I parchi sudafricani esistono da oltre un
secolo e questo ha portato gli animali
ad una certa tranquillità nei riguardi dei
visitatori. Al tramonto bisogna rientrare
in uno dei recinti che ospitano campeggi,
hotel, supermarket ed altri servizi.
Ma tutti la sera, quando ci si ritrovava al
campo, avevamo qualcosa da raccontare,
qualche emozione da ricordare. Le specie
animali avvistate sono state moltissime.
di Giuseppe Bacci
Il Sudafrica dal punto di vista turistico è da considerare una nuova meta. Infatti decenni di apartheid e conseguente boicottaggio internazionale hanno allontanato in parte il turismo da questa nazione, che invece ha molto da offrire, sia per la natura centroafricana dei suoi parchi, sia per la transizione sociale così particolare che sta attraversando.
Infatti dal 1990, quando Nelson Mandela e De Klerk sancirono la fine dell’apartheid, il Sudafrica è diventato una specie di laboratorio sociale sulla integrazione razziale, con aspetti a volte contrastanti, che vanno da lodevoli iniziative a inevitabili effetti negativi.
Il turismo per questa destinazione sta man mano aumentando, attirato da strutture ricettive (alberghi, ristoranti) ed infrastrutture (strade, supermercati, pompe di benzina, banche) di ottimo livello abbinate ad una fauna ed una flora estremamente varie (elefanti, leoni, rinoceronti, baobab oltre a balene e pinguini).
Ma veniamo al nostro viaggio dello scorso agosto, abbiamo messo insieme un bel gruppo di viaggiatori camperisti, che ci hanno ancora una volta accordato la loro fiducia per organizzare questa avventura.
L’itinerario attraversa il Sudafrica da Città del Capo a Johannesburg, da percorrere con 14 camper presi in affitto, formando un gruppo eterogeneo di 37 persone da 9 ad oltre 70 anni.
Io e Sara siamo venuti 10 mesi prima per preparare l’itinerario e così non abbiamo avuto problemi a coordinare spostamenti e servizi di un gruppo relativamente grande.
Arrivati in aereo a Cape Town abbiamo passato due notti in un hotel del centro, visitando la città ed effettuando anche un giro in bus in uno dei sobborghi, le cosiddette township.
Per capire questo aspetto del Sudafrica, bisogna ricordare il periodo dell’apartheid.
In questa nazione solo il 13% della popolazione è bianca, mentre il 75% sono neri di origine africana (principalmente di etnie bantu), il 3% sono gli asiatici, per lo più indiani, mentre il rimanente 9% sono i cosiddetti “coloured”, cioè tutti quelli non classificabili come bianchi, neri o gialli, principalmente si tratta di meticci.
Con una popolazione composta in una percentuale minima da bianchi, ma i soli ad avere diritto di voto, negli anni 50 il governo varò le leggi si cui si basò il successivo lungo periodo dell’apartheid cioè della segregazione tra bianchi, coloured e neri.
Per molti bianchi, discendenti dei primi coloni calvinisti, qui giunti in seguito a persecuzioni in Europa, si trattava di formalizzare legalmente quel dono di terra promessa fatto loro da Dio in quanto popolo eletto, e non solo un comodo mezzo per fare in modo che la loro minoranza mantenesse il totale controllo dell’economia e delle ingenti risorse naturali della nazione.
La vista del museo del Distrect Six ci ha fatto conoscere uno degli episodi del periodo dell’apartheid, che come dicevamo è terminato nel 1990.
In questa zona della città, abitata da lungo tempo, convivevano senza problemi diverse etnie, vi erano commercianti, piccoli imprenditori, impiegati, molti dei quali erano proprietari delle loro case, costituite anche da moderni condomini, insomma non certo un quartiere malfamato o fatiscente.
Amicizie e matrimoni si intrecciavano anche tra razze diverse, ma si dice che il governo non vedesse di buon occhio un esempio di integrazione razziale nel centro della città e quindi decretò che il quartiere dovesse diventare riservato ai bianchi.
