Arriviamo così agli edifici della frontiera.
Con le buone maniere si ottiene tutto!
Questa storia, assolutamente vera,
insegna alcune cose comuni a
quasi tutto il mondo arabo.
di Giuseppe Bacci
Libia – Gennaio 1996. Mi trovo a Rass Ajdir e stiamo per uscire dal territorio libico.
Sono un paio di anni che la Libia ha aperto le frontiere al turismo, così questa volta abbiamo trascorso il Capodanno nella Jamahiriya. Alcuni chilometri prima di arrivare alla frontiera abbiamo trovato una fila di vetture che si dirige verso la Tunisia, infatti l’embargo impedisce il traffico commerciale per nave o per aereo e quindi tutti i generi di importazione devono passare da questa frontiera.
Per fortuna quando accenno ad accodarmi, gli ultimi della fila mi fanno cenno di sorpassare tutti: l’ospitalità verso il turista mi risparmia una fila di molte ore (i turisti per loro fortuna sono pochissimi). Arriviamo così agli edifici della frontiera. In effetti non vi sono edifici in muratura, ma solo qualche container ed una tettoia.
Mi spiegano che Ghedaffi ha, qualche tempo prima, fatto un discorso sull’unità del popolo arabo ed ha deciso di abolire le frontiere con la Tunisia.
Subito alcune ruspe sono giunte ad abbattere tutti gli edifici per abolire la dogana, ma poi, senza un trattato con la Tunisia e precisi accordi, si è dovuto ripristinare la frontiera, allestendo dei locali di fortuna. La prima cosa da fare è il controllo passaporti, ad un casotto dove c’è una fila di circa 50 persone.
Visto che mi hanno fatto superare tutta la fila di macchine incomincio a pensare che forse posso anche superare questa fila. Quindi con i passaporti in mano ben in vista, sorridendo a destra ed a sinistra incomincio ad aggirarmi intorno allo sportello, tenendo mia figlia di 5 anni per mano. Mentre faccio la faccia di quello un po’ spaesato che non sa cosa deve fare, arriva un gruppetto di tre donne che si mette in fila.
Nel mondo musulmano le donne hanno la precedenza (tanto si allontanano da casa solo raramente), ma in questo caso la ressa accalcata davanti allo sportello ha qualche esitazione ad aprirsi per far passare le donne.
Si avvicina un poliziotto che urla qualcosa in arabo, la fila cerca di allinearsi, ma il poliziotto si sfila la cintura ed inizia a darla con forza contro le schiene di quelli in fila. Poi prende un malcapitato quasi arrivato allo sportello, ma che sporge dalla fila, e lo mette in fondo (dovrà rifare oltre un’ora di attesa): in pochi secondi ottiene una quasi perfetta fila indiana, con le donne davanti allo sportello. Io resto allibito, mi preoccupo per mia figlia, e decido di allontanarmi per tornare più tardi a fare la fila, ma il poliziotto, che si è appena rimesso la cintura, con un sorriso smagliante si avvicina, prende i passaporti e mi accompagna nell’ufficio dalla porta posteriore.
In un attimo ho i miei timbri, non mi resta che restituire la targa ed uscire da questo paese di forti contrasti. Questa storia, assolutamente vera, insegna alcune cose comuni a quasi tutto il mondo arabo.
La prima è che la polizia ha un potere molto al di sopra delle leggi; il poliziotto è una persona importante che ci tiene al suo ruolo e di fatto bisogna dargli sempre ragione, solo un superiore lo può contraddire.
La seconda è che l’arabo è fatalista: se Allah vuole che faccia due volte la fila non posso farci niente ed in fondo non è neanche colpa del poliziotto. La terza è che per fortuna il turista viene molto considerato, vale meno di un poliziotto, ma molto di più di un arabo qualsiasi, almeno finché non parla male della polizia o del governo. Conclusione: in Libia, se avete una moglie, mandate lei a fare le file…