Dona Elvira è fondatrice e membro
della cooperativa Yu-Vaan (“terra viva”
in Zapoteco), fondata da 14 donne
di Tanetze che mettono assieme una
parte del raccolto di caffè di ognuna,
per venderlo direttamente nel mercato
biologico d’Oaxaca Capital,
a 6 ore di distanza da Tanetze.
di Riccardo D’Emidio
Mi chiamo Riccardo, ho 25 anni, sono figlio di padre italiano e madre inglese. Sono nato e cresciuto a Grottaferrata, in provincia di Roma.
Mi sono laureato nel 2005 all’Università di Exter (Regno Unito) dove ho frequentato per 4 anni il corso di laurea Relazioni Internazionali e Sviluppo.
Una volta conclusa la laurea era mia intenzione partire per il Sud del mondo, per conoscere realtà diverse, per vedere con i miei occhi ciò che avevo letto per quattro anni, e per orientarmi in un mondo del lavoro sconosciuto. Ho fatto vari tentativi per partire, il servizio Volontario Europeo e il Servizio Civile Internazionale, che poi per una serie di questioni un po’ personali, un po’ d’interesse non sono andati a buon fine.
Ho lavorato per un anno a Roma come insegnante d’inglese per varie scuole di inglese, ho risparmiato e intanto progettavo la mia partenza. Sono entrato in contatto con varie organizzazioni, enti, imprese nel sud del mondo che cercavano volontari, fino ad incontrare Casa Chapulin (www.casachapulin.org).
Casa è un acronimo che sta per “Centro d’Appoggio Solidarietà e Azione”, un collettivo di Stranieri di tutto il mondo, con tre basi una a Oaxaca (Messico), Chiapas (Messico) e Stati Uniti.
Come parte del collettivo le responsabilità sono varie: articoli per la newsletter mensile, laboratori sulla realtà socio-politica di Oaxaca o Chiapas, collaborazione con organizzazioni locali, sostegno e appoggio a comunità indigene locali, monitoraggio di diritti umani in comunità.
Così partii per Oaxaca a metà Ottobre, con il mio zaino sulle spalle, la guida Lonely Planet sotto il braccio, sapendo poco del Messico, e ancor meno dello stato d’Oaxaca.
Non mi fermai per niente nella caotica Città del Messico, ma andai subito ad Oaxaca, dove non solo incontrai gli altri integranti del collettivo, ma anche una città stravolta da un conflitto politico-sociale nato negli ultimi 4 mesi ma che aveva radici ben più profonde.
Il movimento sociale di Oaxaca nacque da uno sciopero e mobilitazione del sindacato dei maestri nel mese del maggio 2006, dopo una repressione brutale da parte della macchina statale, il conflitto sindacale trovò solidarietà nella popolazione dello stato di Oaxaca.
Il conflitto, che è ancora vivo nella città di Oaxaca, ha lasciato un saldo di 30 morti, più di 300 detenuti illegalmente, violazioni sistematiche di diritti umani da parte dello stato verso la popolazione in generale.
Un popolo quello Oaxaqueno, stanco di soprusi e ingiustizie, stanco di povertà assoluta, stanco di una casta politica corrotta e arrogante che anziché rispondere alle necessità basiche di una popolazione prevalentemente indigena (80%), risponde con esercito, violazioni a diritti umani, paramilitari e violenza.
Oaxaca è il 5° stato più grande del Messico, con una popolazione di 3.500.000 abitanti, di cui più dei 3 quarti vivono in zone rurali, senza accesso ad istruzione e sanità.
La maggior parte della popolazione rurale non parla spagnolo ma solo la lingua materna, non è dunque sorprendente il dato che Oaxaca occupa il secondo posto su scala nazionale di emarginazione, che il 76% della popolazione vive sotto la soglia di estrema povertà, più del 70% della popolazione economicamente attiva guadagna meno di 5 euro al giorno, ogni anno 150.000 Oaxaqueni (uomini, donne ed adolescenti) emigrano verso gli Stati Uniti, camminando per 3 giorni nel deserto ed indebitandosi fino al collo.
Questi dati, ad Oaxaca hanno un volto, una casa ed una storia.
Quella di Dona Elvira è solo una delle tante Trovarsi davanti a persone che non hanno nulla, ma che fanno fronte alle proprie necessità con una dignità impeccabile è stato un grande insegnamento di vita, mi ha aiutato a prendere coscienza che questo mondo così com’è, forse non è sostenibile. Il sole è ancora nascosto dietro la Sierra Juarez, quando gli occhi assonnati di Dona Elvira si schiudono.
Si avvolge uno scialle attorno alle spalle, esce fuori e guarda il cielo, una sottile luce si alza dietro le montagne mentre le ultime stelle affievoliscono.
La raggiunge fischiettando Don Thomas: “Buenos dias mi amor”, le regala un bacio sulla guancia e come ogni mattina si avvia verso la terrazza per stendere il caffè al sole.
