Ricordi e informazioni pratiche
per un tranquillo viaggio da soli
Viaggio facile,
popolazione fantastica,
fin troppo accogliente per i nostri canoni,
paesaggi stupefacenti e tanta storia.
Viaggio di persone e di luoghi.
di Ines Facchin e Roberto Scialanga
Spese:
– carnet de passage en douane 120 euro con fidejussione assicurativa Coface per un anno 500 Euro;
– euro 130 per n. due patenti internazionali;
– visti per 2 persone tramite Adineh travel di Milano 155 euro a persona;
– assicurazione sanitaria multirischi Europ assistance 1 mese in Iran 217,40 euro per due persone;
– assicurazione sanitaria multirischi Europ assistance 7 giorni in Turchia 51 euro per due persone;
– traghetto a/r Bari Igoumenitsa 497 euro camper e due persone;
– in Iran abbiamo cambiato 800 euro utilizzati per gasolio, parcheggi, musei, cibo, taxi e regali.
Programmate l’arrivo alla frontiera Turchia/Iran tenendo presente i diversi fusi orari (Turchia + 1 ora sempre rispetto all’Italia, Iran + 2,30 ore e + 1,30 ore con ora legale) e la visita delle città considerando che in Iran il venerdì è come la nostra domenica.
In entrata siamo stati fortunati perché abbiamo aspettato poco prima che gli iraniani aprissero il cancello. Lo aprono e siamo in Iran e Ines deve indossare il foulard. Fermo per i controlli c’è il camper di una coppia di tedeschi che avevamo incontrato al camping Murat di Doğubayazıt. Stanno cercando di togliere la parabola satellitare per poter entrare ma non hanno le chiavi adatte per svitare i bulloni che la fissano. Per fortuna le mie sono buone e riescono nell’operazione.
Non abbiamo incontrato difficoltà al posto di frontiera di Bazargan dove siamo stati accolti gentilmente da un funzionario che ci ha fatto assistere da un impiegato per l’espletamento delle formalità di rito, controllo del carnet de passage en douane, dei passaporti con visto e visita a bordo; non ci sono moduli da compilare. L’unico inconveniente è che i dipendenti della dogana non hanno una divisa riconoscibile che consenta di distinguerli dai soliti traffichini che stazionano nell’attesa di turisti sprovveduti come eravamo noi. Una volta ripresi i documenti del mezzo non consegnateli più a nessuno ma mostrateli solamente all’impiegato dentro l’ufficio dell’assicurazione.
Negli stessi locali della dogana c’è uno sportello bancario dove non mi hanno cambiato gli euro, forse per agevolare il cambiavalute non ufficiale che si è subito presentato con il suo pacco di rial, ma alle mie rimostranze mi hanno in ogni modo fatto accompagnare da un dipendente nella sede più grande della banca, che è situata in un edificio in fondo alla discesa a sinistra, dopo un grande parcheggio di TIR 39.40061N 44.38457E e dove per altro mi hanno fatto un cambio per niente favorevole 1 euro = 35.000 rial, ho cambiato 500 euro e mi hanno dato 17.520.000 rial, siamo diventati milionari!
Consiglio di cambiare poco e cercare nelle città in alternativa alle banche un ufficio cambi, ad Esfahān per esempio abbiamo cambiato 1 euro = 44.500 rial. Non c’è più l’obbligo di acquistare una carta carburante, mentre è consigliato fare un’assicurazione iraniana i cui uffici sono ubicati in un piccolo edificio situato a sinistra della strada poco prima del cancello di uscita dalla dogana 39.39805N 44.38720E. Suggerisco di raggiungere l’ufficio a piedi lasciando il mezzo davanti alla banca, per cercare di evitare gli ultimi avvoltoi, portando il solo carnet de passage en douane in modo poco visibile e solo rial.
Noi invece abbiamo parcheggiato davanti l’agenzia di assicurazione e subito due individui ben vestiti ed in perfetto inglese, mi hanno richiesto in modo autoritario i documenti del mezzo e mentre uno mi ha accompagnato dall’impiegato dell’assicurazione spillandomi 100 euro per un certificato che probabilmente ne costava meno della metà , l’altro voleva a tutti i costi farmi credere che pagando altri 100 euro avrebbe inserito in un sistema computerizzato la targa del mio mezzo in sostituzione della carta carburante e cercava di avvalorare quanto affermato entrando ed uscendo da diversi locali con i miei documenti. Alla fine per scrollarmelo di torno gli ho dovuto lasciare 50 euro.
Nessun distributore ci ha mai creato problemi perché non avevamo la carta, hanno usato quella in loro dotazione raddoppiando semplicemente il prezzo del gasolio da 250 rial a litro ad un massimo di 500 rial , per noi sempre centesimi, in alcuni casi dei camionisti ci hanno fatto gentilmente usufruire delle proprie carte senza nessuna maggiorazione del prezzo. Un consiglio, non chiedere mai il pieno ma i litri di gasolio perché le pompe non hanno l’arresto automatico e si rischia di farsi il bagno; per quanto riguarda i traffichini della dogana, che troverete anche in uscita, chiedetegli di qualificarsi con un documento governativo prima di mostrare il vostro (chi sei tu per chiedere il mio documento), usando il loro stesso tono autoritario, funziona.
Se uscite dallo stesso posto di frontiera, dovete salire pochi gradini per recarvi al controllo passaporti in un gabbiotto e successivamente dovete portare il carnet de passage en douane oltre una porta a vetri nel locale dove siete stati ricevuti all’entrata e dove noi abbiamo incontrato lo stesso funzionario dell’entrata che ha fatto controllare la targa del mezzo prima di darci il benestare per uscire. Nessun controllo a bordo. In sostanza, nessuna difficoltà in dogana. La prossima volta sicuramente risparmieremo qualche euro. Per quanto riguarda la lingua, tantissimi iraniani, sopratutto i giovani, parlano inglese. Per ogni evenienza abbiamo stampato alcune frasi tradotte in farsi da Google che sono state molto utili come per esempio “benvenuti nella nostra casa” (molto apprezzata anche dalla polizia), “posso sostare nel parcheggio”, “per favore x litri di gasolio” ecc. Chiedete sempre il permesso per la sosta, non vi sarà mai negato.
Per gli spostamenti nelle città utilizzare tranquillamente i numerosissimi taxi gialli. Quando ci si ferma in hotel prendere sempre il biglietto da visita alla reception da mostrare al conducente del taxi per farsi riaccompagnare. Prezzo quasi standard dei parcheggi degli hotels 500 rial a notte, costo quasi standard dei taxi 100/120 rial a corsa.
Gli iraniani guidano apparentemente senza regole e sembrerebbero degli incoscienti, ma siccome lo fanno tutti senza prepotenza riescono a non fare incidenti. Chi prima mette avanti il muso della macchina ha la precedenza. Due colpetti di clacson e sai che ti devi spostare. Fermarsi in doppia o tripla fila magari solo per parlare con qualcuno è cosa abituale. E i pedoni non sono da meno!
Attenzione ai dossi! Per fare rispettare almeno la velocità nei centri abitati ci sono i dossi, molti ben evidenziati, altri meno. Non dimenticatelo mai! Per individuare quelli non segnalati è sufficiente guardare quando le vetture davanti saltano. Ricordate che non sono accettate le antenne paraboliche.
Portate con voi una buona scorta di doni, da offrire e per contraccambiare quelli che sicuramente riceverete.
Itinerario
17/04 Roma – Bari km 458 camping on board con Superfast Ferries.
18/04 Igoumenitsa – Porto Lagos parcheggio sul porto 41.00630N, 25.12041E km 550.
19/04 Porto Lagos – dogana turca – Çanakkale – Gölyazı park nel paesino 40.16832N, 28,68046E Km 530.
Attenzione ai limiti di velocità in Turchia il camper potrebbe essere considerato un camion con limite 80 kmh. Stampatevi una bella frase tradotta in turco: “la mia vettura non è un camion”, a noi ha fatto comodo.
20/04 Gölyazı –Yozgat parcheggio davanti hotel con moschea gratis 39.86078N, 34.933550E Km 671.
21/04 Yozgat – Erzincan parcheggio distributore 39.79264N, 39.38926E km 471.
22/04 Erzincan – Doğubayazıt sulla strada per Ishak Pasha Palace presso il Murat camping 39.52075N, 44.12605E km 485.
23/04 Doğubayazıt visitiamo il palazzo sempre bello nonostante i restauri. Aveva sicuramente un altro fascino
quando l’abbiamo visitato per la prima volta tanti anni fa.
Iran
24/04 Doğubayazıt – dogana Iraniana – Tabriz Km 331 (da Igoumenitsa al confine iraniano 2430 Km).
La giornata è bellissima e l’Ararat è libero dalle nuvole. Attraversiamo Bazargan ed iniziamo a prendere dimestichezza con i numeri in farsi scritti sui cartelli stradali. Per fortuna in tutti c’è la trascrizione in inglese.
Una lunga fila di camion fermi in attesa di uscire ci accompagna per diversi chilometri. Ci lasciamo il monte Ararat alle spalle e percorriamo una vasta valle delimitata da montagne innevate.
A Tabriz dormiamo nel parcheggio a pagamento del Park El-Gölü 38.02584N, 46.368341E, all’uscita non ci faranno pagare. C’è il panico, sembra che tutta la popolazione di Tabriz sia qui a passeggiare intorno al laghetto e ci andiamo anche noi. Certo domani è festa il parco è bello e c’è anche il luna park. Scambiamo le prime parole con due studenti universitari, naturalmente in inglese.
25/04 Tabriz-Maraqeh-Takht-e Soleyman Km 365.
Il parco si trova alla periferia sud della città e dobbiamo prendere un taxi per andare in centro. Purtroppo è venerdì e le botteghe del bazar sono chiuse, ma è in ogni modo affascinante visitarlo con la sua serie infinita di piccole cupole aperte alla sommità, dalle quali filtrano conici i raggi del sole ad illuminare come fanali l’ambiente sottostante. Bellissimo effetto, ci siamo solo noi, l’architettura ed il silenzio.
