L’umanesimo si basa
su due concetti fondamentali:
reciprocità e dare disinteressato.
di Francesca Cotroneo,
fotografie di Roberto Palumbo
Perché l’Africa e perchè il Senegal? In realtà è un caso che sia l’Africa e in particolare il Senegal.
Da diversi anni partecipo attivamente ad un movimento, il Movimento Umanista, che è presente in più paesi e in più culture nel mondo, con più di un milione di volontari. Sono andato in Senegal perché ho conosciuto dei ragazzi senegalesi a Napoli e tramite loro ho organizzato il primo viaggio con i primi progetti da sviluppare.
L’interesse inizialmente è stato prendere contatto con una nuova cultura, lanciando delle basi per migliorare le condizioni di vita, trovando dei volontari sul posto.
Non sono mai partito con il preconcetto di dover viaggiare per andare a insegnare qualcosa a qualcuno, perché credo che da ogni popolo c’è qualcosa da imparare. Quello che potevo dare aveva più a che vedere con un modello organizzativo, certo, anche con delle idee. non vado a cercare di cambiare le idee di nessuno, vado a cercare persone che condividano il mio punto di vista sul mondo e sull’essere umano. Si tratta quindi di un progetto umanitario? No. Direi piuttosto di un progetto “umanista”, il che è molto differente.
La differenza che passa tra umanitarismo e umanesimo è la stessa che c’è tra un volontariato ingenuo e un volontariato cosciente.
Questa differenza è essenziale, soprattutto quando ti trovi a sviluppare un progetto in un paese che già riceve molti aiuti umanitari.
È corretto dire che il Senegal riceve aiuti umanitari, i senegalesi no!
Ma un conto è l’umanitarismo e un conto è la frode. Il volontariato, che si definisce tale, ogni giorno di più sta diventando un business.
Gli stessi governi che dovrebbero aiutare le proprie popolazioni non lo fanno e sono i principali responsabili di questo inganno.
Dopo il G8 di Genova, nel quale si doveva parlare dei finanziamenti ai paesi del terzo mondo, la stampa si è ovviamente soffermata sugli scontri che ci furono e che tutti conosciamo, nessuno ha più sottolineato il fatto che i paesi industrializzati hanno destinato ai paesi del terzo mondo cifre veramente irrisorie. Quali sono i criteri di finanziamento dei paesi poveri? Non sono finanziati i paesi poveri ma quelli che possono ridare qualcosa al F.M.I. (Fondo Monetario Internazionale).
Con questo sistema, si pensa veramente di risolvere il problema o è soltanto un business? Il tema riguarda ovviamente non solo i governi occidentali, la cooperazione giapponese ad esempio, qualche anno fa, ha donato un milione di zanzariere al governo senegalese, per la popolazione.
Adesso il governo le sta vendendo a prezzi che sono altissimi, considerando gli standard di vita del paese.
Però credo sia opportuno precisare due cose: il sentimento che sta alla base dell’umanitarismo e dell’umanesimo spesso e volentieri è lo stesso, ed è un sentimento nobile, elevato, che parte dal presupposto che il senso stesso dell’esistenza è qualcosa che spinge verso fuori, verso il mondo, verso altri esseri umani.
Detto questo, seconda precisazione, il problema dell’umanitarismo almeno da parte dei volontari è un problema di miopia, non di malafede. Un progetto umanitario basa le proprie attività sui fondi di cui dispone, ad esempio ho 10.000 euro e comprerò 1.000 medicinali.
Finiti i soldi, finito il progetto e la gente sta come prima, non si è risolto il problema, anzi, le persone rimangono con delle aspettative. Questo è un tema serio, dovuto a come è stato impostato il volontariato da diversi anni. Le persone sono abituate a stare con la mano aperta, aspettando.
Quindi, l’umanitarismo, o quello che io definisco come tale, considera le persone come oggetti riceventi, come bisognosi e oltretutto incapaci. L’umanesimo, invece, considera le persone come parte del progetto, sono incluse attivamente, sono loro i protagonisti di quello che sta succedendo, indipendentemente da quello che io faccio, che io ci vada o non ci vada.
Un tema sicuramente importante, infatti, è quello dell’auto-organizzazione: la gente inizia a pensare che non può più delegare ad altri quello che gli altri non faranno (e non hanno mai fatto).
Questo tende a rompere la catena della dipendenza, a ridare fiducia agli esseri umani che finalmente possono sentirsi utili per sé stessi, per la propria vita e per il futuro delle persone care. I nostri progetti, basandosi sulle persone e non sui fondi, sono sicuramente più lenti ma hanno un futuro più ampio e in crescita.