Infatti l’apartheid prevedeva la separazione tra le popolazioni, che veniva attuata vietando il libero movimento (a neri e coloured) fuori dalle proprie zone, salvo permessi speciali rilasciati dalla polizia.
Così gli abitanti vennero rimossi a forza, le case confiscate ed abbattute con ruspe, per far posto al nuovo quartiere. In effetti vi fu un movimento di opinione pubblica, anche tra i bianchi, contro la distruzione del quartiere 6, ed alla fine la maggior parte dei costruttori rinunciò alla riedificazione temendo sabotaggi e mancanza di acquirenti.
Particolarmente toccanti le descrizioni delle guide del museo, ex abitanti del quartiere, che spiegano come il governo decidesse dall’aspetto a quale dei tre gruppi assegnare le persone: bianchi, colorati o neri.
L’assegnazione deportava le persone verso quartieri periferici diversi, e quindi poteva significare separazione tra moglie e marito o assegnazione di figli ad un genitore piuttosto che all’altro.
Per rivedere periodicamente coniuge e figli, oltre a percorrere decine di km, occorreva la continua richiesta di permessi speciali alla polizia.
Ma tutto questo era considerato normale in periodo di apartheid: le razze non dovevano assolutamente essere mescolate, le coppie miste punite col carcere.
Oggi il governo ha varato un piano di ricostruzione e restituzione delle case agli abitanti del distretto 6 che desiderino tornare, ed anche un piano di riqualificazione dei quartieri periferici, le township.
Così dopo aver visto le foto ed i cimeli nel museo del Distrect six, siamo andati a vedere la township di Langa dove vennero trasferiti gli abitanti neri.
Le abitazioni popolari fatte allora dal governo sono state ripulite e restaurate, e le case originali di una sola stanza (concepite per un solo lavoratore senza la famiglia) vengono ora accorpate per poter essere utilizzate da nuclei familiari.
Infatti un’altra politica seguita durante l’apartheid era quella di far giungere manodopera nera nelle città senza le famiglie che dovevano restare nelle campagne di origine.
Così si vedono spesso ai margini delle città interi quartieri di baracche, ma molto diverse da quelle di altre parti nel mondo, perché costruite dallo stato, tutte uguali, disposte regolarmente, due metri per due con tetto in lamiera, una sola stanza dormitorio, mentre acqua e servizi igienici sono in comune a tutto il blocco.
Questa terra deve avere qualcosa di speciale se è vero, come è vero, che qui a Durban, dove visse 20 anni, Ghandi iniziò nel 1896 la sua lotta ed il suo impegno non violento, e che due premi nobel (Nelson Mandela del 1993 e Desmond Tutu del 1984) abitano nella stessa strada a Soweto, ed anche il primo ministro bianco De Klerk è stato insignito del prestigioso premio.
La fine delle sanzioni, la partecipazione agli eventi sportivi mondiali, le olimpiadi che nel 2010 si terranno in Sudafrica, sono oggi motivo di orgoglio per questa popolazione così eterogenea ma così determinata nella ricerca di un equilibrio soddisfacente per tutti.
Dopo aver preso in consegna i nostri camper, abbiamo lasciato Cape Town per una prima escursione alla penisola del capo. Siamo venuti così a conoscenza che la penisola è un parco naturale che conserva la grande peculiarità di piante ed animali caratteristici di questa zona.
Contrariamente a quanto si crede il Capo di Buona Speranza non è il punto più a sud dell’Africa.
Per la verità il punto più a sud dell’Africa è Cape Agulhas circa 150 km più a sud-est, ed anche il punto estremo della penisola del capo, con il faro, si chiama Cape Point, mentre Capo di Buona Speranza è un piccolo promontorio di poco più a sud, ma era quello che segnava la virata verso est per le navi dirette verso le Indie.
Più dei babuini, delle antilopi, degli uccelli e delle piante che popolano la zona, siamo stati colpiti dalla colonia di pinguini che abita le due spiagge di Boulders.
Questi graziosi uccelli nuotatori si possono facilmente osservare nel loro ambiente naturale, anzi in una delle due spiagge è consentita anche la balneazione ed i pinguini, ormai abituati agli uomini, possono essere avvicinati senza problemi anche in acqua.