Visitiamo il moderno monumento ai poeti, non male. Passa un uomo con il pane sotto il braccio, gli chiediamo dove comprarlo, lui ce ne offre un pezzo e ci accompagna al forno dove ci sono uomini in fila. Mi accodo ed iniziamo a socializzare, anche se non parliamo la stessa lingua. I fornai sono due, uno impasta e l’altro spiana ed inforna. Gli chiedo se posso fotografarli e loro accettano sorridendo. Il pane è come una specie di pizza bianca, ma non della stessa consistenza e cuoce molto in fretta. Me lo mettono in mano bollente appena sfornato, non si usa incartarlo. Rientriamo con un privato che s’improvvisa tassista e ci fa pagare molto poco. Partiamo subito dopo pranzo e ci dirigiamo verso Maraqeh per vedere la torre funeraria Gonbad-e Sork. Passiamo per Shain Dez e vediamo per la prima volta uno strano modo di coltivare la vite, a terra adagiata sul colmo di solchi profondi come le persone. Chiaramente l’uva prodotta è da tavola o è utilizzata per fare l’uva passa.
Lungo la strada incontriamo in direzione di Tabriz il traffico del rientro dalle scampagnate. Ci salutano in tanti. Arriviamo a Takht-e Soleymān (Trono di Salomone secondo la tradizione) che il sole è tramontato ma ancora ci si vede e parcheggiamo vicino all’ingresso del sito archeologico 36.60198N, 47.23695E c’è ancora gente e si sente in lontananza il canto del muezzin. E’ già notte quando arriva un ragazzo da solo con lo zaino in spalla che mi chiede dove poter montare la tenda. C’è l’imbarazzo della scelta il posto è deserto, ma lui cerca un terreno morbido per piantare i picchetti ed io non so come aiutarlo.
26/04 Takht–e Soleymān–Sanandaj Km 281.
E’ una bella giornata e saliamo verso le mura che sembrano quelle di un castello situato sopra una piattaforma naturale. Sono fortificate con torri circolari e circondano completamente il sito zoroastriano. La bella porta originale, fatta con blocchi di pietra grigia, è chiusa con un cancello di ferro e si entra da un’apertura creata appositamente per accedere al complesso. All’interno c’è un affascinante laghetto sorgivo di origine vulcanica. Visitiamo le poche rovine rimaste e ci affacciamo dalle mura verso la valle dove sorge il villaggio di Nosratabad alle cui spalle c’è lo Zendan-e Soleiman (Prigione di Salomone secondo la tradizione) un vulcano spento che andremo a visitare. Prima di rimetterci in marcia non ci facciamo mancare una bella passeggiata intorno alle mura rotonde. Con il camper in pochi minuti arriviamo alla base dello Zendan-e Soeliman che merita la salita per affacciarsi dall’orlo del suo pauroso cratere.
Ripartiamo verso Sanandaj capitale della provincia del Kurdistan. Lungo la strada vediamo una fontana e ci fermiamo per fare acqua ma l’acqua non c’è. Faccio capire la nostra esigenza ad un ragazzo che ci accompagna più avanti dove ci sono alcuni negozi. Nessuno parla inglese ma ce la mettono tutta per aiutarci. Chi porta una bottiglia, chi una confezione da sei. Alla fine mi allaccio al rubinetto del lavandino di un negoziante che mi fa vedere che l’acqua è potabile bevendola. Tutti intorno a seguire l’operazione. Per sdebitarci gli regaliamo un pacco di spaghetti e un sugo pronto. Arriviamo a destinazione ma i parcheggi che avevo individuato su Google Earth sono stracolmi di auto perché sono vicini al bazar. Facciamo qualche giro e parcheggiamo di fianco ad un giardino pubblico 35.31107N, 47.00466E.
Subito riceviamo un invito a cena da un ingegnere appena conosciuto al quale abbiamo chiesto informazioni per la sosta. Decliniamo cordialmente e ci buttiamo nel bazar, i negozi delle stoffe sono coloratissimi con tessuti sgargianti, le donne piccole e truccatissime sorridono e salutano, molti uomini hanno la fascia in vita ed i pantaloni alla curda ma vediamo anche tanti ragazzi vestiti all’occidentale. Siamo abbordati proprio da uno di loro, studente universitario, che parla inglese troppo bene per noi e probabilmente non ama le tradizioni perchè ci porta a cena in un fast food a mangiare pizza. Naturalmente offriamo noi. A proposito di studenti, ne incontreremo tantissimi durante il nostro viaggio, di tutti i livelli d’istruzione ma soprattutto universitari sempre aperti al dialogo.
27/04 Sanandaj–Bisotun–Taq–e Bostan Km 370.
Visitiamo Bisotun sotto la pioggia per vedere il bassorilievo di Dario e le scritture cuneiformi. A Taq-e Bostan parcheggiamo davanti al sito 34.38732N, 47.13073E con i suoi monumenti rupestri scolpiti su una parete rocciosa, dai cui piedi sgorga una sorgente che ha creato un laghetto. Ci sono tanti iraniani in visita e diventiamo subito il soggetto per le fotografie di una famigliola. Poi veniamo circondati da due scolaresche una di maschi spiritosi e l’altra di femmine timide. Foto a ripetizione con i telefonini. Ci scambiamo gli indirizzi e-mail con il professore d’inglese.
28/04 Taq–e Bostan–Shush Km 459.
Prima di partire facciamo acqua ad una fontanella nel parco poco oltre.
Lungo la strada incontriamo numerosi greggi di pecore in transumanza dalla pianura alla montagna.
Arriviamo di sera e parcheggiamo dietro la tomba di Daniele proprio sotto la particolarissima cupola a forma di guglia sfaccettata. Chiediamo il permesso ai militari del posto di guardia che si fanno anche fotografare. 32.19064N, 48.24368E
29/04 Shush–Choqa Zambil–Shoushtar–Izheh Km 289.
La mattina visitiamo il mausoleo con gli ingressi separati per accedere alla tomba, uno per gli uomini e l’altro per le donne. Ines si ritrova insieme a donne che pregano aggrappandosi alla grata che protegge la tomba, altre accovacciate sui tappeti che leggono, chi con un bambino in braccio, chi al telefono. Socializzano subito con lei e delle custodi si offre di scattarle una foto accanto alla tomba. Nel cortile antistante alcune famiglie con bambini hanno passato la notte sotto i portici che lo circondano e due donne stanno lavando i piatti alla fontana per le abluzioni. Dopo la visita partiamo in direzione della ziqqurat di Choqa Zambil, antichissimo tempio piramidale elamita, fatto a gradoni di mattoni di fango, che sorge solitario in una zona semidesertica. Nel parcheggio ci accoglie una bastardina con 5 cuccioloni famelici appesi alle mammelle che le impediscono di camminare. Purtroppo possiamo darle solo del pane perché siamo vegetariani.
Ci rimettiamo in viaggio e facciamo una breve sosta a Shoustar, giusto per affacciarci dal ponte per vedere i mulini ad acqua e proseguiamo verso la zona di Izheh, alla ricerca delle tombe dipinte e dei leoni di pietra. Sappiamo che stanno dalle parti di Susan ma non conosciamo il luogo preciso. Ho stampato delle foto da Google Heart da mostrare in giro per avere informazioni Attraversiamo montagne aspre e contorte, attraversiamo fiumi e paesi con strade in costruzione. Incontriamo pastori con le loro greggi. Passiamo vicino a laghi di acqua e rivoli di petrolio. Stanno mietendo a mano in piccole coltivazioni di cereali sparse tra zone pietrose. In un villaggio incontriamo un uomo che parla spagnolo avendo lavorato in Venezuela che ci accompagna in un cimitero abbandonato ma non era quello che cercavamo. Mentre attraversiamo il villaggio passiamo vicino a una donna che rientrava dai campi con un mazzo di piantine di ceci, gli chiedo in baccello, mi regala tutto il mazzo. Quando ripassiamo mi faccio indicare dalla nostra guida occasionale la casa della signora per ricambiare la sua gentilezza con uno dei regalini che avevamo di scorta, un contenitore di caramelle e cioccolatini. Lungo la strada incontriamo alcuni cimiteri con le lapidi dipinte ma non sono quelli che cerchiamo. Dormiamo in parcheggio fuori Izheh davanti ad una moschea 31.84573N, 49.96111E.
30/04 Izheh–Susan–Bandar Deylam Km 479.
Di nuovo verso Susan tra paesaggi mozzafiato. Alla fine troviamo un interessante cimitero con antichi leoni di pietra e lapidi dipinte con l’immagine del defunto con il suo lavoro da vivo, la moschea, i fiori, tutte vivacemente colorate 31.98925N, 49.85858E.
Una contadina ci invita nella sua casa poco distante, decliniamo cortesemente l’invito. Poco dopo ritorna con una caraffa di un dissetante latte acido alle erbe. Contraccambiamo con i nostri doni e ripartiamo alla volta del Golfo Persico. Attraversiamo campi petroliferi con tralicci dai quali fuoriescono fiamme e pennacchi di fumo nero. Arriviamo a 97 Km da Abadan, il navigatore non conosce la zona e il sole sta tramontando. E’ notte quando arriviamo alla nostra meta, in un ampio parcheggio di fronte al mare, accanto alle tendine di alcune famigliole. 30.04861N, 50.14686E.
01/05 Bandar Deylam–Shiraz Km 406.
Al risveglio troviamo un biglietto sul parabrezza scritto in perfetto inglese “abbiamo visto la vostra macchina ieri notte ma voi stavate dormendo. Saremo felici di familiarizzare con voi.” Firma, telefono e saluti. Bellissimo. Facciamo il bagno di rito sul Golfo Persico, un pediluvio. Visitiamo il porto peschereccio e partiamo verso Shiraz .
Lungo la strada ci colpiscono le immagini dei volti dei martiri della guerra contro l’Iraq, immagini che troveremo sempre in tutte le città in cui passeremo. Ci fermiamo a pranzare in uno spiazzo vicino ad una cassaforte per accogliere le offerte dei viaggiatori, quando si fermano un camioncino carico di meloni ed un’autovettura, i conducenti trattano per la compravendita dei meloni poi uno dei due viene da noi e ce ne regala un paio. Restiamo sbalorditi dalle continue manifestazioni di gentilezza della popolazione.
Attraversiamo zone desertiche, palmizi, montagne arse e aspre e poi vallate con querce e pastori nomadi in transumanza. A Shiraz l’ufficio informazioni è chiuso ma su una piantina della città esposta nella vetrina vedo il simbolo di un camping presso l’hotel Shiraz Tourist Inn Jahangardi della catena ITTIC in Abu Nasr Blvd 29.61211N, 52.57253E. Abbiamo dovuto insistere con il portiere che non voleva farci entrare perché c’era un meeting, ma con la mediazione di un ospite iraniano dell’albergo abbiamo risolto. Dentro ci sono già tre camper di tedeschi.