Ogni persona che ne fa parte, finanzia il progetto stesso, lo fa come può, anche con il minimo, però questo è molto importante perché in questo modo il progetto è loro e non mio, o solamente mio.
L’umanesimo si basa quindi su due concetti fondamentali: reciprocità e dare disinteressato. Non è, infatti, un “io do qualcosa a te, tu dai qualcosa a me” bensì un “io do qualcosa a te, tu a qualcun altro” (che magari nessuno di noi due conosce).
Partecipare a questi progetti ed al Movimento Umanista è molto semplice: requisito fondamentale è essere d’accordo con le idee e i temi del Movimento, essere contrari ad ogni forma di violenza e di discriminazione, collaborare minimamente alle varie attività, nell’implementazione o nell’organizzazione e partecipare all’autofinanziamento. Generalmente chi collabora con noi è una persona che ha fede nel cambiamento e nelle possibilità dell’essere umano.
Di che cosa ti occupi, nello specifico? Principalmente si portano avanti campagne che hanno a che vedere con la sanità, l’educazione e la qualità della vita, perché queste sono indubbiamente le priorità che stanno alla base, in qualsiasi paese. Queste iniziative non partono con la semplice idea di risolvere il problema specifico, il problema è generale, quindi è lì che dobbiamo puntare.
Questo va chiarito alla gente, non è soltanto “puliamo la strada”, c’è un responsabile che si dovrebbe occupare di quello, noi non ci occuperemo soltanto di pulire la strada ma faremo pressione su quel comune affinché lo faccia. Avrebbe più senso, se proprio vogliamo raccogliere l’immondizia, che una volta che l’abbiamo raccolta la scaricassimo davanti al comune, pretendendo che venga risolto il problema.
Altrimenti il problema si riproporrà più avanti. Alcuni dei nostri progetti riguardano campagne di alfabetizzazione basate sul principio della reciprocità: chi impara si impegna ad insegnare a qualcun altro o minimamente a passare l’informazione sulle attività che portiamo avanti.
Questo discorso della reciprocità si può sviluppare con tanti temi ma immaginiamo una campagna di vaccinazione: non andremo a chiedere ai vaccinati di andare a vaccinare qualcun altro. La reciprocità si può intendere in senso più ampio, può consistere nel passare un’informazione a dei gruppi familiari partecipando anche alle attività. Un esempio molto semplice che ha a che vedere con la reciprocità e l’auto-organizzazione è questo: in un quartiere partecipano 500 persone alle diverse attività (alfabetizzazione, prevenzione alla malaria, ecc.), ognuno di loro mette un pugno di riso.
Certo, con un pugno di riso ci fai poco, ma con 500 pugni di riso (o qualcosa di analogo) ci si può fare molto, per esempio organizzare una giornata, una volta al mese, con i bambini della strada, dargli un pasto e farli giocare. Questo è un inizio, poi in seguito gli si può insegnare ad esempio a leggere e a scrivere.
La persona che partecipa non è solo parte integrante delle attività ma anche del Movimento, ed ecco che l’intenzione diventa più grande, questa persona fa parte di un progetto mondiale di umanizzazione e per l’individuo non è una cosa da poco sapere di far parte di un piano più ampio, che va al di là di lui coi suoi problemi, o del quartiere, o di quel paese. Un’altra attività importante si chiama “Stop Malaria”.
Questa attività viene portata avanti in diversi paesi dell’Africa ed anche in Europa. In Africa questa attività ha a che vedere con il censimento, l’informazione e la prevenzione.
Il censimento e l’informazione si fanno casa a casa, trimestralmente: quante persone fanno parte del nucleo familiare, se ci sono malati, che tipo di misure stanno usando per evitare la malaria, ecc.
All’interno di ogni nucleo familiare si cerca di avere un cosiddetto “promotore sanitario”, una persona che partecipa (gratuitamente, ovviamente) a dei corsi di preparazione tenuti da medici.
Questa persona, all’interno della propria famiglia si occupa di promuovere la bonifica del territorio, l’igiene personale, l’utilizzo di repellenti e zanzariere che sono il metodo più sicuro per la prevenzione, perché non esiste un vaccino. Per quanto riguarda l’attività che facciamo in Europa è principalmente di denuncia, informazione e raccolta fondi. Visto che in occidente la malaria è stata debellata da decenni, la ricerca non c’è, mentre questa malattia è tra le prime tre principali cause di morte nel pianeta.
Approfitto per ricordare che ogni 30 secondi muore un bambino a causa della malaria. quanti ne sono morti nel corso di questa intervista?
