Gerusalemme, Yerushalheim o Al-Quds. “La Terra”
dunque si ritaglia tra le catene del Libano e dell’Antilibano,
con il solco vallivo che le distingue (anticamente Celesiria),
a nord; il Mediterraneo, a ovest; il deserto arabico e
quello del Sinai, rispettivamente a est e a sud.
La valle del fiume Giordano, che nasce nell’Antilibano
e sfocia nel Mar Morto, costituisce poi un confine
interno naturale (Cisgiordania e Transgiordania,
o, anticamente Perea dal greco Peras, “al di là”).
di Nino Grazzani
È durante la metà del mese di Shevat (febbraio) che si ricorda la salita al Monte Sinai dove Mosè si prepara a ricevere e, discendendone, proclamare i dieci comandamenti. Il calendario ebraico segna adesso l’anno 5767 (corrispondente al 2007 della nostra era). Sono trascorsi più di 2000 anni da quel lungo esodo in terra d’Egitto. Noi abbiamo compiuto, come molti altri prima di noi e anche recentemente, un viaggio nell’Israele di oggi e scriverne e riferirne ci sembra quasi impossibile. Ci sembra di esser giunti alla constatazione che da allora tutto quello che c’era da scrivere sia stato scritto. Ci hanno consolidato in questa convinzione (dello scriverne) una guida “non sbilanciata” ed una carta geografica e stradale tanto precisa quanto incerta nella definizione (ancorché provvisoria) di tracciati confinari, delimitazioni territoriali, regionali. È difficile, ma facciamo questo tentativo, peraltro molto personale e con molte cose tralasciate perché come dicevamo storicamente conosciute o motivo di cronaca (raramente buona e molto spesso omissiva da parte dei media), per i nostri amici de “iTimoni”, senza la certezza di riuscirci.
La permanenza di quasi un mese ha avuto come presupposto quello di compiere assieme ad altre 18 persone, molte delle quali si incontravano per la prima volta, un tour non turistico in senso stretto, anche se organizzato in ogni particolare, con molto tempo individuale a disposizione, ma facendo riferimento ad un tema e ad una motivazione: i ritorni in queste terre dai primi anni ‘20 fino all’inizio degli anni ‘40 (quello dei pionieri di palestina appunto) lasciandosi alle spalle definitivamente le diaspore degli avi, soprattutto dall’Europa ed in particolare da quella centro orientale. Dalle secolari dipersioni, pogrom e persecuzioni non si fuggiva soltanto, ma si ritrovava, in quella terra, non solo l’antica dimora dei padri e degli avi, ma anche la possibilità di una storia futura difficilissima, irta di pericoli, privazioni e condizionamenti di ogni genere. Solo in questo modo avrei (avremmo) potuto capire l’Israele di oggi.
Quindi a ritroso abbiamo compiuto un percorso tra testimoni diretti, i loro figli e parenti e coloro che in seguito a quanto accadde durante e dopo il nazifascismo e la II guerra mondiale, i nostri ideali “ritorni”, “L’alioth” i viaggi della speranza e della vita: dal Nord (ancora sotto l’incubo dei missili dei terroristi di Hezbollah o dei Kassam di Hamas), contro Israele e la risposta militare in Libano e a Beirut, per contrastare le incursioni terroristiche degli estremisti islamici.
Ci sono stati morti ovunque e ovunque si sono avute immani distruzioni prima in Libano ma prima ancora in Israele dove gli obiettivi da colpire erano soprattutto strutture civili, scuole, asili nido, supermercati, abitazioni, insomma, i segni atroci della guerra, che ormai, in ogni parte del mondo, dove si scatena, colpisce solo marginalmente i militari impegnati e sempre di più, contro la popolazione inerme.
Ma torniamo alla cronaca. Siamo partiti dai testimoni e dalle testimonianze degli anni ‘20, come dicevamo non per arrivare all’oggi, e abbiamo potuto metterci in contatto diretto con alcuni protagonisti e tra questi in particolare gli italiani (gli Italkim), che non smetteremo mai di ringraziare per la loro cordialità e disponibilità ad aiutarci nel comprendere quanto i nostri interlocutori la sera in Hotel o nelle sale conviviali dei Kibbutz ci abbiano accompagnati con interesse e trasporto in questo giro, che ci ha portato negli insediamenti del deserto della Giudea e in quello del Negev (il deserto delle sculture su rocce e pareti in pietra con percorsi in quota e l’assenza di vegetazione sino al Mar Morto).
Poi anche qui siamo stati smentiti: l’arido deserto del Negev oggi è circondato dal verde e da giovani boschi, quasi tutte le piantagioni di agrumi della fascia mediterranea da Jaffa a Sderoth vengono trasferite nei Kibbutz agricoli del deserto: sotto c’e acqua salmastra che viene pompata e moderatamente dissalata ed impiegata per l’irrigazione a goccia (brevetto esclusivo dei pionieri e agricoltori ebrei).