02/05 Shiraz
Purtoppo anche qui siamo arrivati di venerdì come già successo a Tabriz e nel bazar i negozi sono chiusi. Prendiamo un taxi e ci facciamo portare alla tomba di Hafez poeta molto amato dagli iraniani. La tomba è situata in un bel giardino ed è molto visitata da famiglie e studenti. A piedi ci dirigiamo verso l’Arg di Karim Khan e attraversiamo il bazar deserto e affascinante con le sue ramificazioni e la sua architettura. L’Arg è bello con le sue mura ed i torrioni circolari decorati di mattoni. Visitiamo il Bagh-e Nazari, un bell’edificio ottagonale sede del museo Pars circondato da un giardino coloratissimo e profumato.
Qui incontriamo Mariza e sua madre in visita da Teheran. Lei parla poco l’inglese e la mamma sa solo dire “my baby” riferendosi alla figlia. Stanno andando anche loro alla Aramgah-e Shash-e Cheragh, uno dei principali luoghi di culto sciita. Lungo la strada ci fermiamo a mangiare in una specie di tavola calda e vogliono offrire loro. Poiché il bazar è chiuso facciamo un lungo giro seguendo i cartelli che indicano la via per la moschea. L’ingresso e controllatissimo, dobbiamo lasciare le borse e le macchine fotografiche, le entrate sono separate per donne e uomini.
Ines per entrare deve indossare il chador aiutata dalle altre donne, ma quando cammina gli scivola da tutte le parti con il rischio di farla inciampare. Io sono controllato a parte insieme con altri uomini. Ci ritroviamo nel cortile dove tanti pellegrini scattano foto con i telefonini. Che rabbia per il chador e per le foto. Il complesso è bellissimo con un ampio cortile dove si affacciano due mausolei. Le cupole a cipolla sono particolari e gli interni sono impreziositi con mosaici di specchi che riflettono le luci con effetti scintillanti. Al ritorno la mamma di Mariza compra due meloni che ci offre seduti su una panchina davanti l’Hammam-e Vakil e coinvolge nel picnic anche due turisti spagnoli che erano li vicino. Nel salutarci spontaneamente faccio per stringere la mano alla signora che prontamente si protegge la mano con il velo ed accetta il mio saluto. Non avevo ripensato al fatto che le donne mussulmane non posso stringere la mano ad un non mussulmano. Visitiamo l’hammam con la sua bella fontana centrale e rientriamo al camper.
03/05 Shiraz–Persepoli–Naqshe Rostam–Pasargade–Abarqu Km 314.
Percorriamo una cinquantina di km ed arriviamo a Persepoli. La città ci appare sopra le mura di pietra grigia.
Ci si entra salendo la grande scalinata per poi attraversare la Porta delle Nazioni o di Serse con le sculture dei tori guardiani. Straordinari sono i bassorilievi scolpiti lungo la Scalinata dell’Apadana che conduceva al palazzo del re.
Ci sono raffigurati il corteo reale e quelli delle nazioni del regno mentre portano i loro tributi al sovrano, ognuna rappresentata con i propri costumi. Bellissimi i bassorilievi del leone che assale il toro. Saliamo verso la collina per vedere le tombe rupestri di Artaserse II e III con simboli zoroastriani. Fa molto caldo ed è terribile per Ines con il foulard.
Ci rinfreschiamo con un gelato all’ombra di un gazebo e dopo esserci riposati riprendiamo il viaggio. Dopo pochi chilometri siamo a Naqsh-e Rostam con le quattro tombe rupestri a forma di croce, scavate a metà di una parete rocciosa, attribuite a Dario I, Dario II, Astaserse I e Serse I. Sotto le tombe, alla base della parete ci sono alcuni bassorilievi tra cui quello con gli imperatori romani sconfitti Filippo l’Arabo e Valeriano, in ginocchio, ai piedi del vincitore Shapur I a cavallo. Bellissimo e modernissimo il palazzo zoroastriano o del tesoro poco distante.
Proseguiamo verso Pasargade con la tomba di Ciro, bella e solitaria. Infine giungiamo alla nostra meta giornaliera Abarqu e ci avviamo verso il cipresso millenario. Prima di arrivarci mi fermo a domandare informazioni su un parcheggio in un negozio di dolci, non riesco ad averle ma ho visto dei bei bigné, ne chiedo 4, mi distraggo e me ne servono 4 etti. Fa lo stesso non andranno sicuramente a male.
Arriviamo al cipresso e chiediamo a due ragazzi se è possibile sostare li per la notte. Ci sconsigliano vivamente e ci accompagnano in moto vicino ad un posto di polizia facendoci parcheggiare sul marciapiedi.
Vedo la garitta dei militari e vado ad offrirgli i bigné. Mi fanno capire che non ci sono problemi per la sosta ma poco dopo, ovviamente, viene un superiore che ci controlla i passaporti. Notte rumorosa! La mattina ci accorgiamo di esserci fermati davanti ad un marmista.
04/05 Abarqu–Yazd Km 167.
Mentre faccio manovra per uscire si affaccia il marmista, ci fa fermare, corre a prendere una macchina fotografica e ci scatta una foto subito ricambiato. Facciamo acqua ad una fontanella refrigerata poco distante. Ci avviamo verso Yazd immersi in un paesaggio desertico con case di fango, camini del vento e case del ghiaccio. Ci fermiamo nel parcheggio dell’Hotel Yazd Tourist Inn della catena ITTIC 31.86609N, 54.35454E e andiamo in centro con un taxi. La città, è bella ed antica con cenni di restauro. Ci avventuriamo nel dedalo di viuzze della città vecchia, tra le mura di fango delle abitazioni, dopo aver visitato la moschea Masjed-e Jameh. Alzando lo sguardo tra i vicoli si possono ammirare le belle architetture dei camini del vento. Una ragazza in rusari, una lunga veste nera che avvolge tutto il corpo della donna tranne il viso, si fa fotografare sorridente con Ines. Prendiamo un tè in un localino realizzato dentro ad un pozzo che la tradizione vuole sia stata la prigione di Alessandro e torniamo a piedi verso la Moschea Amir Chakhmaq. Prendiamo un taxi nel quale c’è anche il bambino del conducente che prima fa il timido ma poi ci viene in braccio per consentire al padre di scattare una foto. Il padre ci chiede se pensiamo che gli iraniani sono terroristi e noi gli rispondiamo che molto spesso sono i governi ad essere i veri terroristi, non la popolazione. Il taxi ci lascia davanti al Tempio del Fuoco zoroastriano (Ateshkadeh) dove arde il fuoco sacro pare sin dal 470 d.c. e torniamo in centro.
Cerchiamo un taxi per rientrare ma i conducenti non conoscono l’ITTIC Hotel. Andiamo all’ufficio informazioni dove neanche lì conoscono l’albergo che riusciamo ad individuare orientativamente su una piantina. L’impiegato telefona alla reception per sapere se c’è un camper nel loro parcheggio. E’ il nostro hotel. Ci facciamo scrivere il nome in farsi per farlo vedere al tassista. Finalmente a casa scopriamo l’arcano: ITTIC è l’acronimo di Iran Touring & Tourism Inns Corporation .
05/05 Yazd–Kerman Km 355.
Attraversiamo zone desertiche con monti arsi ed aspri in erosione. Lungo la strada incontriamo cartelli che dicono di prestare attenzione ai ghepardi, ai cervi ed ai dromedari che poi sono gli unici che abbiamo visto. Arriviamo a Kerman; purtroppo molto del centro storico è in rovina con molte case di fango in abbandono. Il bazar è stupendo. Sotto i portici della Tohid Square si è radunato un capannello di persone intente ad ascoltare un uomo che sta raccontando qualcosa di divertente perché molti di loro sorridono. Si avvicina un militare che parla con l’uomo e la riunione si scioglie. La Masjed-e Jameh è superba anche se al posto del minareto ha una torre con l’orologio. Siamo a 1.754 metri s.l.m. piove e fa freddo. Dormiamo nel parcheggio posteriore dell’Hotel Akhavan 30.28484N, 57.0472E. Il parcheggio è alquanto desolato, ma i proprietari sono gentili, ci fanno portare il tè con dolcetti e spendiamo poco.
06/05 Kerman–Bam–Rayen–Mahan–Kerman km 470.
Intorno a Kerman ci sono montagne alte 4.000 metri ed il paesaggio è superbo. Oggi andiamo verso Bam. Sappiamo che è distrutta, ma ci andiamo lo stesso, per lei non per noi. Le mura esterne della cittadella sono state ricostruite e coprono il disastro all’interno che appare in tutta la sua tragicità non appena varcato l’ingresso. Cumuli di fango dove prima cerano abitazioni utilizzate per oltre 2000 anni.
Vaghiamo nel silenzio cercando con lo sguardo di individuare qualche pezzo di muro sopravvissuto alla catastrofe. Si lavora per ricostruire una qualcosa che non potrà mai più essere la stessa. Un’impresa titanica e forse senza senso. Pranziamo nel camper all’ombra di alcune palme, si ferma una vettura scende un uomo che ci regala un melone. Incredibile. Torniamo indietro per la stessa strada e ci fermiamo a Rayen per visitare l’Arg. E’ bello con la sua cinta muraria integra ed il palazzo del governatore, ma troppo restaurato da sembrare finto. In un negozietto compriamo dei pistacchi, ma non sono un granché, la prima scelta è stata sicuramente già venduta ai grossisti. Arriviamo a Mahan nel tardo pomeriggio. Parcheggiamo accanto alle mura del mausoleo dello Shah Ne’matollah Vali, derviscio e mistico poeta sufi, ed entriamo da una porta secondaria. Il custode appena ci vede ci fa salire sul tetto dell’edificio dove possiamo letteralmente toccare con mano la cupola turchese e due minareti dei quattro minareti.
I raggi del sole al tramonto fanno brillare di riflessi dorati la cupola, l’atmosfera è bellissima. Scattiamo delle belle foto e riesco a salire anche su uno dei minareti. Quando scendiamo il custode, senza chiedergli nulla, ci accompagna nella piccola cella dove si dice meditasse il poeta sufi. Le pareti sono affrescate con versi del corano disposti a spirale che ricordano la danza roteante dei dervisci. Poco dopo arriva una famigliola nonna figlia e nipotina che si siede in raccoglimento e si lascia fotografare. E’ scuro quando usciamo e l’ingresso principale illuminato si riflette su una grande vasca. Arriviamo che è tardi a Kerman, stanchissimi ma appagati. Dormiamo nello stesso albergo della notte precedente.
