La coppa dell’olio rotta. Tunisia
Dopo le leggende e le storie vere
fatemi aggiungere qualche
esperienza di viaggio.
di Giuseppe Bacci
Siamo in Tunisia da alcuni giorni, e la stiamo girando con una vecchia Fiat 850, che risente un po’ del caldo: per aiutare il radiatore dobbiamo tenere acceso il riscaldamento interno.
Abbiamo percorso già la pista del Chott ed anche quella da Tozeur a Tamerza. Sono piste larghe, in terra battuta molto compatta, solo qualche buca può creare problemi. Ma il paesaggio desertico ci affascina e così decido di fare una pista che dalla zona mineraria di Metaloui va verso nord passando vicino al confine Algerino.
La strada è molto diversa dalle altre piste, è stretta, a volte sabbiosa e la fedele 850 è a pieno carico, anche perché abbiamo con noi Gianni, un simpatico autostoppista milanese. è la prima volta che vengo in Africa, e non sono certo esperto di piste; inoltre la carta Michelin ha un errore nel chilometraggio che mi fa pensare di essere quasi arrivato all’asfalto quando la pista comincia a peggiorare.
Tornare indietro sarebbe una perdita di tempo e così avanzo tra passaggi sempre più difficili. Le vicine miniere di fosfati formano una polvere bianca impalpabile che si ammucchia nei punti più bassi, ed a volte è così spessa che arriva fino al paraurti e la mia auto vi passa attraverso come se fosse un liquido, tra sbuffi di polvere. Oggi so che non bisogna mai ragionare in termini di chilometri fatti e chilometri che mancano: se gli ultimi cento metri sono impraticabili bisogna per forza tornare indietro.
Ed ecco che mi trovo davanti un guado di sabbia: per non impantanarmi accelero e passo, ma vi è un avvallamento, la macchina sobbalza e sento un colpo sul motore posteriore.
Scendo appena in tempo per vedere l’ultima goccia di olio cadere dal motore, ed accorgermi che la sabbia nascondeva delle pietre usate da qualcuno insabbiatosi prima di me.
Siamo bloccati su una strada dove nell’ultima ora non abbiamo incontrato nessuno, in un’ampia vallata invasa da sterpi ed arbusti, ed il sole di agosto picchia implacabile. Non abbiamo il tempo di preoccuparci che appaiono due ragazzi in motorino, che ci consigliano di andarci a riparare sotto un ponte della ferrovia mineraria distante un paio di chilometri e ci offrono da bere l’acqua della loro ghirba. Per fortuna abbiamo la nostra acqua minerale, perchè la loro ghirba è fatta con una lattina in plastica da olio da motore rivestita con tela di iuta bagnata. è fresca ma immagino che abbia un certo gusto di petrolio.
Non potendoci aiutare se ne vanno, ma dopo poco vediamo arrivare all’orizzonte un furgone blu. Sono dei tunisini che stanno andando ad un matrimonio, infatti dentro il furgone vi sono 15 donne che vanno nella casa della sposa, mentre gli uomini andranno dallo sposo. Mi chiedono se ho un cavo di traino, e ripartiamo a rimorchio, ma fatte poche centinaia di metri il mio cavo si rompe, anche perché i passaggi sabbiosi peggiorano e spesso occorre strattonare per tirare fuori la mia auto.
Alla fine dell’avventura scoprirò che il muso si è deformato e la mia auto si è allungata di 10 centimetri! I nostri amici non si scompongono, indicano un punto all’orizzonte e dicono che lì vi è la casa di un loro amico. Io non vedo nulla nel paesaggio piatto, ma dopo quasi un’ora sono di ritorno con un cavo più robusto del mio.
Alla fine giungiamo a Sidi Bou Baker, piccolo villaggio vicino alla frontiera, dove scopriamo che il meccanico non c’è mai stato, ed il fabbro è emigrato in Argentina.
Veniamo però invitati al matrimonio, o meglio alla festa che precede il matrimonio: per noi viene fatta un’eccezione, infatti per non separarci anche Sara verrà con noi a casa dello sposo. E così seduti per terra (nel senso che il pavimento è di terra con qualche stuoia sopra) ci portano il couscous, cioè la farina di semola con sopra pezzi di montone grasso e stoppaccioso, senza nessun condimento.
Non possiamo rifiutare e così mastichiamo sforzandoci di non pensare alle condizioni igieniche della cucina, nè possiamo rifiutare l’acqua da bere dalla ciotola comune, dove si vedono galleggiare pagliuzze e peli di capra. Io sono preoccupato per l’auto, ma Gianni per fortuna è di buon umore e riesce a mangiare a sufficienza per far capire che abbiamo gradito il pasto offerto dai nostri ospiti.
Dopo il pranzo due poliziotti ci invitano a stare da loro, infatti vi è un piccolo posto per il controllo della frontiera. Per riparare l’auto occorre smontare la coppa dell’olio, cercare un passaggio per arrivare a Gafsa (50 km di cui 15 di pista) cercare il pezzo di ricambio (quasi impossibile senza ordinarlo) oppure trovare un fabbro e cosa più difficile, trovare il modo di ritornare. Quando mi accingo a smontare la coppa dell’olio mi accorgo di avere per caso nella cassetta dei ferri qualcosa che non avrei mai portato: una matassina di stagno da saldatura.
Così mi butto sotto l’auto, smonto la coppa, cerco di tenere coperto l’interno del motore per ripararlo dalla polvere che un forte vento continua a sollevare. Ormai è sera e decidiamo di aspettare la mattina per decidere se tentare la riparazione da soli o cercare di raggiungere Gafsa con il pezzo.
Mentre io lavoro Sara ha modo di osservare il posto dove ci troviamo: non esiste corrente elettrica, né tantomeno telefono. Il bagno della piccola caserma è esterno: un casottino con un buco nel terreno: quando dobbiamo usarlo scopriamo che un grosso rospo vi alloggia, perché in agosto è l’unico posto umido. La sera offriamo qualche scatoletta ai poliziotti, infatti la loro cena è di sola frutta.
La mattina decido per il fai da te: raddrizzo alla meglio i bordi dello squarcio e lo saldo con lo stagno sul fornello da campeggio. Ho molta fortuna con la guarnizione che riesco a riutilizzare quindi rimonto il tutto.
Un poliziotto fa un giro tra le case e rimedia 3-4 litri di olio da motore tra diesel e benzina. Paghiamo qualcosa per il traino, regaliamo una pipa ed una torcia elettrica ai poliziotti e ripartiamo, ripromettendoci di sostituire la coppa appena possibile. In verità la fedele 850 continuerà ad andare con la coppa saldata per tutto un anno, fino a quando, a causa del furto dell’auto nuova 15 giorni prima della partenza per la Turchia, non sarà chiamata di nuovo a dover fare un viaggio all’estero. Ma questa è un’altra storia.