Ma per noi che siamo venuti in agosto, cioè in pieno inverno, non era il caso di seguire i pinguini in mare…
Un poco deludente invece la sosta ad Hermanus, dalla cui scogliera abbiamo avvistato alcune balene, ma abbastanza lontane. Il nostro itinerario proseguiva quindi verso l’interno, sulla cosiddetta Scenic Route, lungo la quale abbiamo ammirato, o meglio gustato, la produzione di vini pregiati della zona (negli ultimi anni il Sudafrica riesce a competere con Francia ed Italia nei premi internazionali per vini pregiati).
Poi dopo la sosta in un grazioso paese con le case in stile vittoriano, abbiamo fatto una deviazione per percorre una suggestiva gola che offre splendidi scorci fotografici con le sue aloe che anche in inverno producono grandi infiorescenze rosso fuoco.
Altra tappa ad Oudtshorne dove abbiamo visitato un allevamento di struzzi, apprezzando le doti e le stranezze del più grande uccello esistente. Tornati verso la costa per una sosta a Knyshna, con la laguna famosa per gli allevamenti di ostriche, ci siamo fermati nel parco di Tsitsikamma, dove si campeggia in riva al mare, osservando le balene di passaggio, le grasse procavie (animali simili a grossi criceti), le lontre e gli uccelli marini.
Purtroppo un incendio aveva temporaneamente reso inagibile il sentiero che porta alla gola, altra attrazione naturale del luogo.
Intanto il clima abbastanza freddo, che all’inizio variava tra le nuvole e la pioggia e qualche sprazzo di sole, si era fatto sempre più mite, man mano che andavamo verso nord.
Siamo arrivati verso la fine del viaggio a toccare il tropico del Capricorno nel parco Kruger, dove il sole ed il caldo sono la regola. Ma spesso le notti sono state fredde, anche perché una parte dell’itinerario si è svolto ad altitudini di 800-1000 metri.
Dopo il parco di Tsitsikamma siamo giunti all’Addo Elephant Park, il primo parco nazionale con fauna “africana”.
Come dice il nome questo parco è famoso soprattutto per il gran numero di elefanti che lo abitano, e che facilmente possono essere osservati in grandi branchi di decine di individui, dai cuccioli timorosi tra le zampe delle madri, ai giovani sottomessi alle gerarchie del gruppo, ai grandi maschi anziani, che guidano sicuri gli altri attraverso la vegetazione fino alle pozze d’acqua.
Durante il nostro itinerario abbiamo visto diversi parchi nazionali abitati da grossi carnivori e grandi erbivori, come Hluhluwe, Milwane in Swaziland e soprattutto il Kruger, il più grande, famoso ed antico dei parchi africani.
Ma voglio spiegare come funzionano i parchi sudafricani, che differiscono nell’organizzazione da altri parchi centrafricani, come quelli in Kenia o in Tanzania.
Qui il visitatore entra con il suo mezzo di trasporto e deve rispettare alcune semplici regole: – non superare la velocità di 40 o 50 km/h – percorre solo le strade segnate (molte asfaltate, altre in terra battuta) – non scendere mai dall’auto o dal camper, non aprire le portiere (i leoni a volte hanno fame…) – non infastidire gli animali con rumori, clacson, grida o altro per attirare l’attenzione.
Alcuni dei parchi sudafricani esistono da oltre un secolo e questo ha portato gli animali ad una certa tranquillità nei riguardi dei visitatori.
Essi non si allontanano dai turisti, anzi a volte si avvicinano moltissimo alle auto, anche perché sanno che basta loro allontanarsi dalla strada per non essere seguiti.
Si può pensare che gli incontri, visto che debbono per forza avvenire sulle strade, siano rari, invece è un continuo di osservazioni, anche perché le strade strategicamente passano vicino ai fiumi ed alle pozze di acqua dove gli animali devono recarsi per bere.