07/05 Kerman–Yazd–Meybod Km 306.
Ripassando per Yazd ci fermiamo a vedere le torri del silenzio dove fino agli anni 60 erano deposti i cadaveri dei defunti zoroastriani per essere smembrati dagli uccelli, perché secondo la loro religione avrebbero inquinato la terra se fossero stati cremati o seppelliti. Proseguiamo verso Meybod. Lo spartitraffico della strada che attraversa la città è un susseguirsi di fiori di tulipani metallo con al centro l’immagine di un “martire” della guerra con l’Iraq.
Il centro storico e piccolo e ben restaurato, c’è un caravanserraglio, una posta ed una casa del ghiaccio. Al centro del caravanserraglio c’è un piccolo edificio in mattoni con due scale per scendere a una vasca ottagonale dove scorre un qanat (canale sotterraneo). Quando riemergiamo facciamo un bellissimo incontro con cinque ragazze iraniane anche loro in visita al sito. La più grande è avvocatessa e le altre studentesse universitarie. Ci facciamo le foto noi con le macchine e loro con i telefonini e poi c’invitano a prendere un gelato in un localino adiacente la casa del ghiaccio. Scambiano opinioni con Ines, ma non si sbilanciano sul velo, forse per la difficoltà della lingua, in ogni modo non gli pesa perché sono abituate ad indossarlo fin da piccole. Salutano Ines con baci e abbracci. Poco prima avevamo incontrato una coppia di ragazzi con i quali avevamo scambiato qualche parola. Mi avevano domandato se avevo bisogno di qualcosa ed io come risposta gli avevo chiesto dove potevo comprare delle bottiglie d’acqua. Ce li ritroviamo di fronte, quando torniamo al camper, con due confezioni d’acqua da sei bottiglie cadauna. Incredibili iraniani. Passiamo la notte sul piazzale davanti la casa del ghiaccio accanto ad un piccolo locale dove consigliamo di consumare qualcosa. 32.22755N, 54.00841E.
08/05 Meybod–Na’in–Esfahan Km 306.
Lungo la strada incontriamo un uomo che agita una scarpa, sta avvisando gli automobilisti che poco oltre c’è un camioncino che vende calzature. L’abbiamo visto fare anche con la frutta. A Na’in visitiamo prima un mausoleo a pianta esagonale, in un giardino con pistacchi chiuso dalle mura e poi la Moschea di Jameh con il mihrab impreziosito da stucchi finemente elaborati e una sala sotterranea per la preghiera. La moschea è bella ma pare abbandonata. Ripartiamo ed a un distributore ci accodiamo ad una fila di camion per fare gasolio. Com’è successo di solito anche qui ci fanno gentilmente passare avanti. Siamo in un altipiano a circa 1.600 metri s.l.m.. Esfhan si presenta molto bene, ordinata e piena di verde. Arriviamo nel pomeriggio all’hotel Isfahan Tourist Inn I.T.T.I.C. 32.59475N, 51.66892E piuttosto decentrato. Ci prepariamo e partiamo per la visita. Fermiamo un taxi e ci facciamo portare alla Nadsh-e Jahan (Imam Square), seconda piazza più grande al mondo, dove ci affacciamo dal lato della Porta di Qeysarieh, entrata principale del Bazar-e Borzog. La piazza è rettangolare, elegantissima circondata da portici ad archi sovrapposti la cui continuità è interrotta da quattro capolavori dell’arte safavide: la Moschea Masjed-e Shah all’estremità opposta con la cupola decentrata rispetto al suo asse centrale, il palazzo Kakh-e Ali Qapu alla sua destra e la Moschea Masjed-e Sheikh Loftollah alla sua sinistra situati al centro dei lati più lunghi, e la Porta di Qeysarieh naturalmente alle nostre spalle. Al suo interno è tutto un giardino con prato, siepi ed alberi bassi, il luogo prediletto dalle famiglie per i picnic serali. Al centro c’è una grande fontana che è la gioia dei bambini che ci sguazzano beati.
Dopo aver fatto un giro della piazza varchiamo la Porta Qeysarieh e c’immergiamo nel Bazar-e Bozorg animatissimo e coloratissimo. Incontriamo un professore di letteratura persiana che ci accompagna fino alla Masjed-e Hakim la più antica di Esfahan. Quando torniamo in piazza è sera, tutti gli edifici sono illuminati e le fontane sono in funzione. Sui prati si sono accampate le famigliole con tappeti, tovaglie e fornelletti. Scambiamo opinioni con una ragazza mussulmana in rusari e con tre uomini illuminati con cui parliamo di politica e di religione. Una bella esperienza. Rientriamo in taxi naturalmente.
09/05 Esfahan
Anche oggi, com’è successo spesso in questo viaggio, ci ritroviamo a visitare una città di venerdì e tanti luoghi saranno chiusi. Nel parcheggio non siamo più soli, è arrivato un pullman di tedeschi con il rimorchio per le cuccette. Tutti si danno da fare per sistemare i tavoli e le panche. Avremo dei vicini che hanno scelto un altro modo particolare per viaggiare.Noi ce ne torniamo in piazza ed entriamo nel Kakh-e Ali Qapu, un palazzo reale a sei piani, con la sua bellissima sala della musica completamente barocca e originalissima, costellata di nicchie che si dice contribuiscano a migliorarne l’acustica. Molto interessante è la terrazza coperta il cui soffitto è sostenuto da diciotto slanciate colonne di legno. Da qui si può ammirare la piazza in tutta la sua grandezza.
Poi visitiamo la moschea Masjed-e Sheikh Lotfollah con l’elegante cupola dalle pallide tonalità, leggermente decentrata per essere orientata verso La Mecca. Non ha il minareto e neppure il cortile perché era la moschea reale riservata alle donne dell’harem e, quindi, non destinata ad un uso pubblico. Varcata la porta ci s’immette in un corridoio rivestito di maioliche blu e gialle che stranamente piega a sinistra prima di ritornare a destra per entrare nella sala della preghiera. Probabilmente il percorso è stato realizzato così tortuoso per rendere ancora più riservata la sala dove pregavano le donne. Il soffitto della sala è finemente decorato con raffinati mosaici a forma ovoidale di colore giallo oro, che forse ricordano le piume del pavone raffigurato in un cerchio al centro della cupola, e che vanno a rimpiccolirsi verso l’alto. I raggi del sole che filtrano dalle grate delle finestre, fanno brillare i mosaici creando il famoso effetto della “coda del pavone”. Bellissimo.
Proviamo poi a visitare la Moschea Masjed-e Shah ma è chiusa. Qui incontriamo Marzie una ragazza vestita con il maqna, un velo molto simile a quello delle suore, che parla bene l’inglese e con la quale Ines può affrontare argomenti politici e religiosi. Dalla discussione emerge che anche i ragazzi iraniani pensano che la religione sia un fatto privato e non deve essere dettata dalla politica. La nostra interlocutrice ci accompagna a visitare il palazzo Kakh-e Chelel Sotun con i suoi bellissimi affreschi, che si specchia su una lunga vasca al centro del giardino persiano. Sulle panchine un gruppo di uomini canta. Passa una coppia con una bambina piccolissima in braccio, gli facciamo i complimenti e ce la mettono in braccio senza alcun timore. Si è fatta ora di pranzo, compriamo dei panini con felafel e bottigliette di dugh (latte acido) e ce li andiamo a mangiare all’iraniana sul prato di Nadsh-e Jahan all’ombra dei cespugli. Sul lato della piazza davanti alla moschea Masjed-e Shah c’è una manifestazione di paramilitari integralisti con striscioni sui quali ci sono le foto dei nemici dell’Iran, i capi di stato americani, europei, israeliani ed arabi, e foto di esecuzioni raccapriccianti e ancora di morti nella guerra con l’Iraq.
Ci lasciamo con Marzie dandoci appuntamento per il pomeriggio del giorno successivo per visitare i ponti. Noi ci ributtiamo nel bazar in direzione della Masjed-e Jameh la più imponente di tutto l’Iran. Il complesso è caratterizzato dalla sua semplicità esterna e dalla complessità dei decori interni. Ha quattro Iwan con decorazioni dei periodi mongolo, selgiuchide e safavide e due sole cupole entrambe prive di rivestimento esterno in ceramica. Quella bellissima di Taj al-Molk completamente in mattoni e quella Nezam al-Molk con tracce di stucchi. I molteplici ambienti a volta sono sostenuti da una miriade di colonne, di marmo, di mattoni, rotonde, quadrate. Le sale della preghiera, separate per gli uomini e le donne, sono coperte da tappeti. In una sala alcuni uomini dormono distesi su di essi.
Penso che sia una cosa ricorrente perché ho visto fotografie dello stesso luogo nella medesima situazione. Al centro del cortile la fontana per le abluzioni. Non ci mettiamo molto per tornare in piazza perché il bazar è deserto.Quando arriviamo, nella Moschea Masjed-e Sheikh Lotfollah è in corso una manifestazione della Società Scientifica Astronomica Iraniana con vendita di libri ed opuscoli. All’ingresso della Moschea c’è una figura di cartone a grandezza naturale di Einstein con in mano una freccia con l’indicazione del percorso da seguire. Davanti c’è un telescopio con una fila di persone nell’attesa del proprio turno per guardarci attraverso e un recinto dove bambini e bambine colorano stelle e pianeti. Uno speaker sta diffondendo una musica a tutto volume molto occidentale. Pensiamo di riportare un souvenir a Miki, il nostro scienziato, vedo che i ragazzi dell’organizzazione hanno indosso delle spillette commemorative dell’evento, torno dentro e chiedo ad uno di loro dove posso acquistarne una, non è possibile non sono in vendita, ma mi regala la sua. Grande! All’uscita non c’è più la musica l’hanno zittita. Ma l’immagine di Einstein per fortuna c’era ancora, meglio di niente! Prendiamo un taxi e torniamo al camper. I tedeschi hanno finito di cenare e stanno lavando ciascuno le proprie stoviglie utilizzando un’unica vaschetta per il sapone ed un’unica vaschetta per il risciacquo, eppure siamo parcheggiati accanto ai bagni con i lavandini. Sicuramente si tratta di gente rude.
10/05 Esfahan
Questa mattina torniamo subito in piazza. E’ una bella giornata, nella piazza riecheggiano le risa di gruppi di studentesse in gita e il rumore degli zoccoli dei cavalli che trainano le carrozzelle intorno giardino. Finalmente possiamo entrare nella Moschea Masjed-e Shah. Ci fermiamo nuovamente ad ammirare il portale, l’unica cosa che avevamo potuto già vedere, è bellissimo. Oltrepassato il portale si entra nel cortile interno sul quale si affaccia in posizione asimmetrica la Moschea, orientata in direzione della Mecca, anch’essa affiancata da due bellissimi minareti turchesi come la sua bellissima cupola.
