Il sacro monte (Kailash) presenta quattro facce che sembra corrispondano ai quattro punti cardinali:
il nord è l’oro, l’est il cristallo, il sud lo zaffiro, e l’ovest il rubino. Il percorso magico-religioso si
compie a tappe, ci mescoliamo alla moltitudine colorata di indiani e tibetani.
di Silvana Lintozzi
Il Tibet, annesso dall’esercito cinese nel 1950, è riuscito a sopravvivere ai capovolgimenti politici che si sono abbattuti sulla Cina, ma non è riuscito a resistere al continuo incremento demografico dovuto ai cinesi provenienti dalle altre regioni, che ha ridotto i tibetani ad una minoranza nel proprio paese. Ancora oggi, pazientemente, i tibetani cercano di opporsi alla volontà delle autorità centrali di imporre la loro tutela sul buddismo, che resta l’ultimo baluardo della loro unità. Per questo, un viaggio nelle regioni tibetane ha sempre esercitato fascino e curiosità per il suo popolo sottomesso ma tenace nel voler conservare le proprie radici, e per i luoghi sicuramente suggestivi, che si estendo ad altezze medie di 4900 metri.
In aereo raggiungiamo Kathmandu e ci immergiamo nel simpatico caos della capitale nepalese. Vaghiamo per le vie piene di gente, tra mille odori ed una quantità di colori impressionante. Al di sopra delle nostre teste, piccole finestre incorniciano visi sorridenti tra grovigli di fili elettrici; mentre sotto i nostri piedi, strade sterrate piene di rifiuti, attraverso le quali raggiungiamo Durban Square che, essendo diventata patrimonio dell’umanità, ora si visita a pagamento (ma è bellissima). Poi Swayamunath, la magia di questo meraviglioso stupa dal quale si domina l’intera città, ci incanta ed affascina con i suoi enormi occhi che sembrano seguirci. Assistiamo molto emozionati, assieme ad una piccola folla distratta, ad una cerimonia funebre “con cremazione” sulla riva del fiume.
Ripartiamo per la nostra meta, il Tibet, ed atterriamo a Lhasa, la capitale. Visitiamo il palazzo Potala, il simbolo del potere temporale dei Lama. È una costruzione imponente e per visitarlo tutto occorrono molte ore. Oltre ad essere il simbolo del buddismo, è al tempo stesso fortezza, tempio, monastero e scuola. È l’epicentro di tutte le attività religiose e politiche della regione ed è, inoltre, un esempio dell’alto livello artistico raggiunto dai tibetani. Visitiamo poi il Jokang massimo tempio buddista, sacro a tutti gli ordini monastici di questa religione, situato nella piazza di Barkhor. Qui giungono centinaia di tibetani, adulti, bambini, vecchi, che s’inginocchiano o si sdraiano carponi, per pregare. Il tempio è costruito su quattro livelli ed il suo tetto è lastricato di mattonelle dorate. All’ingresso, fra due cervi d’oro, una grande ruota del dharma anche questa dorata, brilla al sole. All’interno, oltre alla ricchezza variopinta dei dettagli dell’arte tibetana, regna un’atmosfera tranquilla, ma che mi appare anche malinconica.
Con i nostri autisti, attraverso una pista, in cinque giorni raggiungiamo Gyantse a 3.950 m. di altezza; lungo il percorso incontriamo il lago Yamdrok che sotto il terso cielo tibetano assume un colore turchese molto intenso.
È uno dei quattro laghi sacri del Paese. Gyantse è nota per il suo Kumbum “che significa 100 immagini” un tempio che racchiude sculture e splendidi dipinti.
È uno stupa tibetano sormontato da una cupola d’oro che viene utilizzato come reliquiario.
Poi giungiamo a Shigatse seconda città per dimensioni, del Tibet, con il suo monastero Tashilhunpo sede del Panchel Lama (grande studioso) brulicante di piccoli monaci. Proseguiamo verso la valle del Tsangpo, che è il primo tratto del fiume Bramaputra ed entriamo negli immensi territori in cui spaziano i pastori nomadi Drakpa dove fra pascoli, colline, dune di sabbia, incontriamo le loro tende nere circondate dalle mandrie scure degli yak.
Attraversiamo un ambiente in cui le montagne hanno colori che cambiano ad ogni curva, quindi superato il passo Mayum la, raggiungiamo il bacino del fiume Sutley da dove si può finalmente scorgere la vetta sfavillante del monte Kaylash.
Questo, per gli induisti è il trono di Shiva mentre per i buddisti è il cuore di un enorme mandala, comunque per tutti un luogo sacro.
Arriviamo alla piana di Bharka, qui non ci sono nomadi, ma solo pascoli, infine ci appare il villaggio di Darchen (grande barriera di preghiera) a 4.620 metri di quota, da qui inizierà il pellegrinaggio attorno alla montagna sacra. Questo villaggio è composto di case, piccoli alberghi, telefoni e docce pubbliche (queste ultime da noi molto apprezzate dopo 3 giorni di cammino senza comfort) e da un vicino immenso accampamento multicolore formato da tende. Vi si sono riversate centinaia di pellegrini, giunti per intraprendere il Kora (periplo) qualcuno porta anche merci da vendere.
