Gli storici Raid del coraggio: con
Fiat Panda 4×4.
La destinazione prescelta per
il primo raid è stata l’Africa, con itinerario
da Roma ad Abidjan.
Le Fiat Panda 4×4 superarono ogni difficoltà,
arrivando sull’oceano Atlantico ad Abidjan dopo aver vinto il caldo, la sabbia del Sahara ed i problemi burocratici.
di Lucio Maletti
Il raid Africa Safariland insieme è stato un viaggio di attraversamento dal Mediterraneo di Tunisi fino all’Atlantico di Abidjan compiuto tra il febbraio e il marzo 1985 con una carovana moderna formata da 54 piccole Fiat “Panda” 4×4 e con altre 120 persone in una sfida del deserto organizzata dalla “Safariland”, un “avventuroso” tour operator romano da sempre animato dalle voglie d’Africa. È stata una piccola impresa: e forse la prima volta che una carovana così numerosa ha osato sfidare le insidie sahariane riuscendo ad arrivare indenne fino in fondo.
Una follia? No, piuttosto la prova che a volte basta osare un poco per raggiungere obiettivi che sembrano impossibili.
Prima d’ora le piste del Sahara sono state sempre solcate dalle robuste “Land Rover”: mai dalle “Panda” e mai da un gruppo di 120 persone.
Un viaggio difficile, certo, un’avventura un po’ pazza per chi l’ha organizzata e per chi l’ha vissuta, ma possibile.
Ci sono luoghi al mondo che sembrano creati per ricordare all’uomo quanto è piccolo e come il suo potere sulla natura che lo circonda sia mistero.
È più impressionante questo Tademait che intimidisce solo mostrandosi nella sua potenza statica, che un ambiente selvaggio e ostile.
È piu faticoso affrontare questo altopiano spaventosamente immobile, forse, che lottare per la sopravvivenza dentro una foresta viva.
È una fatica psicologica che opprime e che non si capisce subito: è il riconoscere, con paura, di poter essere annullati dall’immensità.
È forse in questo tratto che si avverte di più il senso di quello che stiamo facendo: la traversata di un luogo infinito che è stato conquistato passo per passo, sofferenza dopo sofferenza.
Oggi la terribile solitudine del Tademait è rotta da una strada rassicurante che appare come un cordone ombelicale di salvezza, ma di qui, sui lastroni di pietra, passavano uomini soli sostenuti soltanto dalle loro forze.
Noi avevamo passato la notte circa a metà strada tra El Golea e In Salah: restano da coprire 200 chilometri di caldo prima di arrivare alla città “insabbiata”.
Tre, quattro ore di marcia, si va in fretta sulla stessa rotta che venne aperta dai pionieri della “Crosiere Noire”, il raid Citroen compiuto nel 1922-1923 partendo da Touggourt, seguendo le antiche piste delle carovane o inventando passaggi tra sabbie sconosciute con l’aiuto di mezzi cingolati.
È arrivata la strada oggi, si è costruito anche un aeroporto discreto a In Salah, ma la città conserva intatto un aspetto antico: è il primo incontro con una città davvero sahariana.
Non sembrano neppure un abitato quelle forme regolari che appaiono tra le piramidi delle dune, ma piuttosto un elemento naturale del paesaggio.
Dune color ocra, case color ocra; oltre le due, tre strade asfaltate del centro, altre strade di sabbia ancora color ocra tra altre case della stessa tonalità sempre piu rade via via che si va verso l’esterno.
È sabbia dappertutto.
Ammucchiata contro i muri dei cortili, contro le pareti delle abitazioni, contro il perimetro della moschea. In Salah (ma si puo anche dire Ain Salah, come recita il cartello sulla strada) va perlustrata nelle sue vie del centro, al mercato (si tiene tutti i giorni e qualche mercante vende oggetti degli artigiani tuareg), intorno alla moschea, nel suo palmeto (170.000 alberi a ovest della città), ma soprattutto negli angoli piu nascosti.
Nelle strade di sabbia si incontrano donne curiose sulla soglia delle case, bambini che vi inseguono per farvi da guida in una città grande come un piccolo quartiere di una piccola città italiana, bambine che fuggono non appena puntate l’obiettivo della macchina fotografica, cammellieri che conducono i propri animali al mercato e in cambio di una foto vi regalano una scena di gioia così autentica da essere toccante.
