La 1° esperienza può essere fatta con amici esperti
Il piacere della bicicletta
come quello
stesso della libertà
di Giorgio Sala
Un cicloturista scrive su una rivista di camperisti. Non si tratta di qualcosa di “blasfemo”. Sia l’uno che gli altri sono dei globe trotter, hanno in fondo un animo zingaro. Non sono entrambi propriamente dei turisti ma dei viaggiatori. Per loro vale quanto dice Marcel Proust: “il vero viaggio di scoperta non consiste nell’andare per nuove terre ma nel guardare con nuovi occhi”.
Sempre più spesso riviste e quotidiani riportano reportage di viaggi in bicicletta, più o meno impegnativi. Si leggono cronache di viaggi intercontinentali e di più abbordabili avventure nell’ambito della propria regione. Non importa dove si va, l’importante è la scoperta della bici per provare intense emozioni e “scoprire il mondo a un’altra velocità e guardando da una diversa prospettiva”.
Essa si presenta come un “mezzo creativo”, “una macchina dei pensieri”. Per certi versi si può dire che alcuni riscoprono oggi le stesse emozioni provate dai nostri antenati quando il velocipede fece la sua apparizione. La bici divenne mezzo di svago della ricca borghesia prima, mezzo di emancipazione delle classi povere poi, attraverso l’agonismo. Passando per molti usi: militare, i bersaglieri; di lavoro, i postini; come mezzo di trasporto di massa. Poi fu soffocato dall’automobile. Nel secondo dopoguerra in Italia circolavano 3.500.000 di bici e 184.060 automobili. Nel 1990, secondo dati ISTAT, si sono prodotte nel nostro paese 1.402846 biciclette contro un esercito di ben 27.415.828 automobili circolanti.
Si è giunti ormai a un punto di saturazione. La società reagisce in vari modi. Di qui, anche, la (ri)scoperta della bicicletta. Sempre più spesso s’incontrano sulle nostre strade ciclisti di tutte le età, famiglie intere o gruppi di amici sorridenti interpretare, con le loro bici allestite con borse e borsoni, in modo nuovo e diverso l’approccio alla natura, la conoscenza di altre città e contrade, di altri popoli e genti. In una parola: il viaggiare. Personalmente, in compagnia di mia figlia diciottenne e di un amico di 32 ani, ho intrapreso, nell’estate scorsa, un viaggio da Roma a Francoforte sul Meno in bici, di 1.733 chilometri in quattordici giorni, passando per Svizzera, Austria e Germania.
Abbiamo percorso la via Francigena per un lunghissimo tratto, scavalcato gli Appennini al passo della Cisa e le Alpi al passo del Lucomagno, costeggiato il lago di Costanza e parte del Danubio e del Reno prima di inoltrarci nella Selva Nera. Numerosi sono gli incontri con altri ciclisti, soli o in gruppo, con i quali ci salutiamo alla mano con sorrisi e incitamenti reciproci. È il contatto umano, anche con la gente che incontri ai bordi delle strade e con cui puoi scambiare con molta semplicità le opinioni più disparate, che hanno reso pieno e appagante quel viaggio. All’estero le difficoltà della lingua sembrano sparire nel contatto umano tra il ciclista impegnato in un raid e l’anonimo che fermi per strada per un’informazione. Si stabilisce quasi per incanto, per l’idea di “fragilità” che dimostra il ciclista, un rapporto di simpatia e di benevolenza.
Descrivere il paesaggio incantato e le sensazioni che suscita in chi lo vive a contatto così diretto come abbiamo scelto di fare noi, attraversandolo e penetrandovi in bici, è cosa assai ardua. L’unico aggettivo possibile è magico. Del resto è tra la Selva Nera e il Reno che è nato il mito dell’Anello del Nibelungo. Non è raro incontrare gli aironi ma ancor più emozionante è l’incontro ravvicinato con le cicogne, maestose ed eleganti, per non parlare dei panorami mozzafiato che ci scorrevano davanti al ritmo lento della pedalata. Stantuffando le ginocchia col vento nei capelli. Eravamo noi, le nostre biciclette caricate con i bagagli e il nostro desiderio di conquistare spazi di libertà altrimenti impossibili in una normale vacanza.
Altri interpretano questo tipo di viaggi in maniera, per così dire, “assistita”, ovverosia con l’ausilio di un mezzo d’appoggio. Questo può consistere in una automobile, pilotata a turno dai pedalatori e col compito di trasportare i pesi, alleggerendo così le bici. Il problema del pernottamento rimane lo stesso nei due tipi di approccio al viaggio. Col Camper si può sicuramente compiere un salto di qualità avendo in qualsiasi momento a propria disposizione tutte le comodità necessarie compreso il pernottamento che può essere posizionato ove e quando si vuole. La cosa, vista dal punto di vista del camperista può avere un altro tipo di “vantaggi”, nel portare bici al seguito.
Si possono raggiungere luoghi, ammirare panorami, percorrere sentieri nel bosco o single treck altrimenti irraggiungibili se non a piedi ma scontando lunghissimi tempi di percorrenza. In definitiva, rimanendo io un “purista” in quanto considero, come scriveva cent’anni fa Alfredo Oriani “Il piacere della bicicletta come quello stesso della libertà”, ritengo che il connubio Bici-Camper un matrimonio che sà da fare.