Nella comunità Zapoteca di Tanetze de Zaragova la vita è scandita dai ritmi della natura, questo è periodo di raccolto, i pendii scoscesi della Sierra sono pieni di caffè, i rami appesantiti dalle bacche rosse si curvano verso la terra.
Durante il raccolto non esiste la Domenica o il riposo, così Dona Elvira riempie la sua cesta con il mais raccolto ad Ottobre e si avvia al mulino di Tanetze accompagnata dal fischiettio allegro di suo marito sul tetto.
Al suo ritorno Don Thomas ha già tagliato la legna e acceso la stufa, il comal è caldo (piatto di ceramica dove vengono cotte le tortillas di mais),
Dona Elvira stende la massa di mais macinata al mulino e prepara le tortillas per la giornata. La colazione è pronta: uova sbattute, chile, fagioli neri, tortillas, salsa di pomodoro e atole (bevenda di mais) fumante vengono messi a tavola, uno sguardo furtivo verso le poche nuvole, interrompe un boccone e l’altro. Sono le 8:30 del mattino e Don Thomas e Dona Elvira sono pronti per scendere il cafetal.
Legano la cesta con il pranzo ai loro unici e preziosi aiutanti (un cavallo, ed un somaro) e si avviano verso la piantagione. Il cammino è scosceso, dai 2000 metri di Tanetze scendono fino a 1500 metri, lungo un sentiero che si snoda tra piante di caffè, limoni e pesanti arance gialle, poche sono le curve che spezzano le discese scoscese, ma il cavallo si muove agilmente affondando gli zoccoli nella terra rossa. Il sentiero è fangoso e stretto, ma trafficato; la maggior parte, se non tutti gli abitanti di questa zona coltivano il caffè, l’unico raccolto che si è certi di vendere, seppur ad un prezzo quasi inesistente.
Dona Elvira mi racconta come all’inizio degli anni ’90 il prezzo del caffè è sceso talmente in basso che lei e Don Thomas hanno dovuto abbandonare Tanetze e Oaxaca, per andare a lavorare nel Distrito Federal di Città del Messico, lei come donna delle pulizie e lui come agente di sicurezza privato in un centro commerciale.
Lontani dalla loro terra, dalla loro cultura e dalla loro lingua si sono trovati immersi in un mondo caotico fatto di smog, consumo e ritmi frenetici, dove la vita per l’ultimo arrivato è sempre la più dura. La coppia procede lungo il cammino velocemente, attraversando i cafetales dei vicini, dopo mezz’ora di discesa, si sente lo scroscio del fiume in fondo alla valle e si vede la tettoia di lamina sotto la quale sono racimolati i loro strumenti di lavoro: ceste, legna ed un macete.
Gli occhi scuri e affusolati di Dona Elvira si fanno sottili quando le chiedo il nome del fiume, mi guarda stupita e divertita come se le stessi facendo una domanda assurda e mi risponde: “Come si chiama? Beh… Si chiama fiume… Come dovrebbe chiamarsi?”.
Ridiamo assieme per la mia domanda stupida, e mi rendo conto che per Dona Elvira questo è l’unico fiume che esiste nel suo mondo, ed è l’unico che ha importanza perché dà acqua alle piante di caffé. Don Thomas lega i suoi due aiutanti ad un albero,
Dona Elvis (come la chiama affettuosamente il suo sposo) si copre il capo e il collo con uno scialle per difendersi dalla miriade di zanzare, ed una nuova giornata ha inizio.
Così come ieri, il giorno prima, ed il giorno prima ancora, le ore di sole sono dedicate alla meticolosa raccolta di caffé, chicco per chicco, ramo per ramo, pianta per pianta. I cafetales di Tanetze non hanno nulla a che vedere con gli ordinati vigneti di Frascati, dove la vite cresce ordinata e dritta sui tralicci di cemento.
Una vegetazione selvaggia abita questi pendii, tra i rami carichi di bacche rosse, gialle e verdi si scorgono canne da zucchero, grandi foglie ombrose di piante di banana, erbacce, rovi e pietre, il groviglio è così fitto che Don Thomas si fa strada con il micete.
Le dita di Dona Elvira si muovono sulle piante come le dita di un pianista su un pianoforte, rapide e decise vanno selezionando le bacche mature da quelle ancora acerbe, non ne perde una, il caffé è ben troppo prezioso per lei per poterne perdere anche un solo chicco.
Tra la moltitudine di piante, Don Thomas mi mostra la vaniglia che hanno piantato tre anni prima, che cresce attorcigliata alle piante di caffé. Fino a quel momento la vaniglia per me non era altro che un sapore, un gusto di gelato, una crema che trovavo nei pasticcini della domenica. Non mi sono mai chiesto da dove veniva, di che colore sono le sue foglie, come e dove cresce.