Al tramonto bisogna rientrare in uno dei recinti che ospitano campeggi, hotel, supermarket ed altri servizi. I recinti sono a prova di elefante, fatti con robusti pali che sorreggono cavi da ascensori ed inoltre hanno fili con corrente elettrica.
Comunque per meglio usufruire del parco ci siamo separati in modo che la sosta per l’avvistamento di animali non impedisca ai camper seguenti di osservarli.
In pratica gli avvistamenti sono del tutto casuali, magari un certo momento ti attraversano la strada 10 elefanti e 5 minuti dopo non si vedono più, nascosti dal folto della boscaglia.
Così a qualcuno è capitata una leonessa che viene incontro al camper lungo la strada asfaltata, ad altri di assistere ad un tentativo di caccia ad un bufalo da parte di un gruppo di leoni, altri ancora all’abbeverata di 30 elefanti tutti insieme.
Ma tutti la sera, quando ci si ritrovava al campo, avevamo qualcosa da raccontare, qualche emozione da ricordare. Le specie animali avvistate sono state moltissime: ad esempio facoceri, impala ed altre antilopi si vedevano continuamente, anche elefanti, bufali, zebre, giraffe, gnu, kudu, ippopotami, coccodrilli sono stati abbastanza comuni, mentre l’incontro di leoni e rinoceronti è meno comune, ed ancora più raro quello con leopardi e ghepardi.
Oltre che girare a caso per le strade dei parchi, un’altra tecnica era fermarsi ad un punto di abbeverata ed attendere, cosa che in camper era facilitata dalla possibilità di cucinare e mangiare durante la sosta. Si apprezzavano così tutti i comportamenti, a volte anche complessi, degli animali selvatici.
Gli elefanti per esempio si dividono in due gruppi, mentre i primi bevono, gli altri si guardano intorno, per poi scambiarsi i ruoli.
Tra animali di specie diverse c’è una gerarchia che determina la precedenza nel bere.
Ad esempio un impala si scosterà dalla pozza all’arrivo degli elefanti, mentre i leoni hanno la precedenza su tutti.
Gli uccelli invece sono i primi a percepire l’avvicinarsi di un animale: osservandoli saprete predire l’arrivo di qualche avvistamento.
Un altro parco dove abbiamo sostato è l’estuario di Santa Lucia, dove abbiamo fatto in barca un’escursione lungo il fiume: coccodrilli, un nutrito branco di ippopotami, aquile pescatrici dal petto bianco ed il rostro giallissimo, aironi ed altri volatili si sono mostrati ai nostri occhi ed alle nostre fotocamere.
La sera in paese abbiamo anche incontrato un cucciolo di ippopotamo che passeggiava per le aiuole brucando l’erba, per la gioia dei bambini e dei turisti.
Abbiamo poi attraversato lo Swaziland dove abbiamo assistito ad una danza rituale in un villaggio dalle caratteristiche capanne coniche fatte di paglia e rami.
Questa nazione è una monarchia che mantiene vive diverse tradizioni della cultura autoctona, anche se è organizzata come un moderno stato.
Pur essendo uno stato meno ricco del suo vicino (motivo che ha favorito la sua indipendenza), certamente la vita per la popolazione in questa piccola monarchia è molto più dignitosa di quella che i bianchi offrivano in Sudafrica durante l’apartheid.
Questo non toglie che ci ha fatto uno strano effetto vedere alle pareti dei negozi le immagini che ritraggono il re Mswati III come un muscoloso giovane vestito con una pelle di leopardo, ma questo fa parte di quelle tradizioni che qui non sono state sradicate.
Che effetto faranno a loro le parrucche dei lord inglesi o i vestiti da antico romano del nostro papa?
Dopo l’ultimo grande parco, quello del Kruger, ci siamo ritrovati una zona montuosa solcata da profonde vallate che offrono diversi scorci panoramici, da un lato verso le calde pianure che degradano verso il Mozambico, dall’altra sulle valli con le numerose cascate e sullo spettacolare Blyde Canyon.