Il cortile, purtroppo, è coperto da tendaggi ecru sostenuti da tubi innocenti per proteggere i fedeli dal sole che lasciano scoperta solamente la vasca centrale per le abluzioni. Il complesso è veramente perfetto nelle forme e unisce rigore e leggerezza.
Arrivano le scolaresche e noi usciamo. Prendiamo un taxi e ci facciamo accompagnare nel quartiere armeno di Jolfa per visitare la Kelisa-ye Vank. La facciata esterna in mattoni chiari è poco interessante, la cupola è simile a quella degli edifici islamici mentre l’interno è completamente affrescato con immagini di racconti biblici tra decorazioni floreali e motivi islamici. Nel cortile c’è il museo di Vank con una terribile documentazione fotografica sull’olocausto del popolo armeno. Poco lontano, su Hakim Negami St., c’è un cambiavalute ufficiale che ci ha fatto un cambio migliore di quello della banca. Andiamo all’appuntamento con Marzie in Enqelab-e Eslami Square proprio accanto al Ponte di Si-o-Seh bello con doppio ordine di arcate di cui le 33 sottostanti per il passaggio dell’acqua, ma tristissimo perché il fiume è completamente asciutto, cosa che succede sempre nei mesi estivi.
Seguiamo la riva del fiume con tanto di cartelli di “no swiming” e torniamo sull’altra sponda attraversando il Ponte di Chubi, il più semplice dei tre con solamente 21 arcate per il passaggio dell’acqua e continuiamo verso il Ponte di Khaju. Questo è veramente bello con doppio ordine di arcate di cui 23 per l’acqua ed un padiglione al centro. Il ponte fungeva anche da diga per questo a valle il dislivello è attenuato da 18 scaloni di 9 gradini ciascuno che ora servono da platea per vedere chi gioca a pallone nello spiazzo sottostante. Le arcate inferiori sono attraversate in senso longitudinale da un’altra serie di arcate più piccole che consentono alla gente di sedersi per trovare un poco di frescura. Un anziano poeta sta leggendo alcune poesie e quando Ines gli chiede il permesso di fotografarlo le dedica una canzone d’amore, così ci spiega Marzie. Durante tutta la visita ai ponti Ines e Marzie hanno parlato molto, di storia, di politica e di religione, ma anche di pensioni e di sussidi statali. E’ poco informata sulla storia recente e s’interessa poco di politica, è credente per questo indossa il velo, ma ci tiene a precisare che dovrebbe essere una sua libera scelta e non un’imposizione. Bello scambio d’idee. Ci salutiamo con abbracci e scambio di indirizzi e-mail. Noi torniamo in piazza e finiamo la giornata con panini a base di felafel.
11/05 Esfahan–Ejgerd–Natanz–Kashan Km 207.
Andiamo alla ricerca delle torri dei piccioni viste su internet vicino al villaggio di Ejerd. Le troviamo poco oltre una piccola Moschea dedicata a Sayyed Mohammad (32.51954N, 51.51725E). Sono bellissime, solitarie e abbandonate. Sembrano un villaggio africano con case di fango turrite.
Mentre le stiamo visitando si ferma una macchina, pensiamo di persone curiose di vedere stranieri che apprezzano quei ruderi. Ne esce un Imam che viene a salutarmi, ma lui non parla inglese ed io non parlo farsi. E’ come se vedesse le torri per la prima volta e ci entra anche dentro come abbiamo fatto noi. Facciamo una foto ricordo e risale in macchina. Poco dopo ritorna con dentro una bustina di plastica un regalo per me, un dischetto di terracotta con impressa un’iscrizione in farsi come quelli che abbiamo notato accatastati su tavolini all’interno di alcune Moschee. Non so cosa sia, ma da come me lo ha donato per lui deve essere una cosa preziosa e come tale la conserverò in ricordo di un bellissimo incontro e di un’ennesima dimostrazione di gentilezza della popolazione iraniana. Torniamo sulla strada principale e ci dirigiamo verso Natanz attraversando una zona desertica con montagne prive di vegetazione.
A Natanz c’è da visitare il complesso con la Moschea del Jameh ed il mausoleo dello Sheik Abdolsamad, un famoso mistico sufi. La prima cosa che ci colpisce è la cupola a piramide ottagonale decorata con motivi geometrici di mattonelle turchesi, poi il portale con mosaici di ceramica blu, turchesi e bianchi incorniciato da pregiati motivi calligrafici in corsivo e geometrici. Sul piccolo cortile interno si affacciano quattro iwan e c’è un ingresso per scendere ai locali sotterranei. Bel complesso, arcaico, piccolo e prezioso. Ci rimettiamo in marcia ed attraversiamo belle montagne senza fare foto perché da qualche parte c’è la centrale nucleare difesa da postazioni di missili antiaerei. Percorriamo un pezzo di autostrada, ci fermiamo al casello per pagare ma da noi non vogliono soldi. Arriviamo verso sera a Kashan e facciamo in tempo a visitare due cosiddette “case tradizionali”, residenze di ricchi mercanti costruite durante il 1800. Entrambe sono state realizzate con la stessa tipologia, ingresso, cortile interno con giardino e vasca e di fronte facciata scenografica della sala per ricevimenti. Quando si entra nella sala sembra di essere in un raffinatissimo palcoscenico. Stucchi, specchi, vetrate e affreschi impreziosiscono gli ambienti. Il pensiero torna di nuovo a Gaudì. Dormiamo in uno slargo vicino alle “case tradizionali” 33.97445N, 51.44149E.
12/05 Kashan–Bagh–e Fin – Maranjab–Qom Km 261.
Prima di partire andiamo a vedere la fortezza Ghal’eh Jalali con le mura di mattoni fango a forma di decagono. Sono imponenti, purtroppo si stanno disgregando sotto l’effetto degli agenti atmosferici e stanno ritornando ad essere un ammasso di terra ma danno ancora una bella visione del loro insieme.
All’interno ci sono campi coltivati dai quali si possono vedere svettare oltre le mura la bella cupola conica con i minareti del mausoleo del Sultano Mir Ahmad e la cupola con i camini del vento della casa Khan-e Borujerdi.
Tornando indietro andiamo a comprare una caratteristica bevanda al sapore di rosa e vediamo i portoni delle vecchie case con i due batacchi differenti, uno più pesante e l’altro più lungo, per consentire agli abitanti di capire dal suono se a bussare era un uomo o una donna e quindi per sapere chi doveva andare ad aprire. Continuiamo il viaggio verso Bagh-e Fin, un giardino persiano con piscina coperta, vasche, fontane turchesi e hammam. Sulla volta di una cupola di sono dipinte, con le tonalità del blu indaco, scene di vita di corte con donne senza velo e addirittura a torso nudo.
Il giardino è ricco di acqua ed è molto visitato. Oggi ci sono anche molte scolaresche con le loro divise rosa, azzurre, viola, colorate secondo vari cicli d’istruzione. Alcune donne lanciano monete nella piscina forse come gesto rituale. Dopo esserci rinfrescati in un bel giardino ci avventuriamo nel deserto per arrivare a Maranjab, un caravanserraglio ai margini del lago salato di Namak. Percorriamo km 40 di pista per arrivarci, in zona con posti di blocco dei militari, e non ne è valsa assolutamente la pena. Il caravanserraglio è completamente restaurato e adibito ad albergo. L’unica cosa bella degli 80 km è stata l’incontro con i dromedari, tante femmine con i piccoli.
Li ritroviamo fermi nello stesso posto dell’andata e ci fermiamo per fotografarli da vicino. Sono tranquilli, cerco qualcosa da dargli per mangiare; provo con dei tarallucci, glieli tiro, ma fanno fatica ad afferrarli da terra. Allora allungo la mano e loro li vengono a mangiare. Sembrano gradire, anzi si fanno più sfacciati. Glieli lascio a terra e ce ne andiamo. La pista non è delle migliori, ci sorpassano camion carichi di sale e mezzi militari. Finalmente torniamo sull’asfalto. Lungo la strada un uomo con una fetta di cocomero in una mano e un cartello con il prezzo nell’altra avvisa dell’approssimarsi di un venditore di cocomeri. Superiamo Qom, la seconda città santa dell’Iran, di una quarantina si chilometri alla ricerca del castello di Sadr Abad 34.89017N, 51.07305E che avevo trovato su Google Hearth. Seguiamo le indicazioni del navigatore che ci porta di fronte al cancello di un sito militare, per la verità superando una garitta deserta e due cartelli scoloriti con divieto di transito. Scendo per chiedere informazioni a due poliziotti armati in motocicletta che sopraggiungono, ma parlano solo in farsi. Siamo in un guaio. Dal cancello escono anche i militari alcuni sono in borghese e parlano inglese.
Fanno domande su quale fosse la nostra destinazione, controllano i passaporti, guardano le foto fatte dalla mia macchina fotografica, salgono sul camper. Uno mi chiede se sono mussulmano, gli rispondo di no perchè sono nato a Roma. Capiscono che siamo turisti e per loro potremmo anche andare. Non è la stessa cosa per i poliziotti che parlano in continuazione al telefono con qualcuno. Dopo oltre un’ora il militare che parla inglese ci dice che saremo dovuti andare a Qom scortati dai poliziotti, due dentro il camper e altri in una jeep di scorta. Ines telefona all’ambasciata che gli fornisce il numero del cellulare del console che parla farsi. Intanto giungiamo a Qom preceduti da una staffetta in moto in borghese. Ci fanno entrare in un cancello privo di insegne e lo richiudono alle nostre spalle. Tanti militari in divisa ed in borghese circondano incuriositi il camper. Arriva il responsabile del posto in maglietta a maniche corte che prende in consegna i passaporti. Ines chiama il console per passargli il superiore ma questi si rifiuta di parlare al telefono. La situazione si fa pesante. Per fortuna parla inglese. Mi invita in una stanza per capire per quale motivo eravamo entrati in una zona militare. Gli faccio vedere dove volevamo andare, il navigatore, le coordinate, la pianta dell’Iran con il giro fatto e da fare. Si rende conto della nostra buona fede, ci chiede scusa e ci fa accompagnare fuori della città da una camionetta. Ci fermiamo al primo distributore di benzina lungo l’autostrada 34.86654N, 50.85569E. Grande dormita liberatoria. Nella realtà abbiamo fatto 200 km in più di quelli che abbiamo indicato.
