La fonte sgorgava
dal terreno con un
abbondante
flusso d’acqua
limpidissima
e calda che
alimentava
una grande
piscina naturale
dove era
piacevolissimo
fare il bagno.
di Giuseppe Bacci
Era il 31 dicembre del 1994 quando arrivai per la prima volta in camper nell’oasi di Ksar Ghilane.
Da alcuni anni io, mia moglie ed i bambini venivamo a trascorrere il Capodanno nel tepore della Tunisia, ed avevamo sentito vagamente parlare di quest’oasi nel profondo sud da raggiungere in fuoristrada.
L’anno precedente avevamo incontrato sulla nave del ritorno un camperista milanese che vi era arrivato, anche se non aveva saputo darmi molte informazioni sulla strada da fare, perché aveva seguito un suo amico che ci era già stato.
Così quella volta scendemmo verso sud decisi a tentare di raggiungere l’oasi.
Sapevamo che bisognava percorre la pista dell’oleodotto, che da Gabes punta verso sud incrociando la strada asfaltata nei pressi di El Hamma, ma quando chiedemmo notizie sullo stato della pista tutti ci dissero che c’era troppa sabbia per un mezzo come il nostro. Alcuni ci consigliarono di prendere una pista laterale da Matmata.
A Matmata trovammo un ragazzo locale che stava per accompagnare degli altri turisti in auto a Ksar Ghilane e che avrebbe portato anche noi, bastava ritrovarsi alle 15.00 all’hotel del Touring.
Arrivammo puntuali, ma aspettammo invano: forse qualcosa era andato storto, o forse l’hotel non era quello giusto.
Si erano fatte le 16, il sole non sarebbe durato a lungo e l’oasi distava 100 chilometri di pista.
Decidemmo però di tentare ugualmente anche senza guida, e dopo qualche difficoltà trovammo l’imbocco di una stradina sassosa che ci avrebbe dovuto portare verso occidente fino alla pista dell’oleodotto.
La strada non era molto brutta, ma era abbastanza stretta e con molti sassi, così impiegammo oltre un’ora a raggiungere l’oleodotto. Mi dovevo orientare con le basse colline che vedevo all’orizzonte, o cercando di distinguere la strada più battuta, poiché vi erano diverse diramazioni senza segnali ed in giro non c’era nessuno.
Alla fine scendemmo nell’ampia vallata percorsa dall’oleodotto, che era interrato ma riconoscibile per i segni dello scavo che affiancano la pista larga circa 10 metri.
Ma il tempo stringeva, il sole stava calando ed eravamo ancora a metà percorso.
Ci dirigemmo verso sud, lungo la pista diritta e facilmente riconoscibile, a volte interrotta da grosse buche ed ogni tanto invasa da molta sabbia accumulata dal vento, specialmente dove attraversava gli ouadi, caratteristici fiumi secchi.
In quei casi mettevo una marcia bassa, acceleravo e cercavo di passare di slancio, altrimenti bisognava lavorare di pala e pedane.
Era ormai buio quando arrivammo alla diramazione per l’oasi, dove un arabo incontrato diversi chilometri prima ci aveva detto che c’era un segnale.
Per puro miracolo riuscii a vedere al crepuscolo il cartello, appoggiato a terra non più grande di 20 cm e scritto a mano malamente.
Eravamo abbastanza preoccupati, non contavamo di impiegare oltre 3 ore per fare 100 km, e la pista era ormai una rete di biforcazioni che poi convergevano su se stesse, ma senza mai essere certi che non vi fossero dei bivi.
Era molto tempo che non incontravamo nessuno, ma ci consolava il fatto di sapere che in camper avevamo tutto quello che ci serviva per passare la notte per strada.
Finalmente vedemmo la luce di un’auto lontana e questo ci rinfrancò: dopo un quarto d’ora i fari del camper illuminavano le povere case di un villaggio senza nessuna luce (all’epoca non vi erano generatori di corrente) e poco oltre si stagliavano le sagome delle palme dell’oasi.
Mi avevano detto che dentro l’oasi c’era una specie di campeggio, così rischiando di insabbiarmi mi infilai tra le palme cercando un posto dove pernottare. Alla fine vedemmo un fuoco acceso e delle persone che ci confermarono di essere giunti al campeggio.
Ci fermammo e ricordo che il nostro camper brillava di luce nel campeggio illuminato solo dal fuoco e da qualche candela su un tavolo dove un gruppo di turisti, giunto dagli alberghi della costa con i fuoristrada, stava mangiando. La mattina dopo esplorammo l’oasi che era veramente splendida.
Era un rettangolo di poco più di un chilometro quadrato di palme da dattero, con sotto alberi da frutto e piccoli appezzamenti coltivati a cereali.
La fonte sgorgava dal terreno con un abbondante flusso d’acqua limpidissima e calda che alimentava una grande piscina naturale dove era piacevolissimo fare il bagno.
Scoprimmo che questo luogo era preferito da chi attraversava il deserto in moto o fuoristrada perché dopo molti giorni passati senza lavarsi potevano finalmente togliersi sabbia e polvere di dosso.