Il processo del caffé è lungo e laborioso, mentre Donna Elvira accumula caffé nella cesta che porta indosso, Don Thomas fa partire il motore della macchina “dispulpadora”, che separa la polpa rossa della bacca dal chicco di caffé. Un cumulo di bucce rosse giace al lato della macchina, moschini e zanzare ronzano impazzite attratte dallo zucchero delle bacche, una volta secche le bucce vengono usate come concime biologico.
Dopo un breve pranzo a base di tortillas e zuppa di verdure riprendono a lavorare, senza tregua fino al calar del sole. Don Thomas canticchia in Zapoteco, gli piace la musica, da giovane suonava nella banda di Tanetze, ora suona solo per Dona Elvira quando riesce a vincere la stanchezza di una giornata spesa nel cafetal. Dona Elvira è seria e la sua cesta si riempie rapidamente.
Chissà a cosa pensa Dona Elvira in tutte quelle silenziose ore passate tra le piante di caffé. Forse pensa a chi si prenderà cura di loro quando non ce la faranno più a sostenere tanto lavoro, a chi lascerà il suo amatissimo terreno, i suoi ricordi, le sue storie, e i suoi cimeli. Forse pensa ai figli che non ha mai avuto, ai figli che non le hanno consentito di adottare perché lei e Don Thomas non sono altro che una coppia di poveri ‘campesinos’, circondati da altri maledettamente poveri ‘campesinos’.
Al farsi notte, Don Thomas carica i sacchi di caffé sul somaro e fa cenno a Dona Elvira di andare, così s’inoltrano verso la salita, avvolti nel buio guidando le bestie lungo il sentiero verso casa. Le bestie si muovono appesantite dal caffé, io arranco tra il fango e le pietre, dimostrando chiaramente di essere più abituato alle strade asfaltate di città.
Don Thomas mi racconta come prima non avessero bestie da soma che li aiutassero, e lui era costretto a caricarsi i 4 o 5 sacchi di caffé sulle spalle, facendo quindi 4 o 5 viaggi dal cafetal a Tanetze. Quando arriviamo a casa è già notte, sudati e stanchi ci sediamo sulle sedie di legno della sala da pranzo. Il lavoro a Tanetze, non termina al tramonto, il caffé va tenuto a mollo nell’acqua per 24 ore, in modo tale che la polpa e lo zucchero rimasti sui chicchi fermenti e sia più facile da pulire.
Così tutti i sacchi vengono rovesciati da Don Thomas nel fontanile pieno di acqua che si trova davanti alla porta di casa. Un forte odore di zucchero in fermentazione avvolge la casa, è un odore familiare, profumo di vendemmia, cantina, botti di legno e mosto.
Dona Elvis gira il caffé nel fontanile con una scopa, poi lo setaccia con uno scolapasta, levando bucce e chicchi verdi, Don Thomas sale sulla terrazza per raccogliere il caffé steso a seccare; tre giorni di sole per il caffé commerciale, otto giorni di sole invece per il caffé destinato alla loro cooperativa e alla vendita personale. Una volta che il caffè si è ben seccato si ottiene quello che viene chiamato “el cafè de oro”, ed è questo che si porta a tostare e a macinare.
Dona Elvira è fondatrice e membro della cooperativa Yu-Vaan (“terra viva” in Zapoteco), fondata da 14 donne di Tanetze che mettono assieme una parte del raccolto di caffè di ognuna, per venderlo direttamente nel mercato biologico d’Oaxaca Capital, a 6 ore di distanza da Tanetze.
Tramite la cooperativa sono riuscite a comprare un forno ed una macchina per poter completare il processo di lavorazione del caffè. La cooperazione tra queste donne, pur essendo un modo per riuscire a vendere il proprio prodotto ad un prezzo giusto, che compensi il duro lavoro che vi è alle spalle anche di una sola tazzina di caffè, si traduce in un ulteriore lavoro.
Infatti ogni venerdì Dona Elvira, si alza alle 4 della mattina per prendere l’unica corriera che la porta ad Oaxaca, alle 10 e 30 è al mercato vendendo caffè Yu-Vaan.
L’altra parte del raccolto viene venduta ai coyotes – gli sciacalli – gli intermediari tra i produttori come Dona Elvira e Don Thomas, e le grandi case di distribuzione. I coyotes comprano il caffè già tostato e macinato ad un prezzo che oscilla tra i 14 e 16 Pesos al kg, ossia poco più di un euro.
Ormai notte, Dona Elvira riscalda le tortillas preparate al mattino, con del formaggio salsa e chile piccante. Don Thomas versa il caffè in tazze di ceramica rosse, tipiche di Oaxaca; il caffè è diverso dal nostro, leggero, dolce e viene servito con un punta di cannella.
Assaporo il caffè con gusto, pensando a tutto il lavoro che vi è dietro a questa bevanda calda che a Tanetze scandisce il tempo e la vita di queste persone.