L’insediamento più suggestivo si trova nei pressi dello storico Kibbutz di Revivim dove è sepolto Ben Gurion (con a fianco la sua compagna). È stato il primo presidente della moderna Israele quello che ha proclamato l’indipendenza conquistata nel 1948. Anche i luoghi più impervi con il lavoro duro dei pionieri diventano verdi, produttivi e redditizi. Israele è oggi l’unico paese dell’area mediorientale dove il deserto invece di avanzare in maniera preoccupante è arretrato negli ultimi 13 anni di quasi il 9%.
Storia, cultura e per molti misticismo interiore, che ciascuno ha saputo laicamente custodire con rispetto dentro di se. Soprattutto a Gerusalemme, Yerushalheim in ebraico e in arabo Al-Quds.
Oggi è la capitale dello Stato d’Israele, e per ogni visitatore è davvero il luogo mitico mistico, si può ben dire che rappresenta nella sua unicità l’universo nell’universo. Sacra-santa-benedetta per i credenti e i fedeli delle 3 religioni monoteiste che nella città vecchia, luogo di incontro/ scontro ma prevalentemente luogo di incrocio di esseri umani di ogni latitudine, lingua, etnia o come dire, corrente e sottocomponente religiosa interna all’ebraismo, al cristianesimo e all’islamismo, convivono pur ignorandosi talvolta apertamente.
Stanno assieme sia sopra la spianata, dove sorgeva l’ultimo tempio e dove oggi sorge la cupola d’oro di Omar e la moschea al-Aqsa, e più avanti dopo il vicolo definito Via Dolorosa, oggi nella parte araba di Gerusalemme est che porta al sepolcro di Cristo, circondato da chiese di tutte le confessioni cristiane, per passare sotto il Monte del Tempio al Muro occidentale (più noto ai non israeliti come muro del pianto). Ma è dalle alture attorno alle antiche mura che Gerusalemme all’inizio del secolo scorso ha iniziato la sua espansione (dal periodo dell’occupazione turco-ottomana ai primi insediamenti “esterni” di ebrei provenienti da tutti i paesi e continenti).
Questa espansione continua in aree che in passato erano anch’esse desertiche, dove prevale in maniera rigida e rigorosa il vincolo che ogni edificio deve avere le facciate esterne rivestite esclusivamente con la pietra rosa di Gerusalemme e in ogni insediamento ebraico che nasce su terreno desertico deve esserci un parco verde, con spazi polivalenti, giardini e luoghi d’incontro e socializzazione aperti a tutti e a tutte le etnie ai bambini e agli anziani.
I parchi come in tutti i centri urbani e quartieri residenziali sono fruibili e aperti 24 h su 24 e illuminati. In altre località abbiamo conosciuto gli ebrei immigrati provenienti negli anni ‘60 ‘70 dallo Jemen, dall’Etiopia, dall’Iran dopo la dittatura islamico fondamentalista di Komeiny.
Dalla Persia negli anni ‘40 era la cosiddetta “via di Teheran” degli ebrei polacchi per sfuggire alle persecuzioni razziste e naziste. Poi sono giunti gli altri espulsi dai paesi arabi o “riscattati” dall’Urss e da altri stati dell’ex blocco comunista sino all’arrivo continuo dei nuovi cittadini che oggi possono espatriare e, da diversi paesi, fare la loro Alioth senza persecuzioni. Nella prosecuzione del viaggio verso sud siamo giunti al confine con l’Egitto di fronte al Sinai e ospitati in un Kibbutz nel quale sono stati costruiti funzionalissimi e moderni mini appartamenti, si potrebbero definire “residence”, contigui ad una base militare dell’aviazione nei pressi della città Nabatea di Nizzana. In Israele la leva obbligatoria inizia dai 17/18 anni indifferentemente per ragazzi e ragazze e dura dai 3 ai 3 anni e mezzo con una fortissima integrazione nel territorio circostante e quindi il rapporto diretto con villaggi, città e insediamenti abitativi e strutture produttive agricole e industriali. le reclute possono contare sull’assistenza continua di riservisti e veterani, questo soprattutto nei piccoli centri, nei Kibbutz e nei villaggi.
Ci siamo incontrati anche con loro che ci hanno accompagnati negli avamposti lungo la frontiera Egitto Giordania. Alcuni nel nostro gruppo prima esitanti poi decisi, hanno chiesto se era possibile riprendere con videocamere e fotografare e l’ufficiale accompagnatore con un sorriso tra l’ironico e il disarmante (almeno per chi scrive) ha alzato l’indice verso il cielo facendoci intendere che i satelliti da lassù possono avere a bordo apparecchi molto più sofisticati delle nostre digitali… terrestri. è la storia dei pioneri e dei Kibbutz la cui terra era soltanto quella arida e desertica o paludosa e malarica è stata tutta acquistata dagli occupanti di allora, prima dai turchi e dopo dagli arabi.
Nella evoluzione sociale sino ai nostri giorni, gli eredi dei kibbuzim hanno mantenuto il senso comunitario di quella scelta di vita e senza alcun vincolo religioso. La storia ci è stata spiegata da un pioniere (giovane di 80 anni) che oggi vive nell’insediamento di Ruhama sempre nel verde deserto ai confini con l’Egitto nei pressi delle rovine di Qumram con all’orizzonte il Mar Morto e più in alto la mitica fortezza di Masada che sovrasta ancora una volta il deserto.