Una sosta necessaria quella a In Salah per prepararsi psicologicamente ad affrontare 274 chilometri disastrosi che portano alle gole di Arak, dove si può prevedere di fare tappa in un campeggio.
Conviene controllare che la Panda sia in perfetto stato, che l’acqua del radiatore e l’olio del motore siano al giusto livello, soprattutto che la pressione dei pneumatici sia ai valori indicati dalla casa costruttrice, perchè le gomme saranno sottoposte a una lunga tortura.
L’inferno non arriva subito. Si riprende la strada. Per il momento, dalla città insabbiata si va avanti per 274 chilometri senza più preoccuparsi del paesaggio, vivendo essenzialmente una “avventura automobilistica” che è una gara di abilità contro gli ostacoli e il tempo.
Certo, se si procede a 20 chilometri l’ora non c’è nessun pericolo, ma ci vuole un’intera giornata. Così si corre (se questo è correre) per venti, trenta metri tra una buca e l’altra.
Nei tratti meno disastrati addirittura per cento metri, per poi frenare sull’orlo dei piccoli crateri che si aprono nell’asfalto.
Si diventa abilissimi, per necessità, nella gimkana, si diventa bravi a stimare a distanza la profondità della buca, a valutare se si riuscirà a mettere le ruote su quegli stretti passaggi tra una voragine e l’altra.
Gli autori durante i loro viaggi hanno realizzato dei servizi per la rivista: “Avventure nel Deserto”.
Il deserto del Sahara
di Sergio Viana
Il fuoco non si era ancora del tutto spento e noi, attorno alle ultime braci, stavamo bevendo il resto di una bottiglia di grappa misteriosamente saltata fuori dal camion dei viveri. Siamo restati in pochi, i meravigliosi amici che provvedono alla cucina, Apo, ed io. Siamo i soliti. Nessuno di noi, nonostante la fatica, le dodici ore di marcia nel deserto, la polvere che ci ricopre, ha voglia di andare a letto. Gli altri oramai dormono ma, per me, è il momento più bello di tutta la giornata. Ho ancora nel cuore la musica di Apo ed il desiderio, talvolta struggente, di chi amo ed è lontano. Parlo, rido, scherzo con gli altri ai quali mi sono già affezionato come a dei fratelli, perchè con loro divido tutto di questi momenti, ma trepido e sono in attesa che anche loro, vinti dalla fatica, si addormentino. Volpino si è già coricato all’interno del camion, Marini ha smesso di lavorare e mettere a posto. Non cè più nessun rumore, nessuna luce artificiale: resta solo Apo ed il suo eterno cartone di vino. È grande, grosso, forte, è un uomo vero e, come tutti gli uomini veri, è buono e dolce come un bambino. Finalmente anche lui cede, gli occhi gli si chiudono e, senza neppure salutarmi, entra nella sua tenda, come un bambino, si addormenta per terra. Sono solo ma non mi sento tale perchè io sono dentro il deserto e faccio parte di questo meraviglioso e misterioso universo. Anche l’ultimo tizzone si spegne e resto solo, la sabbia ed il cielo intorno a me. Non ho mai visto tante stelle, così tante, belle e luminose: forse soltanto in mare, su una barca, ma è una cosa diversa, perchè sotto di me c’è la sabbia. Mi allontano un po’ dal campo e mi sembra di addentrarmi nell’infinito. Godo di questo momento di beatitudine suprema ed allora nella mia mente ripercorro tutto ciò che ho appena vissuto: la splendida Gardaia che mi ha affascinato come la donna più bella, le gole di Arakkan, terribili e sconvolgenti, la carovana di Tuareg, al confine tra l’Algeria ed il Niger, uscita dal deserto come un sogno che si materializza pian piano. Sono felice per tutto questo! Si è levato il vento e la sabbia mi entra dappertutto, faccio anche fatica a tenere gli occhi aperti, ma sento che quel vento porta la vita, una vita che non si ferma mai. Non so quanto tempo è passato, sta già per albeggiare, io devo dormire almeno qualche ora. Finalmente trovo la mia Panda, la mia tenda dove Paolo dorme profondamente: entro, mi sdraio, ma non abbasso il telo. Fa anche freddo ma io voglio ancora restare sveglio, guardare le stelle, sentire il vento. Adesso capisco il deserto, adesso lo amo, e voglio conservare per sempre questi momenti e queste sensazioni. Mi addormento senza accorgermene, in pace con tutto e con tutti, in una felicità senza ombre e senza confini: solo domani, mi renderò conto di essere tornato sulla terra.