13/05 Qom–Haovan Karvansaray–Damghan Km 460.
Quando ci svegliamo ci troviamo circondati da tendine di pellegrini che hanno passato la notte insieme a noi. Avevamo deciso in partenza di non fermarci a Teheran, che vediamo in lontananza, alle pendici di montagne innevate, avvolta in uno strato di smog. Attraversiamo la sua periferia sud. Lungo la strada i soliti venditori di frutta. Il melone costa il doppio del cocomero. Costeggiamo un muro che è tutto dipinto con paesaggi da favola e finalmente usciamo dall’abitato ed iniziamo a percorrere la strada n. 44, la mitica via della seta. Il paesaggio non è dei migliori con colline riarse a sinistra e pianure desertiche a destra. Ci fermiamo per fare gasolio ed il benzinaio si scrive sulla mano l’importo da pagare.
Passiamo accanto ad una collina tutta corrosa con una stranissima conformazione ad esse colorata di beige, marrone, viola in tutte le sfumature. Attraversiamo città con nuovi complessi di anonimi edifici. La strada sale verso colline brulle, appena oltrepassate appare alla nostra sinistra il caravanserraglio di Ahovan con accanto un castello di pietra.
Il caravanserraglio è integro, tutto di mattoni e privo di restauri, con tanto di portone. L’odore di sterco di bestiame ci fa capire che è ancora utilizzato dai pastori con le loro greggi.
La pianta è quadrata con ampio cortile interno su cui si affacciano portici ad arco acuto, sei per lato con centro di ciascuno dei lati un portico più alto. I locali interni sono costituiti da una serie di gallerie con archi a sesto acuto che sostengono volte a crociera. Al centro di alcune di queste c’è un corridoio ribassato per il passaggio delle persone, mentre ai suoi lati il pavimento rialzato poteva essere utilizzato come giaciglio. Del castello restano solo le belle mura esterne di pietra, mentre l’interno è completamente distrutto. Riprendiamo il cammino. Il paesaggio è più bello con un’ampia vallata arida circondata da montagne. Poco più avanti incontriamo un altro caravanserraglio, più piccolo del precedente ma con un bel portale, questo in completo abbandono. Attraversiamo un paesino con bambini che giocano a pallone e ci fermiamo per fotografarli. E’ sera quando arriviamo all’hotel Damghan Tourist Inn I.T.T.I.C. 36.16965N, 54.34412E. Parlano poco l’inglese e mi consegnano le chiavi di una stanza. Devo mostrargli il camper per fargli capire che abbiamo bisogno solamente del parcheggio, poi ci chiedono 900.000 rial, ma alle mie rimostranze ce ne fanno pagare 500.000 come agli altri hotel della stessa catena. Ci allacciamo alla rete elettrica e domani faremo il pieno d’acqua. Dopo cena andiamo a fare una passeggiata al vicino l’Imamzadeh Jafar dove è in corso una funzione religiosa con i fedeli inginocchiati sui tappeti distesi a terra davanti al mausoleo. C’è la luna piena. Scattiamo belle foto della torre Chehel Dokhtar, ma torneremo l’indomani perché merita una visita più approfondita.
14/05 Damghan–Bastam–Gombad e Kavus Km 297.
La mattina visitiamo la Masjed-e Jameh dal bellissimo minareto di mattoni, ricamato a fasce orizzontali con motivi geometrici e calligrafici sempre di mattoni. Poco oltre, in mezzo a basse case di fango, c’è una la bella torre rotonda Pir Alamdar, anche lei con la sua bella fascia di scrittura. Arriviamo davanti al portone della Moschea di Tarikhuneh, ma è chiuso. Per visitarla bisogna chiamare al cellulare il custode, come scritto in farsi su un cartello. Ci aiuta gentilmente un passante e dopo cinque minuti siamo dentro. La Moschea è nuda e cruda, in parte distrutta ma bella da vedere con il suo colonnato massiccio.
Al suo fianco c’è il minareto di mattoni decorato con motivi geometrici. Torniamo verso il camper e attraversiamo il bazar dove compriamo uno strano pane ricoperto di spezie. Come ho fatto di solito, quando abbiamo acquistato qualcosa in locali dove non ci sono i prezzi esposti, ho consegnato il mio malloppo di rial al venditore che ha sempre preso il giusto. A riprova, dove i prezzi c’erano ed io ho sbagliato a pagare con banconote in più mi hanno corretto e restituito quelle in eccesso. Questo pane è unto di olio bollente e faccio fatica a tenerlo in mano. Prima di partire passiamo come previsto all’Imamzadeh Jafar. Il mausoleo splendido, quadrato con torri rotonde agli angoli e cupola a cinque gradoni e cono terminale. Leggermente staccata la torre Chehel Dokhtar decorata con fasce di simboli solari a forma di svastica. Lasciamo Damghan e riprendiamo la via della seta tra alberi di pistacchi, deserto e qualche coltivazione. Proseguiamo fino a Shahrud dove lasciamo la strada n. 44 e ci dirigiamo verso Bastam. La cittadina ha aiuole ben curate, come del resto nella maggior parte delle città iraniane, e bei viali forse di platani. Ci fermiamo accanto al mausoleo del mistico sufi Bayazid Bistami. Il complesso presenta due edifici con cupole a cono, rivestite di mattonelle turchesi, e un bel portale decorato con motivi geometrici anch’essi turchesi. Davanti al mausoleo principale c’è una tomba rinchiusa in una bassa gabbia dentro la quale si accovacciano in preghiera i pellegrini. Incontriamo una bella famiglia turkmena dai lineamenti asiatici con bambini ai quali doniamo una confezione di caramelle Rossana. Devono essere state molto gradite da tutto il gruppo perché abbiamo trovato le loro carte disseminate lungo il marciapiedi.
Facciamo anche la conoscenza di Firouzeh, una bella donna, unica componente femminile della squadra di golf dell’Iran, che ci chiede se siamo interessati a visitare un altro luogo santo con la tomba di un mistico sufi. Accettiamo e seguiamo la sua macchina. La tomba è niente di ché. Ma dentro ci sono uomini in turbante che pregano e fuori persone stupende accampate che cantano e c’invitano a mangiare con loro. Non possiamo, è già molto tardi. Salutiamo la nostra amica Firouzeh, che in iraniano significa turchese, ci scambiamo gli indirizzi e mail e partiamo non prima di aver ricevuto come ricordo una pallina da golf. Attraversiamo una zona montuosa ricca di pascoli e incontriamo nuovamente i pastori nomadi con le loro greggi. Scendiamo lungo il corso di un fiume e le montagne iniziano a coprirsi di vegetazione. I pascoli sono sostituiti da campi coltivati a grano e compaiono le prime risaie. E’ tardo pomeriggio quando entriamo a Gombad-e Kavus. Subito ci colpiscono le donne turkmene con i loro coloratissimi scialli. Parcheggiamo sotto la collina dove è situata la torre di Mil-e Gonbad e andiamo a visitarla. Alla biglietteria ci sono stranamente dei militari come pure dentro la torre; forse perché somiglia ad un missile intercontinentale. La torre è bellissima nella sua semplicità. E’ fatta completamente di mattoni ed ha la forma di un cilindro inserito in una stella a dieci punte, leggermente rastremato verso la cupola conica. Sulle pareti curve ha due fasce con iscrizioni, una in basso e l’altra proprio sotto il bordo della cupola. All’interno non c’è nulla da vedere.
Intorno alla collina c’è un giardino ed un largo piazzale dove sono parcheggiane numerose autovetture. Ci andiamo anche noi dopo aver chiesto ai militari 37.25726N, 55.16990E. Facciamo due passi in città anche con l’idea di acquistare uno scialle. Lungo la strada ci saluta con una battuta spiritosa in italiano un ragazzo al quale chiediamo dove è possibile acquistarne uno. Ci ha disilluso subito affermando che quelli più ricercati in città sono made in Italy. Guardiamo qualche vetrina e torniamo al camper. C’è confusione fino a tardi perché ci sono i giochi per i bambini ed un maxi schermo dove stanno trasmettendo una partita di calcio.
15/05 Gombad e Kavus–Imamzadeh Hashem pass–Teheran-Qazvin Km 633.
Ci alziamo di buon ora e vediamo che nel giardino ci sono anche attrezzature per fare ginnastica utilizzate dalle donne senza essere apparentemente impacciate nei movimenti dai loro rusari. La strada che percorriamo attraversa campi coltivati e paesi. Sulla sinistra le coltivazioni arrivano fino ai margini delle colline boscose. Ci stiamo avvicinando al mar Caspio. Ai margini della strada incontriamo venditori di pesci che mostrano la loro merce appesa a dei lunghi bastoni a mo di canna da pesca e venditori d’arance stranamente imbustate nella plastica una ad una. Poi risaie e case, case e risaie con le mondine al lavoro.
Verso Amol è un continuo di negozietti lungo la strada che espongono tutto quello che può servire ad un cittadino di Teheran che va al mare.
Noi invece stiamo facendo la strada inversa, salendo lungo una gola orrida con lavori in corso e pioggia, fino all’Hemamzadeh Hashem pass, il valico a 2.650 metri s.l.m.. Il monte Damavand è coperto dalle nuvole, purtroppo. La strada scende veloce verso Teheran a 1.184 m. s.l.m., prima a due corsie che diventano quattro dentro la città di cui attraversiamo la periferia nord che si estende verso le montagne.
Passiamo vicini al Planetario ed alla Torre di Milad. Hanno costruito tanti palazzoni e di tanti altri stanno ultimando le strutture in ferro simili a gigantesche gabbie. Nonostante il traffico sia abbastanza scorrevole impieghiamo circa due ore per attraversare seppure marginalmente la città. Arrivati a Qazvin parcheggiamo in un recinto accanto ad un posto di polizia dopo aver chiesto il permesso ai militari di guardia 36.27088N, 50.01302E. Ceniamo ed usciamo che è ormai buio e domani è di nuovo venerdì. C’infiliamo nel bazar restauratissimo e deserto data l’ora e riusciamo ad attraversare il cortile della Moschea di Al-nabi. Domani speriamo di riuscire a trovare qualche edificio aperto.
16/05 Qazvin–Soltaniyeh Km 292.