Per noi la porta dell’Israele all’arrivo ed alla partenza è stata indubbiamente Tel Aviv, i suoi quartieri e costruzioni in stile Bauhaus (Il grande Walter Gropius odiato dai nazisti perché di origini ebraiche il quale dopo l’ascesa al potere degli hitleriani si trovò sbarrata la sua accademia a Weimar e quindi costretto all’emigrazione negli Usa). Tel aviv è un gigantesco centro storico che è un insieme di Parigi, Ville Lumiére, Vienna e Berlino, Praga e Budapest e in alcune strade laterali datate e sconnesse con le lanterne a gas di fine anni ‘30, anche se oggi sono alimentate da corrente elettrica.
Sul lungomare verso Haifa, a nord della città , a Cesarea e in tutti gli altri meravigliosi siti archeologici e museali ed in quelli all’aperto lungo la costa sentiamo vicino questo mare: infatti è quello che bagna anche le nostre spiagge ed isole: il Mediterraneo. In questa grande regione, in una sua piccola parte si sono compiute trasformazioni epocali con caparbietà e tenacia, per adesso è l’unica entità democratica, libera come la intendiamo in Occidente ed in Europa. Ed è questa dimensione occidentale ed europea che “purtroppo” ancora mancano dei vicini cordiali ed affabili. Anche in un condominio, ha più volte ricordato il premio Nobel per la pace Shimon Peres, i vicini di casa non sempre si possono scegliere ma con essi si può e si deve trovare la forma per convivere riconoscendosi reciprocamente, allontanando i propositi di annientamento. Ed invece prevale ancora pregiudizio ostilità.
Abbiamo però bisogno di costruire in questa regione due Stati che dovranno per forza di cose innanzitutto tollerarsi. E siamo in vantaggio poiché a metà l’opera quasi è già compiuta. Israele esiste ed è sufficiente volere che a fianco ad esso si formi lo Stato indipendente dei palestinesi. Molti di coloro che vivono da poco o da sempre da queste parti sanno bene, trattandosi di gente molto complicata, che le cose semplici sono le più difficili da realizzare o da ottenere.
È per questo che dobbiamo continuare a sperare (non fatalisticamente) ma agendo, ed anche compiendo simili viaggi e soggiorni. I ringraziamenti li abbiamo fatti in altra sede, anche agli amici romani di Israele con i quali abbiamo trascorso a casa loro lo Shabbat. E quindi non possiamo che concludere con il desiderio interiore che è anche un auspicio affinché la situazione in quella terra porti ad un ulteriore diminuzione delle tensioni e dei conflitti dicendo ai noi stessi e a coloro che ci avranno letto: “l’anno prossimo a Gerusalemme”… o se preferite a Yerushalheim o Al-Quds.
Il memoriale “yad Vashem”
Dopo l’olocausto ricorda sei milioni di sterminati è davvero indescrivibile la visita al Memoriale alle Vittime dell’Olocausto: ”YAD VASHEM” di Gerusalemme dove filmati d’epoca e testimonianze proiettate o fotografate raccontano l’immane tragedia. SEI MILIONI di uomini, donne e bambini uccisi nelle camere a gas o giustiziati sommariamente. Il numero maggiore degli uccisi è stato raggiunto in Polonia dove risiedeva la più grande comunità ebraica d’Europa. Polonia che dopo la guerra massacrò un intero villaggio di ebrei sopravissuti alle camere a gas per tornare nella loro terra illusi di poterci vivere. Era la Polonia cattolica! A Yad Vashem c’è una parte interamente dedicata ai bambini. Degli adulti in genere si conoscono le generalità perché i nazisti li registravano, mentre i bambini venivano mandati nelle camere a gas senza identificazione. In quest’ala del Memoriale vi sono delle candele che vengono riflesse da numerosi specchi simboleggiando così quelle vite innocenti. Fuori campo un disco ripete i nomi e cognomi dei bambini uccisi, nomi e cognomi che i loro parenti sopravissuti hanno trasmesso ai posteri. Infine, ma non per ultimo, il giardino dei “Giusti”, cioè di coloro non ebrei che contribuirono in tanti modi a salvarli. Un albero è stato piantato per ogni Giusto e ai piedi della pianta un lapide con i loro nomi o quelli di intere famiglie. Molti sono nomi di italiani, tra cui sacerdoti e suore cattolici. Il memoriale ricorda i 6 milioni di sterminati. Pensate che se mettessimo 6 milioni di persone che si tengono per mano, partendo da Israele raggiungerebbero i confini dell’intera Europa. Perché ricordare ora e sempre? Un filosofo ebreo del 600 – Baal Shem Thov – scrisse: “ LA DIMENTICANZA PORTA ALL’OBLIO MENTRE IL RICORDO È IL SEGRETO DELLA LIBERTA’”.