Mi colpiscono i loro cappelli dalle strane fogge, la scura palandrana stretta da fasce variopinte; quelli che vengono dal nord si distinguono per i loro mantelli rossi e neri alcuni, meno fortunati , si stringono addirittura in abiti ricavati dalla pelle di yak.
Sono tutti accorsi per celebrare il Saka Dawa, che cade tra la fine di maggio e la prima metà di giugno, ma si celebra per tutto il “quarto mese”. Il pellegrinaggio ha un circuito di 53 Km.
Si dice che chi compie 108 giri potrà assicurarsi il raggiungimento del nirvana e sarà libero dal ciclo della reincarnazione! Il sacro monte (Kailash) presenta quattro facce che sembra corrispondano ai quattro punti cardinali: il nord è l’oro, l’est il cristallo, il sud lo zaffiro, e l’ovest il rubino.
Percorreremo questa strada in tre giorni, incontrando i pellegrini Bon (antica religione sciamanica pre-buddista) che fanno il cammino del Kora in senso contrario rispetto al nostro.
Il percorso magico-religioso si compie a tappe, ci mescoliamo alla moltitudine colorata di indiani e tibetani per raggiungere il luogo della cerimonia di sostituzione dell’altissimo palo delle preghiere (tarboche) che verrà abbattuto nei giorni precedenti al plenilunio per essere poi sostituito, assieme a nuove bandierine, nel giorno del plenilunio. Terminata la cerimonia fra canti, danze e molta allegria ci si dirige verso le tende.
Questa per i giovani tibetani è una rara occasione d’incontro utile anche per formare nuove coppie.
Ci sono quattro punti di prostrazione (chaktsal gang) presso il Chorten d’ingresso (chorten kang gni) “dal cui passaggio si ricava buon auspicio” e nei siti delle quattro impronte di Buddha (Shabje Drag Dog) poi, nel corso del periplo le altre tappe d’obbligo, che coincidono con i successivi campi; Concludiamo con la visita ai Monasteri Buddisti (Gompa) in ordine decrescente, Dira-Puk (che significa corna di yak e grotta) è alto 4.860 metri, è stato ricostruito nel 1985 ed è il luogo in cui il dio guerriero Bon Drabla scagliò macigni con le proprie corna; questo monastero è ornato completamente di bandiere votive che si incrociano, dandogli così un aspetto molto festoso.
Poi, Chu-ku 4.820 metri, e Zutrul-Puk a 4.750 metri. Sostare presso il primo monastero è stato per me un momento di riposo e di pace, qui i monaci sono pochi ma molto gentili: ci hanno accolto con tè al burro di yak (!) accompagnato da biscotti secchi. Proprio di fronte al monastero, ma ad un’ora di cammino, si trova il nostro campo tendato, che alla fine raggiungiamo.
Qui, alcuni di noi, approfittando di un limpido corso d’acqua e del sole ancora caldo, si sono rinfrescati e sbarbati. Ci aspetta ora la tappa più impegnativa, partendo da un’altezza media di 4.600 metri si arriva al passo Drolma La, posto a 5630 metri (qui vi è una vera esplosione di bandierine colorate) e, se è vero come ricorda il Lama Govinda, che “chi lo valica entra in una nuova vita”, io sono rinata!
Sono comunque molto orgogliosa di aver superato la prova e, forse, di essermi anche guadagnata qualche indulgenza! L’atmosfera qui è davvero mistica, oltre alle bandiere di preghiera si può lasciare un ricordo personale: una ciocca di capelli, un dente, parte dei propri indumenti: questo rito è simbolo di morte e poi rinascita. Il luogo può anche essere raggiunto a cavallo o con l’aiuto di giovani portatori.
Noi abbiamo usato gli yak solo per trasportare tende e bagagli. Poi il Kora prosegue a sud con la ridiscesa verso Darchen. Concludiamo con la visita dei Monasteri Gyengtak, Silung e la vista dell’imponente e mozzafiato parete sud del Kailash. Riprendiamo la strada del Maymum la fino a Saga e, senza tornare a Lhasa, superato il fiume Brahamaputra ci dirigiamo verso lo stupendo lago Paicu Tso, dai colori pastello, che sorge sotto l’imponente monte Xixapagma alto 8.102 metri ed alle montagne più settentrionali del Langtang Himal, raggiungendo infine la valle di Nyalam, fino in Nepal dove ritroviamo la vegetazione lussureggiante, caratteristica della parte meridionale della catena himalayana. Passiamo la frontiera e ci dirigiamo verso Kathmandu per un giorno finalmente libero da impegni e poi, esausti, ritorneremo in Italia.