Usciamo dal camper poco dopo le otto e attraversando un giardino attrezzato incontriamo come spesso durante il viaggio donne che fanno ginnastica. Della Moschea possiamo vedere solamente il bel portale con una lunga fontana antistante, purtroppo priva d’acqua. Visitiamo il Chechel Sotun, palazzo reale dello scià Tahmasp, decorato all’esterno con figure e paesaggi dipinti su mattonelle di ceramica con chiari segni di contaminazione tra oriente ed occidente. Anche all’interno, dove è stato allestito il Museo della Calligrafia, ci sono affreschi con paesaggi che potremmo trovare tranquillamente in una nobile dimora europea dello stesso periodo.
Lasciamo Qazvin e ci dirigiamo verso la valle di Alamut dove sorgono i resti dei Castelli degli Assassini. La strada sale tortuosa sulle colline e la salita è impegnativa con tante curve e tornanti. Arriviamo in cima e la vista ci ripaga della fatica. Il panorama è bellissimo. Ci sono tante famiglie che fanno picnic sui prati. Decidiamo di proseguire in discesa per qualche chilometro, ma all’ennesimo tornante ci affacciamo per vedere la strada da percorrere e desistiamo: è troppo faticosa da fare per due volte, all’andata ed al ritorno. Ci fermiamo a pranzo in uno slargo più in alto e ripartiamo alla volta di Soltaniyeh. Prendiamo la strada n. 32 che attraversa un vasto altopiano, coltivato probabilmente a cereali perché incontriamo un gigantesco granaio con l’immancabile immagine di Khomeini. Quando la lasciamo girando a sinistra, da lontano vediamo una grande cupola turchese emergere dal nulla, apparentemente senza città intorno: è il Mausoleo di Oljetu che appare sovradimensionato rispetto a ciò che lo circonda. In effetti, la città era stata costruita dai mongoli per essere la capitale della Persia, ma dopo meno di un secolo fu distrutta da Tamerlano e non si riprese mai più.
L’edificio in mattoni è a pianta ottagonale e doveva essere completamente rivestito di mattonelle di ceramica color turchese come la cupola soprastante, circondata da ben otto minareti. L’interno è una selva di impalcature per il restauro della volta. Siamo saliti alle gallerie del secondo piano da cui si accede ad un corridoio aperto verso l’esterno. Le volte del corridoio sono decorate con raffinatissimi ricami di mattoncini, di tutte le tonalità del marrone. Da un balcone del corridoio si può vedere in lontananza, verso le colline, la cupola turchese del mausoleo del Mullah Hasan Kashi, bella e solitaria. La raggiungiamo in camper dopo aver visitato il Monastero derviscio di Khanegah, molto restaurato, con all’interno il Mausoleo di Boq’eh Chelabi-oglu piccolino, di mattoni, a pianta ottagonale su base in pietra. La strada asfaltata corre dritta in direzione delle colline attraversando terreni coltivati. Alcuni bambini la stanno utilizzando come campo di calcio. Purtroppo il cancello è chiuso e dobbiamo accontentarci della bella visione esterna. Facciamo conoscenza con una coppia di giovani, Reza e sua moglie Azam, che sta facendo una passeggiata. Lui parla benissimo inglese e intavoliamo una interessante conversazione parlando anche di politica. Quando gli ho chiesto come si chiamasse un piccolo roditore che gli ho indicato nel campo, lui lo ha guardato bene con il suo binocolo e mi ha risposto candidamente “local mouse”. Scattiamo delle foto e ci scambiamo gli indirizzi e mail. Come spesso accade riceviamo un invito a cena che respingiamo cordialmente adducendo la solita scusa del ritardo sul programma di viaggio. In verità il motivo non secondario dei nostri rifiuti è da ricondurre al fatto che siamo vegetariani ed il dover costringere un ospite a adeguarsi alle nostre esigenze ci sembra poco opportuno. Ci salutiamo e partiamo ma si ormai è sera e ci fermiamo a dormire lungo il marciapiede di fronte all’ingresso del Mausoleo di Oljeitu 36.43397N, 48.79468E. La cittadina è piccola, speriamo che non ci vedano e scoprano così la nostra bugia.
17/05 Soltaniyeh–Ardabil Km 483.
Questa notte hanno lavato le strade con un autopompa dei vigili del fuoco. Prima di partire per Ardabil facciamo un poco di spesa. Lasciamo la via della seta e ci dirigiamo nuovamente verso il Caspio attraversando montagne ricche di pascoli. Ci fermiamo al margine della strada per scattare delle foto ad un villaggio di fango, quando sopraggiunge un’autovettura, con bordo un ragazzo ed una ragazza, che si ferma proprio davanti al camper. Scende il ragazzo e ci porge due pani rotondi con sopra dei dolcetti incartati a mo di composizione.
Restiamo senza parole, sorpresi dal bellissimo gesto. Vogliamo contraccambiare e prendo un contenitore di metallo pieno di caramelle Rossana e barattolini di nutella, che avevamo portato per l’occorrenza, e corro per darglielo mentre lui risale in macchina. Ma non è finita, torna indietro e mi restituisce il contenitore vuoto. Probabilmente era troppo per loro. Ciao gentilissimi iraniani. Siamo partiti che eravamo ad un’altitudine di 1.787 metri s.l.m., abbiamo superato le montagne ed ora scendiamo verso il mar Caspio a circa -30 metri s.l.m.. Più andiamo avanti e più le montagne diventano prive di vegetazione ma con tutti i colori della terra, dal bordeaux al rosa, dal bianco al beige. Il verde è concentrato solo nel fondo delle valli dove vediamo i primi uliveti. Costeggiamo un lago artificiale e lungo un tratto di strada non ancora asfaltato, dove le macchine devono per forza rallentare, ci sono due mendicanti coperti di polvere, una donna e un nano. Ci fermiamo per donargli delle banconote. La strada ora segue il corso del fiume Sefid-Rud. Quando incontriamo i negozi che vendono salvagente e materassini gonfiabili capiamo che siamo arrivati al mare. Alla nostra sinistra ci sono le montagne ricche di vegetazione, subito sotto le risaie ed alla nostra destra il mare con case e casette di tutte le tipologie. Non è bello il mar Caspio che vediamo. Alla periferia di Astara lasciamo la strada n. 49 e giriamo a sinistra per imboccare la n. 16 che per qualche chilometro segue il corso di un fiume, che qui segna il confine naturale con l’Azerbaigian, per poi salire verso l’altipiano dove sorge Ardabil. Arriviamo in città e dopo qualche giro in mezzo al traffico alla ricerca di un parcheggio, ne troviamo uno accanto alla Moschea del Jameh 38.25143N, 48.30296E. Chiedo ad un negoziante di mobili se possiamo dormire lì vicino e lui mi fa capire che non ci sono problemi. Poco distante c’è un forno dove compro il pane come sempre appena sfornato.
18/05 Ardabil–Kharvana Km 278.
La giornata è bellissima, e in lontananza si può ammirate la cima innevata del monte Sabalan alto 4.811 metri. Ci avviamo a piedi verso il monastero con il Mausoleo dello Sceicco Safi-od-Din, patriarca della dinastia safavide e grande derviscio mistico sufi, che non è molto distante. Dopo aver attraversato un lungo giardino e varcato un portone ci troviamo in un piccolo cortile su cui si affacciamo splendide strutture architettoniche. Entriamo nell’edificio di fronte per vedere il sarcofago del Patriarca che è posto nella torre Allah-Allah, così detta perché il nome di Allah è ripetuto in continuazione con caratteri geometrici lungo tutta la parete, e si raggiunge attraversando la Sala della Lanterne. La sala è decorata con fantastici stucchi color oro e blu. I raggi del sole che entrano dalle finestre fanno risaltare l’oro con un effetto sbalorditivo.
Il soffitto stranamente è piatto e privo di decori. Da una porticina laterale si accede alla sala delle Porcellane con decorazioni molto simili a quelle della sala della musica del palazzo di Ali Qapu a Isfahan. Mentre visitiamo il mausoleo entra una giovane turista giapponese, con zaino in spalla e macchina fotografica in mano, che affascinata dalla raffinatezza dell’ambiente non riesce a trattenere sonore espressioni di meraviglia, mentre scatta fotografie in tutte le posizioni. Usciti dal monastero attraversiamo un pezzo del bazar per andare a vedere il piccolo ponte Pol-e Ebrahimabad e ci imbattiamo in un locale dove alcuni anziani avventori fumano il narghilé (qalyan in iraniano) e si lasciano tranquillamente fotografare. Sono stati gentilissimi e li ringraziamo di cuore. Alle 11 siamo di nuovo sul camper pronti per uscire da Ardabil. Facciamo un lungo giro intorno al monte Sabalan in direzione di Tabriz. Lungo la strada passiamo accanto ad un ruscello dove due donne stanno lavando la lana, una la batte con un bastone e l’altra la pigia con i piedi prima di metterla ad asciugare al sole sul prato. Dobbiamo rifornirci di acqua e chiediamo informazioni a tre ragazzi che stanno provando alcune mosse di lotta in mezzo ad un’aiuola che hanno appena curato. Ci fanno capire che potremmo provare alla moschea del vicino paese e lì andiamo. Il custode della moschea vorrebbe farci rifornire direttamente alla fontanella refrigerata davanti alla moschea, ma è troppo lontana e allora ci mostra i bagni per le abluzioni che sono più vicini. Si crea subito un capannello di curiosi e tutti si danno da fare per aiutarci. Il custode torna con un calendario della moschea e noi gli regaliamo una scatola di penne bic per la sua cortesia. Ad Ahar prendiamo una strada secondaria in direzione di Karvana. Le montagne sono brulle, ma le vallate sono verdi di pascoli e incontriamo accampamenti di pastori nomadi con le loro immancabili camionette Zamyad celesti. Lungo la strada compriamo delle fragole da un contadino. Ci stiamo avvicinando a Karvana ed in mezzo al verde delle coltivazioni c’è una zona di calanchi color rosa, beige, bianco e marrone, domani andremo a vederla da vicino. A Karvana dormiamo in paese sul ciglio della strada dopo aver chiesto ad un ragazzo che parla bene l’inglese 38.68284N, 46.16795E.
19/05 Kharvana–Kalisa Darreh Sham–Qareh Kelisa (St.Thaddeus) Km 255.