La mattinata di Capodanno era abbastanza fredda e la polla ed i canali che partivano per irrigare l’oasi emettevano vapore dando un tocco di mistero al paesaggio.
In effetti vi doveva essere qualcosa di magico in quella sorgente che sgorgava ai margini di un mare di dune, ben dentro il deserto, su una zona elevata e senza montagne visibili nei dintorni.
Ma le meraviglie non erano finite, perché dopo il bagno ci spostammo di pochi metri per uscire fuori dall’oasi ed ammirare la distesa di piccole dune di sabbia dorata che si stendevano fino all’orizzonte.
In mezzo si intravedeva una collinetta con delle mura in cima.
Percorremmo così a piedi 2-3 chilometri in mezzo alle dune, ammirando i loro profili sinuosi e le piccole ondulazioni della sabbia che il sole metteva in evidenza, fino a giungere alle rovine. Era un forte romano, che aveva dato il nome all’oasi (Ksar in arabo: fortezza), messo a guardia del deserto per difendere le fertili terre del nord ed utilizzato successivamente dalla legione straniera.
Ci affacciammo dagli spalti sull’immenso paesaggio di sabbia e sull’oasi che formava una chiazza verde all’orizzonte.
Non potemmo fare a meno di pensare al legionario che molti secoli prima aveva scrutato l’orizzonte come noi chissà quante volte, guardando verso sud dove le antiche carte riportavano la scritta “Hic sunt leones” e da dove popoli fieri come i Berberi o i Garamanti potevano attaccare all’improvviso.
Sotto le mura in mezzo alla sabbia giaceva abbandonata la torretta di un blindato con alcuni fori di proiettili che ne avevano attraversato la spessa corazza e che ci ricordarono che anche in tempi più recenti questi sono stati luoghi di battaglie.
Eravamo persi in questi pensieri quando vedemmo sopraggiungere una piccola carovana. Erano due signore francesi che avevano preferito raggiungere Ksar Ghilane da Douz a piedi, attraversando in una settimana di cammino le dune, accompagnate da una guida e dai cammelli per portare i bagagli. Giunte al forte si erano ritrovate con un gruppo di motociclisti italiani, che mi raccontarono come le avevano conosciute la sera prima.
Anche il gruppo di moto da deserto veniva da Douz, ma il buio li aveva sorpresi prima di giungere all’oasi. Sapevano di essere vicini e così avevano deciso di proseguire anche senza luce, pur non avendo né bussola né GPS. Dopo poco avevano incontrato il bivacco notturno delle signore francesi e la guida araba aveva confermato che l’oasi era vicina e indicato loro la direzione da prendere. Avevano passato diverso tempo a scavalcare dune per proseguire nella direzione indicata, ma quando finalmente avevano visto un chiarore, con molto stupore si erano accorti di aver di nuovo raggiunto il bivacco delle signore francesi. Senza rendersene conto avevano girato in tondo per più di un’ora e così non era rimasto loro altro da fare che fermarsi a dormire in quel punto! La mattina dopo con la luce avevano mantenuto la direzione giusta ed erano finalmente giunti al forte. Dopo quell’anno sono ritornato più volte a Ksar Ghilane, a passare il Capodanno tra le dune ed a festeggiare con razzi e fuochi d’artificio insieme a motociclisti, fuoristradisti e camperisti provenienti da tutta Europa. Sono tornato anche per accompagnare gruppi di camper, ed è sempre stata una soddisfazione riuscire a passare i guadi di sabbia e raggiungere l’oasi con il proprio mezzo, ma certo non posso dimenticare l’emozione della prima volta. Oggi la nuova strada asfaltata da Douz a Matmata rende più semplice l’accesso alla pista, ed anche l’ultimo tratto prima del villaggio è stato asfaltato, mentre le ultime notizie che ho avuto dicono che la pista dovrebbe essere stata asfaltata del tutto.
La corrente elettrica dei generatori da qualche tempo è disponibile nell’oasi, i campeggi sono diventati tre o quattro ed un moderno albergo è sorto poco distante dalla sorgente.
È caratteristico perché ha le parti comuni in muratura, compresa una bella piscina, mentre le camere, con aria condizionata, sono delle grandi tende in tela bianca. Inoltre l’hotel ha una grande torre che serve da punto di osservazione panoramico sull’oasi e sul mare di dune, dove a volte si innalzano mongolfiere multicolori.
Le bancarelle di souvenir sono aumentate, insieme ai turisti, ma ancora oggi rimane un posto magico, dove immersi nell’acqua calda si può osservare la vita intorno alla sorgente. Non c’è poi molta differenza tra il motociclista tedesco di oggi ed il commerciante arabo che giungeva in cammello nei tempi passati: entrambi si riposano dal viaggio e si lasciano andare nell’acqua limpida e leggermente sulfurea. Speriamo che non decidano, come già successo in molte altre oasi, di fare un pozzo con una pompa per incrementare la portata della fonte ed estendere l’oasi: la falda si abbasserebbe e la sorgente naturale si prosciugherebbe.