In Senegal con il “movimento umanista” 2° parte
Senegal il “movimento umanista”
Toubab è il termine che utilizzano per
indicare i bianchi. Tou si riferisce al
rumore dello sparo di fucile e bab al rumore
che fa l’uomo quando cade in terra morto.
di Francesca Cotroneo,
fotografie di Roberto Palumbo
Che consigli daresti ad un viaggiatore che volesse recarsi in Senegal? Principalmente di informarsi e di fare le opportune vaccinazioni.
Non per la malaria, perché come ho già detto non c’è un vaccino ma una profilassi, però le vaccinazioni consigliate sono diverse. È opportuno portarsi vestiti a maniche lunghe di colore chiaro e dormire sotto una zanzariera, non mangiare verdure non cotte e bere solo acqua in bottiglia. Un altro suggerimento è quello del rispetto della cultura del paese nel quale ci stiamo recando, informarsi precedentemente senza correre il rischio di offendere la sensibilità delle persone.
Luoghi turistici sono: la moschea Bianca di Touba “detta così dal nome della città”. è importante fare attenzione per le donne di coprirsi con un velo e di non fumare poichè in città è proibito per una legge cittadina. Il lago Retba, più conosciuto come lago Rosa dal colore delle sue acque, è una depressione salmastra che si estende per circa 10 chilometri lungo la costa settentrionale del Senegal, separato dall’oceano Atlantico da grandi dune di sabbia. Situato a circa 30 chilometri da Dakar, il lago fa parte della Comunità rurale di Sangalkam nel Dipartimento di Rufisque, nella Regione di Dakar.
L’isola di Gorèe a tre chilometri al largo di Dakar, capitale del Senegal, costituisce uno dei centri storici più significativi dell’Africa occidentale. Il suo restauro vorrebbe costituire anche una memoria museografica della tratta degli schiavi. Infatti, per almeno due secoli, l’isola costituì un relais importante nel lungo viaggio delle navi negriere verso le Americhe. Nel 1978 Gorée è stata proclamata “monumento storico dell’umanità” dall’Unesco.
Come è vissuto lo scontro culturale tra Occidente e Islam? se c’è. Lo scontro culturale non è particolarmente sentito, in Senegal c’è una pessima informazione su quello che succede nel mondo. è un paese pacifico, con gente pacifica, a maggioranza musulmana. Lo sguardo che ha la gente verso di te è di grossa considerazione, perché tu lì sei il ricco occidentale o più che altro sei un portafoglio che cammina. Però c’è anche molta diffidenza.
È una diffidenza secolare, basti pensare al termine che utilizzano per indicare i bianchi: “Toubab”. Tou si riferisce al rumore di uno sparo di fucile e bab al rumore che fa l’uomo quando cade in terra morto.
Questo nomignolo risale ai primi incontri che hanno avuto con i bianchi colonizzatori, inutile sottolineare che il rumore dello sparo era del fucile dei bianchi e che il “bab”, gli uomini che cadevano a terra morti, erano loro. Dopo questi primi incontri sono seguiti secoli di catture, stragi, sfruttamento, deportazioni, quando la tratta degli schiavi venne proibita il commercio continuava ugualmente, con la sola differenza che quando una nave veniva intercettata gli schiavi venivano gettati in mare, legati. Si calcola che 50 milioni di africani siano stati deportati e che di questi 50 milioni soltanto 10 siano arrivati in America. Maometto nel suo ultimo discorso ha sottolineato il tema della fratellanza e dell’unione, il che mi fa pensare che il tema dell’integralismo islamico è soltanto una questione di interpretazione di alcune persone come, del resto, potremmo anche parlare di integralismo cattolico.
Sicuramente il mondo occidentale deve molto alla cultura islamica, basti pensare ai filosofi e ai matematici, agli astronomi, a tutto quello che l’Islam ha prodotto quando nella cultura occidentale si attraversava il periodo buio del Medio Evo in cui, a volte, ho l’impressione che stiamo ripiombando.
Questo tema dello scontro culturale tra occidente e Islam è un tema che viene affrontato principalmente da coloro che cercano di fomentarlo; questa ossessiva ricerca di tutto ciò che ci divide, di tutto ciò che è differente tra le nostre culture è portata avanti dai peggiori esponenti delle culture stesse e con i peggiori sentimenti.
Quando succede qualcosa, sono proprio quelli che sarebbe meglio non parlassero affatto ad urlare per primi.
Ed ecco che una piccola cosa diventa un caso internazionale, ecco che si fomenta lo scontro, che il tema viene subito riportato in termini di politica internazionale e interna, che esponenti dei governi propongono misure discriminatorie o restrittive. La ricerca del dialogo, la ricerca di ciò che ci accomuna, non sembra la priorità di queste persone anche se di persone impegnate in questa direzione ce ne sono tante: forse il problema è che il dialogo non fa notizia, in prima pagina troveremo sempre l’informazione, se così si può chiamare, sugli scontri.