Partiamo presto per andare a vedere da vicino i calanchi, ma la loro visione da lontano è senz’altro la migliore. Più avanti il percorso si fa spettacoloso. Incontriamo paesaggi mozzafiato dai colori bordeaux, rosa, gialli, marroni, grigi, verdi e montagne innevate in lontananza. Una natura grandiosa. A Siyah Rud raggiungiamo la valle del fiume Aras che qui segna il confine con la Repubblica Autonoma di Naxçivan, exclave dell’Azerbaigian. Superata Jolfa la valle si restringe quasi a diventare una gola incuneata tra pareti di montagne brulle. Dietro una curva incontriamo una prima chiesa armena la cappella di Chupan parecchio rovinata, ma c’è una squadra d’operai al lavoro. Lungo la sponda Azera non c’è una strada ma una ferrovia percorsa da un trenino verde, bordeaux e celeste. Dopo pochi chilometri una deviazione a sinistra ci porta alla Kalisa Darreh Sham (Chiesa di Santo Stefano). Il parcheggio è ripido e ci sono molte autovetture di iraniani che sono venuti per fare il picnic, il luogo si presta molto, è alberato, attrezzato e c’è una fontana. Oltrepassato un arco di pietra ci appaiono le mura con i torrioni circolari del monastero fortificato. Quando ci arriviamo sotto possiamo già vedere incombenti la cupola ed il campanile della chiesa. Le mura difensive di pietra grigia fanno risaltare quelle della chiesa che sono rosa, bianche e beige. Il complesso è controllato dai militari che hanno una postazione proprio di fronte all’ingresso da dove salendo alcuni gradini si arriva al livello della chiesa. La facciata ha la classica struttura bizantina ma il portale è decorato con stalattiti e scritte in persiano, frutto probabilmente di successivi riutilizzi dell’edificio. L’interno è spoglio con qualche residua traccia di affreschi. Nella parete posteriore in alto c’è un bassorilievo con il martirio di Santo Stefano e nel mezzo una finestra a forma di croce armena circondata da animali stilizzati.
Il campanile è posto a lato della chiesa ed ha la base costituita da quattro archi acuti da cui emergono otto colonne che sorreggono la cupola conica. Dopo un’ora di visita lasciamo il monastero appagati dalla bellezza e dalla serenità del luogo. Ripartiamo dopo aver fatto rifornimento di acqua alla fontana. La strada segue sempre la gola del fiume Aras e ogni tanto si incontrano postazioni di militari. Quando usciamo dalla gola ci troviamo a costeggiare un lago artificiale e attraversiamo una zona pianeggiante con coltivazioni. Incontriamo un pastore con due figli piccoli che stanno conducendo un gregge lungo la strada. Ci fermiamo e gli doniamo penne e caramelle, facciamo felici i bambini. A Poldasht lasciamo il confine con l’Azerbaigian e ci dirigiamo verso Maku. Superata Yola Galdi giriamo a sinistra in direzione di Chaldran. Seguiamo il navigatore, ma la nostra destinazione sembra non arrivare mai. Chiediamo informazioni ad un uomo fermo sul ciglio della strada che ci conferma che la direzione è quella giusta. Finalmente dopo qualche altro chilometro arriviamo al bivio ed imbocchiamo una bella strada alla nostra destra che percorre un’ampia valle in fondo alla quale riusciamo ad intravedere la cupola della chiesa. Attraversiamo un villaggio di pastori curdi con case di fango e covoni di rondelle di sterco essiccate e ci fermiamo accanto alle mura fortificate del Monastero di San Taddeo, Qareh Kalisa (Chiesa Nera in farsi). L’atmosfera è bucolica con pecore che pascolano controllate da bambini.
C’è anche un adulto mi avvicino e gli chiedo se posso regalare delle matite ai bambini che le accettano subito. Una bambina è proprio piccola e le faccio vedere che la matita ha anche la gomma per cancellare. La chiesa ha due cupole piramidali, una più grande realizzata in arenaria chiara davanti, ed una più piccola dietro con il tamburo poligonale a strisce orizzontali di pietre bianche e nere. La parte anteriore è un ampliamento del 1800, mentre quella posteriore è la chiesa più antica ed è stata realizzata con pietre scure da cui deriva il suo nome. L’interno non ha ornamenti ad eccezione dell’abside e della volta della cupola che sono decorate con strisce di pietre bianche e nere. C’è anche un piccolo mihrab segno di passati avvicendamenti di religioni. All’esterno se non l’avessi letto non avrei capito che l’ampliamento è ottocentesco perché le decorazioni a bassorilievo di santi, angeli, guerrieri e animali sono fatte a somiglianza di quelle arcaiche, caratteristiche della chiesa armena antica. Usciamo dal monastero e accanto al camper troviamo ad aspettarci un maschietto e la bambina cui avevo regalato una matita. Tiriamo fuori le caramelle, le prendono e scappano contenti verso il villaggio. La sera le greggi condotte dagli uomini ritornano dal pascolo e ognuno conduce le proprie nel recinto di casa dove le munge. Mi avvicino curioso sicuro di poter entrare per assistere alla mungitura, ma, stupidamente, non penso al cane di guardia che sta lì per fare il suo dovere. L’intervento del padrone che lo caccia con un bastone è provvidenziale. Il pastore mi fa capire che è molto tempo che non piove e se le pecore non mangiano non mangia neanche lui. Mentre stiamo cenando vediamo la bambina di prima che se ne sta timida a guardarci da dietro un palo della luce.
Le facciamo cenno di avvicinarsi e gli diamo le ultime cose che avevamo con noi. Lei arriva di corsa con i suoi passetti corti impacciati dalla gonna lunga, le prende e di corsa torna a casa. Dopo poco eccola di nuovo dietro al palo. Non abbiamo altro che una busta con delle arance comprate lungo il Caspio, pensiamo che possano andare bene, infatti, la prende e via di nuovo a casa. Dormiamo sotto le mura del monastero 39.09231N, 44.54437E che di notte ha la chiesa illuminata.
20/05 Qareh Kelisa–Cappella di Dzorzor–Maku Km 169.
Questa notte ha piovuto ma poco ci dispiace per i pastori. Salutiamo la bambina che ci sta aspettando vestita come il giorno prima con la maglietta bianca e arancione con disegnata una mucca, la gonnellina di velluto bordeaux e le scarpette rosa con la faccia da bruco, diamo un ultimo sguardo al monastero e andiamo via verso Maku. La giornata è nuvolosa, in lontananza vediamo le montagne coperte da bianche nuvole basse. Lì deve aver piovuto per bene. Percorriamo una bella piana ricca di verde con campi coltivati e attraversiamo poveri villaggi con tanta immondizia lasciata tranquillamente sul ciglio della strada. Poi il paesaggio cambia, si fa più aspro. Siamo in una zona vulcanica e ci affacciamo su un canyon di rocce basaltiche che ci ricordano molto il “selciato del gigante” in Irlanda. Scendiamo nella gola del fiume, la strada è stretta ed in alcuni punti è sterrata perché ci sono in corso lavori. Una mamma con due bambini sta lavando le pentole con l’acqua torbida del fiume. Finalmente entriamo nella valle di Maku. All’ingresso della città camion multicolori carichi di mattoni sono in attesa di acquirenti. Dobbiamo attraversarne la periferia, con palazzi e case in mattoni dalle più disparate “architetture”, per poi salire su una montagna che dobbiamo scavalcare per arrivare alla Cappella di Dzorzor (39.18803N, 44.47629E). Arrivati in vista della chiesa un cancello chiuso ci blocca la strada. Lì vicino ci sono delle costruzioni protette da una recinzione con una sbarra all’ingresso. Chiedo al guardiano se c’è modo di andare a vedere la chiesa. Mi fa cenno di aspettare, fa una telefonata e poco dopo arriva un superiore che mi saluta cordialmente e fa aprire il cancello che richiudono alle nostre spalle. La cappella è di proporzioni perfette, cruciforme, con un bel tamburo di marmo bianco che sorregge la cupola piramidale. Situata in posizione dominante sopra ad un lago artificiale è l’unica vestigia di un monastero distrutto nel XVII secolo. Proprio a causa della realizzazione del bacino la cappella è stata spostata nella posizione attuale, ma il restauro poteva essere più accurato.
Bene, abbiamo visto anche l’ultima cosa che volevamo vedere in Iran, siamo appagati ed ora torniamo a Maku dove dobbiamo spendere ancora 4.500.000 rial che ci sono avanzati. Ci fermiamo nel parcheggio a pagamento nel centro del paese 39.29557N, 44.50992E e andiamo a cercare il modo per spendere il nostro patrimonio. Siamo nella parte antica della città che si è sviluppata sotto una grande caverna con abitazioni che ricorda vagamente un pueblo degli indiani d’America. In un negozietto di un antiquario acquistiamo delle vecchie collane di agata ma non riusciamo a spendere tutti i rial. Torniamo al camper e mentre Ines prepara la cena vado a comprare il pane. Vedo un signore con il pane in mano, gli domando dove lo ha comprato e mi fa il segno di andare avanti.
Chiedo ad un altro che invece mi accompagna e m’indica uno scantinato sotto una palazzina. E’ lì che c’è il forno, lo percepisco dal profumo del pane. Scendo le scale e ci trovo un sacco d’uomini nell’attesa della sfornata. Mi metto in fila, ma, appena il pane esce dal forno, sono servito per primo ed il fornaio non mi fa neppure pagare. Ringrazio tutti e torno al camper. Poco dopo mi ripresento per contraccambiare la gentilezza con due pacchi di spaghetti e un barattolo di sugo pronto per il fornaio che è rimasto piacevolmente sorpreso.
21/05 Maku–Bazargan uscita dall’Iran km 24.
A Bazargan facciamo l’ultimo pieno di gasolio iraniano. In frontiera dobbiamo aspettare che i turchi aprano il cancello. Siamo in fila con molti pulmini di commercianti turchi che sono venuti a comprare in Iran ed hanno dovuto scaricare tutte le mercanzie per i controlli doganali. Ho ancora qualche rial e approfitto dell’occasione acquistare dei pomodori. Poi tra le merci a terra vedo scatole di datteri di Bam e chiedo al commerciante quanto costano ma lui me ne regala una pacchetto. Allora tiro fuori i rial rimasti e riesco a comprarne una scatola intera. Mentre aspettiamo questa benedetta apertura, nella corsia riservata ai camion, le guardie controllano le cabine e sequestrano le taniche di gasolio che trovano. Per attraversare le due dogane ci metteremo 4,30 ore probabilmente anche per la differenza di fuso orario e Ines purtroppo dovrà pazientare ancora per liberarsi dal foulard. Finalmente aprono il cancello, usciamo dall’Iran e Ines si libera da quella coercizione.
Complessivamente abbiamo percorso in Iran circa km 8.400