Ultime tappe del viaggio il grazioso villaggio di Pilgrims Rest, rimasto come ai tempi della corsa all’oro, la miniera Cullinan, uno dei più prolifici giacimenti di diamanti del mondo, e la grotta di Sterkfontain, al centro di una serie di ritrovamenti di ominidi preistorici di oltre 3 milioni di anni fa, tra cui l’australopiteco africano detto “Mrs Ples”. Non mi resta che aggiungere qualche nota utile a chi voglia ripetere questa esperienza.
I camper in affitto erano buoni, non abbiamo avuto nessun guasto meccanico, ma con alcune caratteristiche per noi incomprensibili.
Non avevano per esempio il serbatoio di recupero delle acque grigie (l’acqua cade per terra o va raccolta in un recipiente), non avevano stufa, solo alcuni avevano un condizionatore a pompa di calore che poteva riscaldare, ma solo se si aveva l’allaccio alla corrente.
Per la guida ci sono i problemi legati al fatto che si guida come gli inglesi a sinistra, quindi usando la leva del cambio con la mano sinistra.
I sudafricani sono abbastanza rispettosi delle regole, ma decisamente veloci: su una normale strada montagnosa di ampie curve il limite è di 100 o anche 120 km/h, e molti di loro riescono a superarlo.
Per i ristoranti non vi sono problemi, ma consigliamo quelli della catena Ocean Basket, specializzata in squisiti e abbondanti piatti di crostacei.
Particolare la diffusione in tutto il sudafrica di piatti della cucina greca, come l’insalata greca, e lo zarziki. Originario di qui invece il billtong, alimento di carne secca, inventato dai primi coloni come scorta durante i lunghi viaggi nei climi caldi ed ormai di moda in tutti i paesi anglosassoni inclusi gli Stati Uniti.
I costi in generale sono un poco più bassi dell’Italia, compreso il carburante.
La malaria è stata quasi debellata, ma rimane qualche caso in alcune zone vicine al confine con altri stati, tra cui il parco Kruger ed il parco Santa Lucia.
Nel nostro caso non abbiamo voluto rischiare ed abbiamo fatto la terapia antimalarica, anche se, essendo l’inverno la stagione secca, di zanzare non se ne sono praticamente viste.
Per quanto riguarda la sicurezza, spesso si sente ripetere che vi è una crescente criminalità.
È chiaro che da questo punto di vista i quartieri blindati dei bianchi durante l’apartheid erano una garanzia: se in un quartiere possono girare solo i ricchi (i bianchi sono praticamente tutti benestanti) è difficile che vi rubino l’autoradio o che penetrino nel vostro appartamento.
Oggi non vi sono più quei limiti e quindi il crimine si è esteso anche ai quartieri bianchi. In particolare sono in aumento le rapine ai turisti, quindi la regola è non avere con sé documenti, avere pochi soldi, non mostrare gioielli, orologi di valore, macchine fotografiche e soprattutto non reagire in caso di rapina ma consegnare tutto. In realtà la stragrande maggioranza della popolazione è molto cordiale e non crea problemi, le zone pericolose sono nelle città, soprattutto a Pretoria e Jhoannesburg, mentre a Cape Town la zona del centro è considerata sicura.
Noi abbiamo cercato di minimizzare i rischi del nostro viaggio, e quindi non abbiamo visitato Johannesburg (che non presenta molto interesse), ed abbiamo scelto accuratamente i percorsi a piedi nel centro di Pretoria e di Cape Town. Insomma nessun segno di rischi, ma bisogna dire che avevamo sentito diversi racconti di turisti rapinati.
E diversi condomini ed abitazioni usano recinzioni elettrificate ed espongono cartelli che ammoniscono sulla difesa “armata”della casa (tramite guardie private).
L’impressione generale è comunque che dal punto di vista della sicurezza il Sudafrica di oggi sia paragonabile agli Stati Uniti dove abbondano quartieri ghetto e non sono rari episodi di delinquenza, ma non è un motivo sufficiente per rinunciare ad un viaggio in questa splendida destinazione.
Magari alla guida di un camper in affitto come abbiamo fatto noi. Se volete partecipare ai nostri viaggi: contattateci su www.camperisti.it oppure telefonate allo 06-82004510.