioni molto lontane, siamo nel paese dei Celti.
Palais de Rey, Mellid, mi sto avvicinando, attraverso il fiume Labacolla, come si addice ai pellegrini ho camminato sotto una pioggia fittissima ed ho dovuto procedere con grande cautela.
Scorgo il monte del Gozo, è da lì che ogni pellegrino vedeva la basilica di San Giacomo, la veduta della città santa e su questo monte, esausti, si inginocchiavano sciogliendosi in lacrime.
Nel fiume i pellegrini erano soliti lavarsi, non solo le parti intime ma tutta la sporcizia del corpo intero, così recita il codice callistino.
E finalmente Santiago!
Sono al finis terrae dove finiva il mondo occidentale, compio il rituale del pellegrino, salgo le scale della cattedrale recitando preghiere, metto la mano sulla colonna dove milioni di pellegrini dal Medioevo ad oggi hanno compiuto il medesimo rito, poggio la testa per tre volte sulla testa del leone scolpito ai piedi del portico della gloria e chiedo il dono della saggezza, compio il giro dietro all’altare per abbracciare la statua del santo.
Sulla spianata della cattedrale la foto di rito, esausto osservo decine di pellegrini che giungono alla meta stanchi, doloranti, bagnati, ognuno con una storia, una motivazione ma sicuramente con il cuore pieno di gioia.
La città è deliziosa ed uniforme nel suo stile barocco ma nello stesso tempo sobria ed elegante.
Ho viaggiato solo, sono arrivato alle radici del mio essere cristiano, ho incontrato percorsi splendidi e meravigliosi, evocativi ad ogni livello, un guardarsi dentro.
Questa via lattea è faticosa ed impegnativa proprio come il guardarsi all’interno ma è un’esperienza che ti fa crescere e stabilire un contatto umano con ciò che ti circonda e che vivi.
Arrivati alla meta l’emozione e le lacrime vincono, ma che bello!
Poi ogni stanchezza svanisce, una sosta, una preghiera e di nuovo via verso capo Finis terrae, il punto estremo del continente europeo verso l’Atlantico.
Sulla strada del ritorno il Portogallo, Madrid, Avila, Saragozza, Barcellona, Genova e di nuovo Fregene.
L’importante in ogni pellegrinaggio è raggiungere la meta ma più importante ancora è percorrere la via che ad essa porta.